Preludio nr 4 in si minore, ff ispirata al Fantasma dell'Opera(11517 visite)

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arielcips
view post Posted on 6/4/2008, 11:49 by: arielcips
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He's a lion that I am proud to hunt

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Per chiunque altro quella notte,quella loro prima notte di nozze non avrebbe potuto aggiungere nulla di nuovo ad una relazione già consumata intensamente da mesi.
Erik invece vi volle scoprire con Aurora la dolcezza dell’amore:avvolti nelle lenzuola di seta,con estenuante languore si erano a lungo accarezzati,piano,sfiorandosi la pelle,riscoprendo con sempre rinnovato desiderio l’uno il corpo dell’altra e viceversa.
Quando le carezze li avevano lasciati nudi,erano passati ai baci,piccoli baci delicati,quasi timidi,apparentemente incerti,ma voluttuosamente sensuali:una fitta rete di baci reciproci alimentata dagli sguardi e dai sospiri,una veste di baci delicata per alimentare la reciproca voglia di appartenersi…
Prolungare così il desiderio era stato di una dolcezza sublime;sublime fu poi l’appagamento che ne derivò,quando Erik scivolò piano dentro di lei.
Con un gemito d’ebbrezza,Aurora gli si avvinghiò contro e lentamente lui seppe ripetutamente portarla fino al vertice del piacere,per poi finalmente condividerlo illimitatamente con lei …
-E’ sempre meraviglioso…-confessò la giovane sposa.
Lui sorrise piano.La accolse tra le braccia,respirando totalmente pago.
Era ancora buio,fuori. Erik la stringeva sul petto nudo,carezzandole con le dita la spalla morbida:entrambi in silenzio guardarono il fuoco bruciare nel camino.
-Non dormi?- le domandò a un tratto,pacato.
-No…-rispose lei,pensosa.
-A cosa pensi?-le chiese,senza guardarla.
Quelle fiamme gli evocavano ancora ricordi ,passati e recenti.
Lei sorrise dolcemente:
-A quello che pensi tu…-
Lui non rispose;le baciò delicatamente i capelli,la fronte.Le cercò le labbra,gliele baciò con dolcezza.
Era una tacita ammissione.
Ma non avrebbero aggiunto altro a quello che era il loro grande segreto…
-E’ tempo di dormire,piccola Psiche…Il tuo sposo non ti si cela più…- sussurrò lui.
-…e Psiche ora è con lui,nell’Olimpo…- concluse Aurora con un sorriso,stringendoglisi a fianco.


Quella mattina Ilia si svegliò più presto del solito.
Si preparò in fretta ,ma cautamente,per non svegliare Alphonsine.
Le lasciò un biglietto sul comodino quindi,chinatosi sul letto,si congedò baciandole lievemente i capelli.
Si era dovuto riprendere piuttosto in fretta dall’aggressione subita,ma se fisicamente i dolori pian piano andavano scemando,rimaneva piuttosto dolente sul piano psicologico.
Tanta fatica,rischio e male,per non sapere poi nulla…
Non se ne sarebbe rimasto con le mani in mano.Aveva bisogno di vedere chiaro in quella faccenda del notaio.
Scese in fretta le scale del teatro e fermò una vettura.
La carrozza lo portò al galoppo nel vecchio quartiere che accoglieva lo studio notarile Roquebrune.
Smontò,invitando il vetturino ad aspettarlo.
Quindi si recò nella chiesetta sulla piazza.
Il sagrestano ne aveva da poco aperto i battenti:all’interno poca luce e nessun fedele.
L’unico che si aggirasse per le strette navate,trascinando le gambe corte e un po’ gonfie,era l’aiuto del parroco:gettava via i moccoli di candela spenti,riassettava le cappelle,ed ogni suo gesto risonava amplificato nel vuoto del luogo.
Ilia si abituò meglio alla penombra.Avanzò verso l’altare,segnandosi.E si accorse che nei primi banchi c’era qualcuno.
Stentò a riconoscere in quella donna anziana,dall’espressione un po’ inebetita,sciatta e sformata,madame Jardin,la segretaria del notaio che solo pochi mesi prima si divertiva a fare la spiritosa storpiando il suo cognome esotico.
Ma era proprio lei.Immobile davanti all’altare,lo sguardo perso nel vuoto,biascicava litanie insieme ad un’altra fedele,vecchia,sola e abbandonata quanto lei.
Bene,pensò il russo.L’aveva trovata.Ora non rimaneva che aspettare il momento giusto per parlarle.
Tentò un approccio in chiesa,ma lei lo zittì,rimproverandolo con lo sguardo.
Allora uscì sul sagrato,licenziò il vetturino e attese che la donna uscisse.
Finalmente,a metà mattina,madame Jardin fece insolitamente capolino fuori della chiesa.Aveva una busta di carta con sé e,dopo essersi guardata curiosamente intorno,si diresse nel piccolo parco antistante il cimitero;sedette su una panchina e intorno le si adunarono festosi una decina di gatti randagi.
A un tratto i felini sollevarono la testa,drizzarono le code:alle loro spalle era comparso un intruso.Ilia Semonov.
-Buon giorno,madame Jardin…-
-Oh voi…- rispose con una punta di curiosità velenosa la donna.
-Vi ricordate di me?- chiese speranzoso il segretario di Sindial.
La donna riassunse l’espressione acquosa e distante di prima:
-Il maleducato che mi disturbava in chiesa…-
Il giovanotto non volle scoraggiarsi;sedette con lei sulla panchina,incurante dei gatti che lo guardavano diffidenti e gelosi.
-Non vi ricordate di me,madame Jardin…Ilia Semionòf!- parafrasò,storpiando lui stesso il suo cognome.
La vecchia trasalì appena.
-No…non so chi siate…- mentì.
-Un cliente del notaio Rochebrune…non ricordate nemmeno lui?- insistè il giovane.
Questa volta madame s’irriggidì e una espressione dolente le si stampò sul volto.
Ilia provò una punta di pena.
-Ho lavorato nel suo studio…- ammise,come se si fosse trattato di un passato sepolto.
-…E dov’è ora?- stava domandandole il russo,ma lei continuò come se non ascoltasse altro.
-Ho lavorato con lui,per lui,Gli ho dedicato i miei anni,la mia vita.L’ho aiutato,quando non aveva nulla;l’ho sostenuto,consolato.Mai un segreto è uscito dalle mie labbra…Sono stata la sua più preziosa collaboratrice…-
Una amarezza profonda trapelò dalle sue parole.
Poi improvvisamente il tono della donna cambiò:
-Micio,micio…vieni micetto…- sembrava di nuovo una povera bambina istupidita.
Ilia sospirò,poi abbassò il capo per riflettere,infine tentò una carta a sorpresa:
-E che mi dite del piccolo De La Revenge?
Meccanicamente la donna rispose:
-Ho mantenuto il segreto…-
Ilia irrigidì la mascella.Aveva bisogno di conservare tutta la cautela e la lucidità,ora.
Un piccolo errore,e la donna non gli avrebbe rivelato più niente.
-Già…-
-Ma non era un De La Revenge…- soggiunse,con aria sprezzante – Era solo un piccolo bastardo…-
-Un randagio…come questi gatti…- si lasciò sfuggire il giovane.
La vecchia ritornò presente a se stessa,lo fissò:
-Si può sapere chi siete,voi?e cosa volete?- gli domandò,indispettita.
-Sono Ilia Semonov,il segretario di monsieur Sindial…vi dice nulla questo?- ribattè istintivamente Ilia.
Lo sguardo della donna si fece fosco:
-Maledetto …quel maledetto sfregiato…è lui che ha comprato il mio Rochebrune..gli ha dato così tanti soldi ,che quello ha chiuso lo studio..ed è andato via…- alla vecchia quasi sfuggiva un singhiozzo.
-Ma Sindial era all’oscuro della faccenda del bambino…se gliel’aveste detta,magari non avrebbe dato al notaio tutti quei soldi…-
Inaspettatamente,quest’ultima affermazione ebbe un esito insperato:
-A no?… allora gliela racconto adesso…dov’è?-
-Raccontatela a me,intanto…- propose conciliante.
-No…- la vecchia guardò anche lui con sufficienza. –La racconterò a lui…e lui solo!-



Erik fu svegliato da un raggio di luce che,filtrando attraverso i vetri delle alte finestre della stanza,oltre la cortina di pesante broccato rosso scuro,aveva raggiunto la testiera del letto.
Al suo fianco Aurora,protetta dal suo corpo massiccio,dormiva ancora.
Ma il chiarore creato da quella lama luminosa,gli permise di ammirarla,ancora una volta.
Il sonno le donava un’espressione serena e innocente;le labbra erano come increspate da un inconscio sorriso.
Non voleva destarla,ma con estrema delicatezza le carezzò i capelli,sparsi morbidamente sul cuscino;le sfiorò il braccio,poi la sua mano grande si fermò sul grembo di lei.
Pregno,forse,ma ancora piccolo,appena accentuato da una leggera,carezzevole curvatura.
L’uomo sospirò,socchiudendo gli occhi.
Lei era così serena e appassionata.Piena di slanci generosi,sicura.
Lei gli si era data,ad occhi chiusi.Gli apparteneva con un abbandono che lo lasciava ogni volta incredulo e felice a un tempo:mai un dubbio,mai un passo indietro.
Fra loro due,probabilmente era la più forte.
Ora forse gli avrebbe dato un figlio:l’ennesima prova del suo amore,l’ennesimo segno tangibile del fatto che apparteneva a lui,lui soltanto…Questo lo aveva riempito di gioia…
Ma lui,che cosa avrebbe dato a questa creatura? Avrebbe riversato su di lui le paure,i dubbi,le incertezze;vi avrebbe proiettato il suo desiderio di rivalsa?...
Un brivido gli attraversò la schiena.
Certo non sarebbe anche suo figlio stato marchiato dal demonio…?
Rifiutò quell’orrendo pensiero.
Non conosceva i motivi della sua tremenda condanna,ma oscuramente nella sua memoria ancestrale ricordava una storia di violenze e brutalità,un parto coatto,da una madre forse già morta…Una lacrima silenziosa gli inumidì le ciglia. Nel suo cuore aveva alimentato un odio smisurato…ma contemporaneamente,istintivamente c’era il bisogno altrettanto smisurato di ricevere e dare amore…
-Erik…- Aurora pronunziò il suo nome,nel sonno,con un sorriso.
Quel suo dolce richiamo lo distolse dai pensieri cupi.
La guardò,desiderò baciarla.Piano si chinò sulle sue labbra,sfiorandole.
Poi scivolò dal letto,infilò i pantaloni.
Dai tigli si levava un vivace cinguettio:la stagione degli amori era iniziata.
Indossò la camicia e uscì nel parco:pettirossi,cince,passeri si rincorrevano amoreggiando tra i rami.Al loro richiamo faceva eco il gorgoglio dell’acqua del ruscello,al limitare del giardino.
Rimpianse la sua infanzia calpestata e l’adolescenza vissuta nel buio di un sotterraneo.
Un bambino sarebbe stato felice,in una casa come quella…
A questo pensiero,gli venne in mente il piccolo orfano:e maturò una decisione.
-Erik!-
Dai vetri della loro stanza Aurora faceva capolino,salutandolo.
Lui le sorrise e la raggiunse,in casa.
Le andò incontro,la abbracciò,baciandola con tenerezza,quindi la sollevò sulle braccia riportandola sul letto.
-Voglio parlarti di una cosa…- le disse - Qui e in teatro ho ancora diverse cose da sistemare…Vorrei che tu invece restassi …avessi l’agio di trasferire le tue cose…Ma non voglio farti rimanere sola.-
-Bè..ci sarà Beatrice,intanto…poi magari le troveremo qualche collaboratrice…- rispose Aurora,senza capire bene.
-No…non parlavo della servitù…Mi domandavo se non sarebbe stato meglio trasferire qui il nostro piccolo ospite…-
La giovane donna lo guardò,con un sorriso sempre più entusiasta sulle labbra.
-Dici davvero,Erik?.....-
-Naturalmente con Harun,che lo sorvegli…-
Aurora gli cinse il collo con le braccia,baciandolo grata.
-Nel frattempo indagheremo… non sappiamo nulla di lui…neppure il nome…- soggiunse,pensoso,malinconico.
La sposa non gli permise di intristirsi,continuò a baciargli il viso e le labbra,fino a ottenerne tutta la calda,appassionata attenzione.
-Sei una piccola,adorabile,irresistibile tentazione…-le sussurrò,sospingendola tra le lenzuola.
Poi l’amò ancora,soddisfacendo il desiderio di lei e il proprio.


Erano abbracciati ancora.
Erik stringeva Aurora su di sé,mentre lei lo accarezzava con tenerezza,dispensandogli baci affettuosi.
A un tratto l’uomo si pose in ascolto.
-C’è qualcuno…- così dicendo si sollevò un po’,drizzando l’udito. –Qualcuno è fermo al cancello…
- Chi sarà?- domandò la giovane donna.
Erik s’era alzato,vestendosi in fretta.
-Attendi qui…lo sapremo subito.
Così dicendo uscì sul porticato.
Davanti al cancello,evidentemente a disagio,incapace di decidersi a entrare,c’era Ilia.
Erik rassicurò Aurora,poi andò incontro al suo segretario.
-Che succede,Semonov?-
-Ecco…mi sono permesso di portarvi qualcosa per ehm…la colazione…- Così dicendo trasse dal landò su cui aveva viaggiato un vassoio imbandito di ogni ben di dio.
-Molto sollecito…- Sindial gli aveva aperto il cancello e lo introduceva nel viale.
-Monsieur Sindial…non sono un guastafeste…- iniziò a scusarsi il giovanotto.
-Non l’ho mai pensato…- ribattè secco Erik,facendogli strada nel salone,dove poggiarono il ricco vassoio sul pianoforte –mi direte però cosa vi porta qui,realmente…a parte la previdente gentilezza…-aggiunse,con una sfumatura di ironia.
Ilia annuì:
-Si tratta di madame Jardin…-
Erik aggrottò le sopracciglia.In quel momento quel nome gli diceva poco o niente.
-…La segretaria del notaio…-
Sindial lo scrutò,annuendo:
-…per Dio,siete instancabile,Ilia Semonov…vi credevo intento a ricamare ben altre trame…Ebbene?-
In quella,una porta in fondo al corridoio si aprì e comparve Aurora,in una casta veste da camera,al di sotto della quale spuntavano le morbide trine della nivea camicia da notte e si indovinavano le belle forme del suo corpo ancora tiepido dell’alcova .
Ilia trattenne il fiato,abbassando gli occhi.
-Buon giorno…- disse lei,con un sorriso accennato.
-Vieni mia cara… -la incoraggiò Erik,porgendole la mano –Guarda:Ilia ha pensato a non farci morire di fame…-
-Fate colazione con noi,allora Ilia…ehm…non abbiamo una sala da pranzo,ma…-
-Grazie…- sorrise raggiante il russo.
Aurora fece gli onori di casa ,servendo con disinvolta leggiadria i due uomini,che sedevano sul davanzale della finestra .
-Un salotto un po’ improvvisato…-scherzò la giovane donna.
Consumarono insieme lo spuntino,poi Aurora rientrò nelle stanze interne,congedandosi.
-Vi lascio ai vostri discorsi…e approfitto per rendermi presentabile…-
Entrambi la seguirono con gli occhi,ma Ilia distolse i suoi con forza,fissandoli sul pianoforte,al centro della stanza.
-La casa non è ancora arredata…c’è molto da fare…- ammise Erik,seguendo il suo sguardo,poi soggiunse – Ma ditemi di madame Jardin…-
Ilia lo ragguagliò brevemente dell’incontro,poi entrò nei particolari dello strano dialogo avuto con la donna.
-Dunque lei è a conoscenza dell’esistenza di un bambino?-
-Si!- affermò con forza Ilia.
-...Sindial- soggiunse poi,con maggiore calma- …io mi sono fatto una mia idea…La povera madame Jardin aveva un legame quasi morboso con Rochebrune…quando lui l’ha piantata per godersi i soldi che gli avete dato…è come impazzita:addirittura vi attribuisce la colpa del suo abbandono…-
Sindial non fece commenti.
Ilia proseguì:
-E sarebbe disposta a raccontarvi ogni cosa,se voi poi vi riprendeste i soldi e le restituiste il notaio…-
Il padrone di casa lo guardò,sollevando quasi divertito un sopracciglio:
-Miracoli non ne ho mai fatti…-sentenziò,sarcastico.
-…in ogni caso a me non racconterà più nulla…!- concluse,un po’ deluso Ilia.
Erik invece lo guardò con dichiarata ammirazione :
-Siete in gamba,Ilia Semonov…Evidentemente non è sfuggito nemmeno alla vecchia Jardin,quanto lo siate!-
Il giovanotto chinò il capo,confuso ma compiaciuto del riconoscimento.
Erik intanto rimaneva sovrapensiero.
-Tutta questa faccenda si sta complicando oltre il necessario…Domattina rientrerò in teatro,Ilia e decideremo la maniera migliore per sbrogliarla…-
Così dicendo congedò il fac totum ,ritirandosi nelle stanze interne della casa.


Era il tramonto:Aurora era nel portico,appoggiata al colonnato,in attesa.
Sapeva che da un momento all’altro avrebbe sentito avvicinarsi la carrozza:il cancello si sarebbe aperto e dalla vettura sarebbero smontati Harun e il piccolo trovatello…
Dopo poco la raggiunse Erik,cingendole la vita e baciandole lievemente i capelli.
Lei gli si appoggiò contro,scambiando con lui uno sguardo di tenera intesa.
In quel momento lo scalpiccio dei cavalli,poi il cigolare del battente in ferro,annunciarono loro l’arrivo dell’ospite.
-Sembri impaziente…- le disse lui.
-Bè…un po’ lo sono…diciamo che vorrei riuscire a conoscerlo meglio,vorrei che si fidasse di me…-
-Intanto avrai una sorpresa…- la incuriosì l’uomo,senza svelarsi.
Finalmente la portiera della vettura si aprì.Ne discese silenzioso e discreto l’indiano,porgendo la mano al piccolo visitatore.
Comparvero d’apprima le gambe esili,fasciate fino alla caviglia da calze chiare e più su da corti calzoncini neri alla zuava.Un altro gradino,e Aurora ne scorse il corpicino magro,ma asciutto,nervoso:indossava una casacchetta di velluto,da cui spuntava una camicetta bianca fermata da una sorta di cravattino.
La padrona di casa guardò Erik,piacevolmente stupita:il bambino,ripulito e rivestito,sembrava un’altra persona.
Poi l’ultimo gradino fu sceso.
Eccolo!Ecco la sorpresa:i capelli non erano più un groviglio scuro e informe:erano stati lavati e tagliati…ed erano biondo scuri,un po’ mossi.
Gli occhi erano invece gli stessi:grandi,scuri,pieni di espressione…
Per un lungo momento il nuovo venuto osservò la casa,poi guardò interrogativo il domestico indiano.
Questi gli fece cenno di andare avanti,verso il porticato.Ma il piccolo non osò avanzare da solo,si tenne stretto alla sua mano.
-Buona sera Madame …- si inchinò Harun.
Anche il bambino lo imitò,chinando la testa.
Aurora sorrise.
-Entrate Harun…- disse,rimanendo comunque a disagio.
Il bambino,inaspettatamente,afferrò invece la mano di Erik e sembrò volergliela baciare.
L’uomo si irrigidì e guardò la sua sposa,come a chiederle aiuto.
-Harun…portalo dentro…Beatrice vi mostrerà i vostri alloggi…- disse allora la giovane donna,credendo di interpretare il volere di Sindial.
Il domestico sospinse il bambino in casa,sparendo nel corridoio.



Quella mattina Erik lasciò con leggero rammarico il suo letto,dove Aurora dormiva ancora.
Doveva tuttavia risolvere una volta per tutte l’enigma del bambino.
Si vestì con attenzione,come sempre,scegliendo un elegante abito scuro;quindi si avvolse nel suo mantello e -uscito di casa- montò sul calesse,spronando Melas al galoppo.
In pochi minuti raggiunse il vecchio quartiere dove una volta Roquebrune aveva il suo studio:sembrava fosse ancora semiaddormentato.Tuttavia la piccola chiesa nella piazza aveva già aperto i battenti.
Sindial smontò,fermandosi sul sagrato.
Dopo poco,sulla soglia della chiesa comparve Ilia,che aprì le braccia in un gesto sconfortato,poi gli andò incontro.
-Non si è vista ancora…il sagrestano non mi ha saputo dire nulla…-
Erik ebbe un moto di disappunto.
-Dove si recava,a dar da mangiare ai gatti?- domandò.
-Qui…qui vicino…c’è un piccolo parco…- rispose il segretario,facendogli da guida.
Si incamminarono per i vialetti,quando a un tratto,Erik lo trattenne e gli fece segno di tacere:quindi lo trasse con sé dietro una siepe.
Su una panchina a pochi passi da loro,sedevano insieme madame Jardin e monsieur Roquebrune.
La povera donna pendeva incantata dalle labbra del vecchio leguleio vizioso:questi le teneva la mano tra le sue e le parlava con uno strano,falso fervore…
Madame Jardin ascoltò la sua richiesta,ma inizialmente tentò una timida resistenza;poi,molcita da chissà quali promesse,sembrò cedere.Infine Roquebrune tirò fuori dal panciotto uno scatolino e glielo porse.
Eccitata,la donnetta lo aprì e ne trasse una scintillante spilla,in oro e brillanti.Madame Jardin rimase esterrefatta;Roquebrune le chiese il permesso di appuntargliela,completando l’opera di subdola seduzione.Di lì a poco la donna gli prometteva solennemente fedeltà assoluta…
Ilia si lasciò sfuggire una imprecazione,ma Erik lo tacitò,invitandolo ad allontanarsi con lui.
-Dannazione,monsieur…qualcuno ha avvertito il notaio…e scommetto anche di sapere chi!- sibilò rabbioso,pensando al sordido cameriere del caffè.
-Meglio così,Ilia Semonov:ora l’uomo si è esposto…e parleremo direttamente con lui…Ma prima mi piacerebbe conoscere questo cameriere che vi irrita tanto…- rispose con glaciale ironia Sindial.


La mattinata per Aurora fu piuttosto impegnata:con Beatrice sistemarono il ricco guardaroba e tutto il corredo di biancheria che dalla maison Levigny era stato portato nella villa,in numerose casse.
Al termine,un po’ stanca,entrò nel salone e sedette al piano.
Intorno l’aria era densa dei profumi della primavera,sicchè le venne in mente un delicato brano che Brahms aveva dedicato alla stagione della fioritura e iniziò a sonarlo.
A un tratto ebbe l’impressione di non essere sola e si volse:alle sue spalle,appiattito dietro il battente della porta,il bambino la osservava con gli occhi sgranati.
Vistosi scoperto,tentò di sparire,ma la giovane donna lo raggiunse in breve,lo trattenne.
-Aspetta…non scappare…- gli disse.
Lui sembrò volersi confondere col muro,intimidito oltremodo,quasi ostile.
Aurora gli lasciò il passo:
-Se vuoi andare,non ti trattengo…-
Allora il piccolo sembrò rilassarsi,pur senza risolversi.
La donna gli tese la mano:
-Ma se vuoi restare,vieni…-
Il bambino mise allora lentamente la manina in quella di Aurora e docilmente la seguì nel salone.
Aurora gli indicò una sedia,ma lui fece cenno di no,trovò alloggio in un angolo e,restando in piedi,attendeva che ricominciasse a suonare.
La pianista riprese da dove aveva interrotto e osservando il visetto del bimbo,riflesso nel lucido legno del piano,le fu lampante che egli seguiva la musica:non era sordo!
Finito il brano,si volse ancora a lui:
-Avvicinati…- lo invitò,senza fare gesti.
Molto lentamente,il bambino ubbidì.
-Questo è un pianoforte…- gli spiegò,allora. –A ogni tasto corrisponde una nota,vedi…?
Ma il piccolo stava adesso curiosando tra gli spartiti.
-Ecco…queste sono le note…- gli disse ancora Aurora – Vedi? La mi do do…- gliele indicava sul pentagramma e le suonava sulla tastiera.
Il bambino afferrò una matita e scrisse qualcosa a fatica:LA…MI…
-Certo…bravo!- lo incoraggiò la padrona di casa,che non credeva ai suoi occhi.
Non solo il piccolo trovatello sentiva,ma sapeva anche scrivere,a livello rudimentale…
Intanto il bimbo con l’indice la stava indicando.
-Io?..io sono Aurora…- credette di interpretare la pianista.
Il bambino annuì.
-E tu?...- gli chiese lei.
Con difficoltà,il piccolo tracciò alcune lettere: G E R M E N.
-Germain?...è questo il tuo nome?- gli chiese allora la donna.
Lui annuì:la fissò e le fece un impercettibile sorriso.Anche lei sorrise,emozionata.
Il piccolo poi prese il foglio e disegnò qualcosa che somigliava alla facciata della villa,quindi scrisse sotto’CASA MIA’.
Aurora annuì,credendo fosse una domanda.
-Certo…-
Allora Germain scrisse: P A D R E M I O ?
Aurora non sapeva cosa rispondere. A chi alludeva il bambino?
Lui la trasse di impaccio:con pochi tratti disegnò il volto d’un uomo,col profilo mascherato…



Louis Fanellì lasciò il suo posto di lavoro come ogni pomeriggio,a fine turno.Svestita la giacchetta ingiallita da cameriere,cambiate le scarpe,si incamminò verso casa,lungo una strada stretta e poco battuta dal sole e dai passanti.Chi si sarebbe avventurato per quelle case grigie,opprimenti,caliginose…?
A un tratto,da un angolo gli si parò davanti un uomo:alto,imponente,avvolto in un mantello nero,col volto mascherato:sembrava aspettarlo al varco.
Louis pensò di avere le traveggole,magari la fame e la stanchezza lo avevano spossato;si volse indietro e intravide un giovanotto dall’aspetto familiare chiudergli l’ eventuale ritirata.
Il tempo di guardare di nuovo verso l’alto e il fantomatico gentiluomo era davanti a lui:
-Louis Fanellì?-
Umilmente,l’uomo annuì:
-Per…per servirvi,monsieur…- disse,deglutendo a fatica.
-Tempo fa qualcuno vi ha domandato informazioni sul notaio Roquebrune…e pare siate stato piuttosto reticente…-
-Infatti non…non so chi sia,monsieur…- tentò di ribattere il malcapitato cameriere.
-No?...Attento Fanellì,non mi piacciono i bugiardi,né tantomeno le spie… -disse Sindial,minaccioso.
Ilia si era fermato a qualche passo,osservando la scena altrettanto torvo.
Fanellì deglutì di nuovo.Ora lo aveva riconosciuto bene.
-Semonov,forse al nostro amico è tornata la memoria…Chiedetegli di nuovo se ha notizie del notaio..-
-Monsieur…vi prego…mi mettete in difficoltà…-
Erik lo mise spalle al muro;la sua stretta sulla spalla sembrò a Fanellì una morsa d’acciaio.
-Anche il mio segretario,si è trovato in difficoltà a causa vostra,l’altra sera…-
L’uomo sembrò stupito,terrorizzato:
-No…non ne so nulla…-
Intervenne Ilia:
-Non eravate alla casa …su a Pigalle,due notti fa?-
-Ah si…ma…non sapevo niente di voi,monsieur…dovete credermi…-
La stretta di Erik si fece più forte,il suo sguardo sinistro e minaccioso.
-Decidetevi a dire la verità…sto perdendo la pazienza…-
-Vi dirò quello che so…ma vi prego…- supplicò il cameriere.
Ilia guardò Sindial,che lasciò andare l’ometto.Questi rimase tuttavia rincantucciato nella parete:
-Quando mi avete chiesto di Roquebrune io non conoscevo il suo cognome…ma dalla descrizione ho capito di chi si trattava…Lo avevo incontrato su alla casa da gioco:gli dovevo del danaro…che naturalmente non avevo…Non vi ho risposto perché ho temuto che foste venuti a incassare per lui…-
-State mentendo di nuovo,Fanellì…-
L’uomo abbassò il capo.
-Il fatto è,monsieur,che io devo davvero del danaro al notaio…e lui mi ricatta,per questo…Mi ha chiesto di aiutarlo a far perdere le sue tracce,perché di debitori ne ha anche lui…Di mettere in giro la voce che sia partito,non sia più a Parigi…-
-Dunque non era a Pigalle?- domandò Ilia.
-No monsieur…ero andato appunto con l’intento di mettere in giro queste voci…Lui ha recentemente ricevuto una eredità(Sindial e Semonov si guardarono significativamente) e allora mi ha detto che,se lo avessi aiutato forse mi avrebbe abbonato parte del debito…E’ così avido,che invece di pagare i suoi,debiti,preferisce sparire,cambiare aria…-
-Gli avete riferito del mio incontro con madame Jardin?- gli domandò il russo.
-No…non specificamente…gli racconto quello che succede al quartiere,se qualcuno domanda di lui…-
Erik annuì,poi chiese:
-Ora dov’è?-
-Lo incontrerò domani sera,monsieur…-
-Dove?-
-Alla stazione…va a Marsiglia e poi si imbarca per il Sudamerica…-


Quando finalmente potè rientrare alla villa,Erik era pensieroso.
Lungo il cammino,però,il suo umore si addolcì:tornava a casa…
Pensò ai sogni ad occhi aperti fatti tempo prima.A casa lo aspettava Aurora:per lui era il sorriso,per lui l’abbraccio,per lui anche lo sguardo innamorato…
Spinse il cavallo al galoppo,ansioso di stringerla tra le braccia.
Forse nei prossimi giorni si sarebbe dovuto separare da lei,brevemente,e ne era francamente amareggiato...D’altro canto la sua attuale felicità non poteva vederlo complice di una ingiustizia:era sicuro che ai danni del piccolo fuggiasco fosse stato perpetrato un abuso…
Era finalmente arrivato.
Aurora era nel viale.Gli andò incontro,quasi di corsa.
-Erik!...-
Lui le aprì le braccia e la strinse amorevolmente.
-Anima mia…perdonami…so che è tardi…-
-Ho tante novità…- gli confidò,con un accenno di sorriso.Ma c’era qualcosa che la turbava.
Lui pensò innanzitutto a baciarla,riassaporare il miele del suo sorriso.E questo sembrò già confortarla.
Poi tenendola stretta a sé,passeggiarono insieme verso il ruscello,per un po’ senza parlare,godendosi l’aria profumata di quel pomeriggio primaverile.
Un salice allungava le sue radici verso l’acqua:si adagiarono ai suoi piedi ,l’una nelle braccia dell’altro osservando lo strano gioco di riflessi nell’acqua che scorreva sui ciottoli.
-Vuoi dirmi che c’è di nuovo?- le chiese lui,nascondendo le labbra tra i suoi capelli.
-Si…il bambino…- esordì Aurora.
-Avete familiarizzato?- le chiese,guardandola intenerito.
-Si…Erik, lui sente…e sa anche scrivere…-
-Sa scrivere?- l’uomo era piacevolmente stupito.
-So il suo nome…Si chiama Germain!...e…-
Erik si accorse ancora del turbamento di lei.
-E?...che altro hai scoperto?-
-Lui crede che tu…sia…suo padre!-



Erik si irrigidì,aggrottando le sopracciglia.
-Come puoi dire questo?Come può credere che io sia suo padre?-
-Abbiamo comunicato…-
Aurora si accorse del rammarico sul viso di Sindial,che scuoteva la testa,con amarezza.
-Spero che tu non lo abbia assecondato…sai bene che non è così…- le disse,con una leggera sfumatura di rimprovero.
La donna rispose difendendosi con dignitosa serietà:
-Io so chi tu sei…ma non so niente di quel bambino:chi è suo padre? Dov’è ora?-
-Credo che sia morto…probabilmente …- rispose lui,abbassando la testa.
Aurora si sollevò leggermente sul busto,guardò lontano:
-Lui crede che questa sia la sua casa…ora che ci penso,sembra quasi conoscerla…-
Erik la guardò:era bella e desiderabile sullo sfondo del tramonto.Aveva cambiato la sua vita,completamente..Per trovarle una casa si era imbattuto in questo De La Revenge…lo stesso uomo che –per un intricato disegno del destino- aveva dato un corpo al Fantasma… Per lei ora si trovava a vestire i panni insoliti del giustiziere…
La afferrò e l’attrasse a sé,baciandola con calda avidità,lì sull’erba.
Lei gli cinse il collo e quando lui si sollevò a guardarla,gli carezzò il profilo e i capelli.
-Che cosa ti rende così difficile accettare il suo affetto?-
Lui scosse la testa.Un nodo gli serrava la gola.
Dare e ricevere affetto era insolito,troppo insolito per lui.
Era ancora troppo presto perché il suo afflato di carne e sangue potesse trovare invece le parole della dolcezza,della tenerezza.
La guardò sperando che potesse capirlo,che il suo silenzio non le risultasse estraneo.
Lei sostenne il suo sguardo,poi abbassò gli occhi:una lacrima le bagnò le ciglia.
Quindi lo strinse contro di sé,più forte.
-Oh Erik…povero amore mio…-gli sussurrò all’orecchio.
Lui la baciò ancora,con desiderio e gratitudine insieme.Poi le promise:
-Ho bisogno di tempo…ma la porta è socchiusa,anima mia…-
Quindi si alzò,aiutandola a fare altrettanto:
-Rientriamo,ora…-le carezzò i capelli,che sull’erba si erano sciolti,le sfiorò le braccia e la cinse per la vita. Pensò con gioia selvaggia che un’altra notte d’amore li attendeva...
Entrando sul portico,però,sulla soglia,nel marmo dello scalino lo sguardo di Aurora cadde sulla labile traccia dell’antico cognome dei De La Revenge,appena visibile benché la pietra fosse stata levigata.
Aurora lo scorse e abbassò la testa,pensosa.Poi guardò interrogativamente Erik,con un sospiro.
Anche lui inspirò,riflettendo.Poi decise:
-Entriamo in casa…voglio raccontarti qualcosa…-


Con poche parole frutto della sua irriducibile reticenza,Sindial andava informando Aurora del modo in cui era entrato in possesso della villa.
-De La Revenge sembrava non aver lasciato nessuno e sostituirmi a lui significava non solo acquisire questa proprietà,ma anche un nome,una dimensione pubblica…- concluse,guardandola significativamente.
-Capisco…-
-Poi però è saltato fuori quel bambino… viveva praticamente su quella tomba senza nome,dal giorno che vi era stato sepolto quel corpo non identificato.. che forse per lui non era sconosciuto…-
-Tu pensi…che Germain sia figlio di De La Revenge?-
Erik scosse il capo.
-Quello che so è che il notaio mi ha deliberatamente taciuto questa storia,ed io non gliela perdono… -la voce dell’uomo era una lama d’acciaio.
Aurora rabbrividì.
-Cosa intendi fare?- gli chiese,un po’ preoccupata.
Lui la guardò:era seduto sul bordo del loro letto,davanti al fuoco,con la camicia aperta,.Lei invece rimaneva in piedi,poco distante,ancora vestita.
- So che domani sera prenderà il treno per Marsiglia… Prima che prenda il largo,voglio parlargli -
Intanto le aveva preso le mani e l’aveva attratta contro di sé.
Poggiando il capo sul suo seno,si era sfogato:
-Non costruirò la nostra felicità su un’ingiustizia…-
Lei si chinò a baciargli i capelli e la fronte:
-Non ho mai dubitato di ciò…Sai che ti amo…e mi fido di te…-
Erik pensò che l’amava e la voleva…le sbottonò il colletto dell’abito e continuò a baciarle il collo,giù fino al seno,cercandone avido la pelle nuda.A poco a poco le sue mani aprirono tutto il vestito,finchè non cadde sul pavimento.Ma le sue mani non si fermarono.
La desiderava.Sembrava che il desiderio di lei non dovesse esaurirsi mai.
Così anche il busto cadde a terra e le spalline della sottoveste scivolarono giù,lasciandola seminuda.Poi senza parlare,guidandola coi baci,i sospiri,le carezze,la indusse a sedersi su di lui,tra le sue braccia e la prese così.
Aurora impazzì ripetutamente in quel suo abbraccio,e ripeteva come in un sogno le parole che lui le sussurava,ardente:
-Il tuo piacere è il mio piacere…-
E sembrava che quel piacere non dovesse finire mai…

Al mattino,dopo colazione,Sindial si congedò dalla giovane sposa.
-Dunque stanotte tornerò tardi…forse non tornerò affatto…-
Aurora impallidì,si alzò,andò verso di lui:
-Perché dici così? Non correrai dei pericoli?…Quest’uomo,Roquebrune…non voglio ti faccia del male…-
Lui la tranquillizzò,sciogliendosi dal suo abbraccio e cominciando a prendere il mantello:
-Non succederà…ma non so quanto tempo mi dovrò trattenere lontano da casa…-
-Erik…- Aurora lo abbracciò di nuovo.
Aveva ancora la veste da camera e la camicia profumava di lavanda e del tepore del suo corpo.
La baciò tenero e sensuale,poi insinuò le labbra sul suo collo,per sentirla ancora una volta abbandonarsi tra le sue braccia.Infine con dolcezza la lasciò andare.
-Ti prego,stai attento a te…-si raccomandò lei.
Lui la guardò,adorante:
-Non dubitare…la vita mi è così bella,ora,che non ne sciuperei un solo attimo…- la rassicurò ancora,poi avvoltosi nel suo mantello,uscì.


Rimasta sola,Aurora seguì a lungo con lo sguardo Erik che si allontanava sul calesse,fino a scomparire nella curva in fondo al viale.
Rientrando ebbe nuovamente un capogiro e chiamò Beatrice,sopraggiunta in tempo per sostenerla.
-Madame…forse dovreste chiamare un medico…- le suggerì timidamente la giovane cameriera.
-Hai ragione…ora credo sia opportuno…-la rassicurò. –Occupatene tu stessa…Si tratta del dottor Parmentier…-
Aurora scrisse su un foglietto nome e indirizzo del vecchio medico di famiglia.
-Puoi farti accompagnare da Harun…Chiedigli di venire questo pomeriggio…-
-Certo madamoi..volevo dire Madame…- si scusò imbarazzata la domestica – Ma voi rimarrete sola?-
-Non preoccuparti…ma torna presto!- si raccomandò,sapendo di lusingarla.Quindi andò a vestirsi.
Era davanti allo specchio,a spazzolare i capelli ribelli,quando le tornò in mente l’ultima volta che aveva incontrato il dottor Parmentier…Sospirò.Ricordava ancora la sua voce leggermente afona,sottile,consigliare a zia Blanche il ricovero nella clinica in Provenza…
-Probabilmente lì a poco a poco potrà rimettersi….non saprei cos’altro consigliarle,madame Levigny…-
Quel pomeriggio lo avrebbe anche rivisto,dopo tanti anni…
Si intristì senza motivo.Decise allora di andare a suonare.Il piano era il suo amico di sempre.
Sedette e suonò ‘Apres d’un prelude’,la musica che Sindial aveva scritto per lei,per loro due.Ormai la conosceva a memoria,ma ogni volta che la suonava aggiungeva un tocco del suo amore,un frammento del puzzle che a poco a poco avevano ricomposto tra di loro…
Quando ebbe concluso l’esecuzione,vide,riflesso nell’ebano lucido del piano,Germain,fermo nel suo solito angolo.
-Ciao…- gli disse con un sorriso. –Mi fai compagnia?- aggiunse porgendogli la mano.
Lui annuì,con la testa.Le si avvicinò,trattenendola però al piano.
-Vuoi che suoni ancora?-
Di nuovo Germain fece segno di si,con la testa.
Aurora allora suonò qualcosa di Mozart,lezioso,spumeggiante,delicato.Germain sorrise.
Poi prese la matita e formulò a suo modo una domanda:LA FAI TU QUESTA MUSICA?
-No…io la eseguo…ma non l’ho composta…Vedi? Questa è di Mozart…pensa che l’ha composta quando era poco più grande di te…-
Germain trovò lo spartito di Eine Kleine Nachtmusik,decorato da Erik.Lo sfogliò affascinato ed entusiasta.
-Anche quella è di Mozart,ma i disegni li ha fatti monsieur Sindial…-
Il bambino la guardò interrogativo.
-Monsieur Sindial…il padrone di casa…- proseguì Aurora,un po’ provocatoriamente. –L’uomo con la maschera…-
Germain disegnò di nuovo l’uomo con la maschera e scrisse quasi con rabbia:PADRE!
-E’ tuo padre,dici?...e come si chiama?-
Germain aggrottò le sopracciglia,un po’ offeso,poi scrisse:PAPA’ HENRY…
“Henry…Henry De Le Revenge…’ pensò Aurora,addolorata,perplessa.Ma non disse nulla.



Il treno per Marsiglia si staccò lentamente dal capolinea e tra i fischi della sirena,gli sbuffi di vapore della pesante locomotiva,piano piano accelerò uscendo dalla Garde du Nor,come un grosso drago d’acciaio.
Il notaio Roquebrune si era liberato della sciarpa,del cappello e del soprabito,elegantissimi,che aveva acquistato per quel viaggio:nell’aspetto esteriore si era apparentemente ripulito,ma il volto continuava a mostrare i segni degli anni e del vizio.
Aveva prenotato uno scompartimento tutto per sé.Non aveva badato a spese:l’unico lusso concessosi in terra natia,per non dare nell’occhio ai suoi creditori,che se avessero saputo dei suoi recenti guadagni e della sua fuga,lo avrebbero spolpato vivo.
Sedette e tirò fuori dalla tasca interna della giacca una fiaschetta d’argento.
Ne trasse un lungo,voluttuoso sorso,quindi svogliato guardò fuori.
Era già buio:Parigi scompariva alle sue spalle…
Pescò un quotidiano tra i tanti che aveva portato con sé e cominciò a sfogliarlo.
Di lì a poco il treno entrò in una galleria.Le luci di cortesia si spensero.Qualcosa di strano si avvertì nell’aria.Roquebrune ebbe freddo,improvvisamente.
Usciti dal tunnel,la luce,fioca tornò.Di spalle davanti a lui un uomo stava sistemando la sua borsa da viaggio.
-Non l’ha avvertita il capotreno?questo scompartimento è tutto prenotato…- disse infastidito il notaio.
L’uomo si volse,piano,con una mossa studiata.
Indossava un mantello nero e voltandosi qualcosa di argenteo baluginò sinistro sul suo viso:
-Nessuno…e del resto avrebbe fatto poca differenza,monsieur Roquebrune…-rispose con una voce che sferzava l’aria.
-Oh…monsieur Sindial…che inattesa coincidenza…ma nel vostro caso…è chiaro…- Il notaio tremava e,con la cosa dell’occhio guardava la porta dello scompartimento,da cui era scomparsa la piccola chiave…
-Una coincidenza?....vi sbagliate,notaio:io sono qui per parlare con voi.-
C’era il gelo nel piccolo abitacolo.Roquebrune sentì che il fiato gli cominciava a mancare.
-Non capisco…cosa…Controllore?- gridò a un tratto con voce chioccia.
Erik lo fulminò con lo sguardo.L’invocazione gli si soffocò sulle labbra.
-Non c’è nessuno che può sentirvi…-
Il notaio deglutì.
-In che cosa potrei…servirvi?- disse infine,impallidendo.
-Voi avete trascurato di dirmi qualcosa…non è vero?-
-Non capisco a cosa alludiate…-
-No?...Avevate detto che tutto quello che rimaneva di De La Revenge era quella casa…Avete mentito…-
-No,monsieur…non c’era altro…-rispose il notaio,convinto.
-No? E che mi dite di un bambino di nome Germain?- gli chiese con veemenza Sindial.
Il treno fischiò stridulo,attraversando una nuova galleria.
Il notaio ruppe di nuovo il silenzio con la sua voce greve d’affanno e d’alcool.
-Era la primavera del 1871…Non vedevo De La Revenge da mesi,ma sapevo di lui:dal 70 frequentava dei circoli rivoluzionari…si era legato ad una ‘pasionaria’…una vedova …Gli aveva fatto perdere la testa!...e gli chiedeva sempre soldi per la causa…Soldi non ce n’erano:lui si è venduto tutto…Mobili,quadri,suppellettili…tutto quello che era in casa…-
-Lui?...-Lo interruppe inquisitorio Erik.
Il notaio glissò.
-La casa per fortuna era vincolata…Era l’unica sua proprietà…Una sera venne nel mio studio;era pallido,distrutto…per mano portava un bimbetto di quattro,cinque anni al massimo…Me lo presentò come Germain,poi mi fece capire che la madre…aveva fatto una brutta fine…- il notaio parlava con disprezzo di quella donna.
Erik lo seguiva,attento a ogni sfumatura.Sospirò pensando a Germain,a sua madre,allo sfortunato De La Revenge...
-Poi mi affidò il piccolo…raccomandandomi di occuparmi di lui…in sua assenza…e..ovemai non fosse tornato…Io tentai di interloquire,di fargli capire:come potevo tenere quel moccioso con me?cosa gli avrei dato da mangiare?pane e cambiali?...Ma lui sembrava parlare senza ascoltarmi.Probabilmente sapeva che non sarebbe più tornato…-
Roquebrune prese fiato,tirò fuori la fiaschetta e bevve un'altra lunga sorsata.
-Proseguite!- gli ingiunse Sindial.
-Ho poco altro da dire…purtroppo.Mi affidò il bambino e si allontanò.Quello cominciò a strillare come un ossesso:Papà Henryyy…non mi lasciareee…- il notaio scimmiottò la nocetta di un bambino.
Erik trasalì.Gridava?Germain gridava?
-Lo trattenemmo a stento,io e madame Jardin,la mia segretaria.Si raggomitolò in lacrime sul divano del mio studio e sembrò essersi calmato.Poi lei mi suggerì di darglielo:sua sorella aveva una casa in campagna…-
-Ebbene?-
-Decidemmo il giorno seguente che lo avremmo accompagnato insieme…Mentre prendevamo gli ultimi accordi,quella piccola canaglia approfittò per scivolare via e scappare…-
Erik strinse i pugni e le mascelle.
-E voi?Non lo avete cercato?-
-Era notte…c’era la guerra civile,il coprifuoco…Ma dov’eravate voi,monsieur?Qui a Parigi si moriva per le strade…-
-Avete lasciato andare un bambino che vi era stato affidato…avete contravvenuto alle ultime volontà di un vostro cliente…- La rabbia montava in Sindial,che incalzò senza pietà il notaio.
-Che potevo fare?...Non sono un missionario…e smettetela di aggredirmi! –l’alcool aveva reso Roquebrune stranamente audace e aggressivo- voi non siete migliore di me,monsieur Sindial! E almeno io non debbo vergognarmi della mia faccia!...-
-Dannata iena….- Erik aveva gli occhi iniettati di sangue.Il suo braccio si tese e afferrò il notaio alla gola,strozzandogli le parole in bocca.
Una voce lo richiamò all’ordine,dall’altra parte dell’uscio.
-Monsieur Sindial?.....tutto bene….-
Erik fissava negli occhi Roquebrune,il cui colorito diventava vagamente bluastro.
-Tutto bene,Ilia Semonov…- rispose,allentando appena la presa.Non si sarebbe rovinatola vita per quell’omuncolo. –Il notaio ha solo bisogno di una boccata d’aria…-
Così dicendo lo lasciò andare.L’uomo tossì,violentemente.
Erik si alzò,abbassò il finestrino e un’aria gelida ma pulita entrò nello scompartimento.
Quindi guardò tra i bagagli di Roquebrune e individuò una borsa gonfia.Piena del denaro che gli aveva versato per la villa..
La afferrò,l’aprì.Il vento nello scompartimento cominciò a sollevare le banconote in un mulinello vorticoso.
-Che..che cosa fate…?-gli domandò Roquebrune.
-Alleggerisco il vostro carico….-rispose Sindial. Il denaro volava via dalla finestra,irrefrenabile.
-Noooo…siete pazzo?...nooo…I patti erano diversi! Vi denuncerò!-
-Mi denuncerete?...e che valore può avere la vostra parola,notaio?...Che valore avrà la vostra vita,se rimarrete in Francia un minuto di più?...-
-Mi state minacciando…?- osò ancora domandare il vecchio leguleio.
-No…non io…i vostri creditori,monsieur…Hanno saputo dell’eredità,e non vedono l’ora di dividerla con voi!...-Ciò detto Erik gettò la valigia ormai vuota dal finestrino,lo richiuse e,senza più guardare il vecchio devastato e sconfitto,uscì dallo scompartimento,richiudendosi con un colpo secco la porta alle spalle.


Ilia Semonov fu svegliato dai rumori che salivano dalla strada:mise qualche minuto a orientarsi.Ancora una stanza d’albergo,ancora un letto estraneo…ancora un’avventura condivisa con Sindial.
Si alzò dal letto,stiracchiandosi:aveva dormito vestito,liberandosi solo della giacca e delle scarpe.
Versò l’acqua nel canterano e si sciacquò il viso;poi finalmente schiuse a poco a poco le persiane:la piazza davanti all’albergo brulicava di gente…era giorno di mercato,quello,a Digione.
Si massaggiò la nuca,sorridendo:ricordava ancora le colorite fiere delle sue parti…
Finalmente infilò la giacca,si ravviò alla meglio i capelli e uscì dalla stanza.Si avvicinò alla porta della stanza di Sindial,bussando piano.L’uscio era appena accostato:all’interno una graziosa giovane cameriera stava già rifacendo il letto.Gli sorrise,leggermente imbarazzata:
-Si,monsieur?-
-Perdonatemi..cercavo monsieur Sindial,l’ospite di questa notte…-
-Mi dispiace…ma credo sia andato via…-
Il giovanotto annuì,elargendo un suo caldo sorriso alla giovane lavorante,quindi scese nell’ingresso.
-Oh,monsieur Semonov…il vostro compagno di viaggio è partito che era ancora buio…vi ha lasciato questo…-
Era giusto un appunto su un foglio intestato dell’hotel:’Rientrate pure con calma.Ci rivedremo a Parigi. Sindial’.
Dopo averlo letto,Ilia annuì col capo,in silenzio.
-Il prossimo treno per Parigi è tra un’ora giusta…avete il tempo far colazione…Sentirete:abbiamo il pane più profumato e morbido di Francia…- gli propose l’albergatore,affabile.
-Grazie…lo assaggerò con piacere…-
-E naturalmente dovete provare la nostra mostarda…!-
Ilia sedette al tavolo dell’accogliente saletta ristorante e,mentre attendeva di essere servito,tirò fuori il suo taccuino .
Si fermò a tracciare con la matita parole immaginarie,mentre la sua mente inseguiva in lontananza una nuvola di fumo.Poi iniziò a scrivere:

‘Epilogo

La fine d’una storia ne segna sempre l’inizio di una nuova.
La storia di Sindial forse volgeva al termine:non intendo dire la storia del nostro incontro,dei nostri viaggi,delle nostre condivisioni ,della nostra amicizia…
Parlo del percorso dell’anima che avevamo compiuto l’uno accanto all’altro,in silenzio:quel percorso sembrava essere giunto a una destinazione,il silenzio diventava parola,la parola diventava romanzo…
Quella notte eravamo montati su un treno diretto a Marsiglia:Sindial avrebbe finalmente affrontato il notaio Roquebrune,avremmo saputo la verità sul piccolo orfano del cimitero.
Mi ingiunse di rimanere fuori dello scompartimento e attenderlo.
Così feci,rubando al rumore del convoglio che ansimava sulle rotaie,brani di quella triste confessione.
Il bambino non era figlio di De La Revenge,ma della donna che questi amava.E prima che il comunardo affrontasse l’ultima resistenza,lo aveva affidato proprio al notaio…
Ma Germain –questo il suo nome –era fuggito…
Quando Sindial uscì dallo scompartimento era livido,sconvolto.
Approfittando di un rallentamento del treno,mi invitò a scendere,così,come due clandestini…
Rotolammo a terra,ma l’erba attutì la caduta. Ci ritrovammo stesi ,sulla scarpata che correva parallela ai binari.
Restammo immobili,per qualche minuto,adattando gli occhi al fioco chiarore notturno. Ce ne stavamo stesi nell’erba un po’ umida,col cielo stellato che brillava sopra di noi.
Lui era insolitamente triste,dolente.
-Toccherà camminare lungo i binari…- gli dissi.
Insolitamente,rialzando la testa,mi sorrise,condividendo con me i ricordi della lunga strada percorsa da San Pietroburgo alla mia casa.
-Che vi succede,Sindial…?-
Lui mi sorprese ancora.
-Voi che siete uno scrittore,Ilia…come la raccontereste questa storia?-
Non risposi.Riflettevo.

‘Henry De La Revenge correva come un forsennato tra le strade del quartiere latino:doveva riuscire,doveva raggiungere Mont Martre prima dei ‘Regolari’.
La rappresaglia era scattata dalla mattina.Il suo gruppo di combattimento aveva discusso a lungo se intervenire,rischiando di soccombere,o mantenere la posizione,lasciando gli altri al loro destino.Si era battuto come un leone per convincerli a prestare soccorso ai compagni.Povero sciocco…I rivoluzionari sono idealisti,ma non sentimentali.Se fossero intervenuti,si sarebbero giocati l’ennesima possibilità di resistere…
Allora Henry era andato da solo.
Ora correva col cuore in gola,disperato:si avvertivano ancora spari e grida salire dalle case.
-Mio dio,fa’ ch’io arrivi in tempo…- si ripeteva,cercando energia nella disperazione.
No,non arrivò in tempo.
Riconobbe la treccia rossa di Fantine,il suo corpo riverso su quello degli altri…
-Nooo…Fantineee…- si buttò su quel corpo senza vita,lo strinse a sé,ne baciò le labbra già fredde,esangui.E pianse come un bambino.
Poco dopo si accorse che non era solo;altri comunardi lo avevano seguito,cacciavano gli ultimi soldati,prestavano i primi soccorsi ai sopravvissuti:donne,bambini..
Bambino? Dov’era Germain? Si domandò a un tratto,impietrito dall’orrore…Morto anche lui?
Ne cercò il piccolo cadavere tra quelli di altri innocenti,risalì fino alla loro casa,sventrata dalla razzia vandalica dei soldati.Il piccolo non c’era.
Sua madre si era lasciata così prendere dalla rivoluzione,che spesso lo aveva dimenticato…Henry pensò alle discussioni: -Perché ti interessa tanto dove sia Germain? È forse tuo figlio?- gli aveva rinfacciato lei,una volta.
No,non era suo.Ma lui lo sentiva come tale.Da quando il piccolo Germain aveva cercato rifugio tra le sue gambe,chiamandolo ‘papà Henry’ la prima volta:quel giorno,lui e Fantine si erano guardati negli occhi.E quel richiamo li aveva uniti ancora più profondamente.
Ma la guerra dilania tutto,anche i cuori degli uomini.E lui aveva tante volte cercato di sottrarre Germain a quella strage intestina.
Una volta lo aveva portato con sé alla villa.
Era una vecchia casa diroccata,ma la posizione defilata l’aveva sottratta alla rivoluzione,l’aveva protetta.Erano andati là a rimediare qualcosa da rivendere.Questa era la scusa,almeno.
Ma Henry era rimasto a guardare Germain correre sull’erba,rincorrere le farfalle,osservare i pesciolini tra i sassi sul greto del ruscello…
-Mi piace la tua casa,papà Henry…- gli aveva confessato,candidamente.
-E’ anche la tua,Germain…-
Dov’era ora il piccolo Germain?Che ne era stato di lui?
Un sibilo,un fischio familiare.Qualcuno rientrava a casa.
Henry riconobbe il segnale che avevano inventato tra loro,scese giù:Germain e altri monelli in frotta attraversavano spauriti il quartiere profanato dai ‘regolari’.Gli corse incontro,lo abbracciò forte,sentì per un ‘ultima volta tra le sue braccine rifiorire il tepore dell’abbraccio di Fantine.
Lo portò via.
Ma la guerra non aspettò,concesse loro solo una breve tregua,poi li separò per sempre.
Una sera,una delle ultime sere di maggio,i compagni vennero a dirgli che era finita.L’ultima resistenza si sarebbe asserragliata nell’Opera e nell’Hotel de la Ville…
Henry pensò di affidare Germain alle uniche persone che conosceva,estranee alla rivoluzione:il notaio Roquebrune e la sua segretaria.
Forse…si sarebbero riabbracciati.O forse no…’

Sindial sembrava scrutarmi l’anima,sentire le mie stesse emozioni nel ricostruire quella vicenda dolorosa.
-Forse è proprio così,che è andata…-mi interruppe.
Ero turbato io stesso da come avevo rivissuto la scena.E mi turbava la sua rara partecipazione.
Come se lo indovinasse,mi confessò:
-Sapete Ilia per anni ho vissuto ripiegato così tanto su me stesso da ignorare il resto:vedevo solo il mio dolore,la mia solitudine,il mio destino…-
-Ed ora?- gli chiesi.
-Ora…ora è diverso,ora ho alzato la testa…Ho voi,Ilia…Ho Aurora…-
Lo ringraziai di quel riconoscimento,di quell’accostamento.
Lui proseguì,come senza accorgersene:
-Voi siete la mia buona coscienza…Aurora è il mio cuore,la mia anima…-
-Siete generoso,Sindial…-gli dissi ancora.
Scosse la testa,pensoso.
-Entrambi indispensabili…-soggiunse.-…Forse,senza coscienza potrei sopravvivere,ma senza cuore…-
-Perché dite così?-cercai di interromperlo,di strapparlo a quei tristi pensieri.
-Senza cuore sarei di nuovo un morto vivente,e per sempre…- concluse.
Mi aiutò a rialzarmi.Quindi tentammo di orientarci:la notte era punteggiata di stelle e una luna pallida andava tramontando dietro le colline.
Prendemmo la direzione opposta al treno:da poco avevamo superato la stazione di Digione.
Il paese non distava molto.Cominciammo a distinguerne qualche luce in lontananza.Poco lontano dalla stazione,sulla piazza,si affacciava un alberghetto discreto.Vi entrammo,per passarvi la notte.
Mi gettai sul letto,sfinito.E mi addormentai.E nel sonno fui certo che Sindial non sarebbe rimasto a lungo nella sua stanza.No.Troppo forte il desiderio di abbracciare stretta la sua piccola Psiche’


Quel pomeriggio,annunciato da un flebile tintinnio di campanaccio,che pendeva al collo del suo vecchio baio,il piccolo landò del dottor Parmentier fece il suo ingresso nel viale della villa.
Aurora ne seguì l’arrivo da dietro i vetri della sua finestra:il medico di famiglia era invecchiato,rispetto alle ultime immagini che conservava di lui.I capelli da sale e pepe erano incanutiti completamente,il fisico sottile e asciutto ora appariva stranamente fragile,instabile il passo fermo di un tempo.L’uomo prese con sé la sua borsa professionale e bussò con discrezione al campanello.
Gli aprì Beatrice e lo introdusse nelle stanze interne.
-Buon giorno,dottor Parmentier…- gli disse Aurora,andandogli incontro.
L’anziano professionista restò impercettibilmente incantato,per un attimo:chi era quella giovane donna,quella rosa in boccio che gli apriva affettuosa le braccia e gli schiudeva il sorriso? Stentò a identificarla con la ragazzina magra,spaventata,ostile che lo aveva ricevuto l’ultima volta senza luce nello sguardo né voglia di vivere nel cuore.Poi però le due immagini si sovrapposero:quello che era in nuce cinque anni prima aveva finalmente trovato il suo sviluppo…
-Madamoiselle Aurora…- esclamò istintivamente l’uomo,correggendosi subito dopo –Perdonatemi…Madame Sindial…-
-Per voi,dottore,semplicemente Aurora…- lo rassicurò la pianista,introducendolo nella stanza da letto.
La visita fu lunga e accurata.Beatrice era in attesa davanti alla porta,con le orecchie tese per cercare di carpire in anteprima ogni informazione.Finalmente,la maniglia della porta si abbassò lentamente e il medico ne uscì,seguito dalla padrona di casa.
La domestica tentò,scrutando i visi dei due, di trovare conferme ai suoi più che fondati sospetti:Aurora era visibilmente emozionata,ma il dottor Parmentier conservava la sua espressione seria,quasi arcigna.
Sulla porta,infine,raccomandò:
-…Promettetemi di essere prudente,Aurora..è una strada in salita che dovete percorrere e gli ostacoli non mancano…-
-…Dottore,la maternità è quanto di più naturale ci sia,dall’inizio dei tempi…- ribattè lei.
-…E’ vero…ma abbiate riguardo per voi- si guardò intorno nervosamente – Mi spiace che vostro marito non sia qui,glielo avrei raccomandato personalmente…Tornerò a visitarvi periodicamente!-
Aurora lo congedò con un sorriso radioso,che finì per contagiare anche il vecchio medico,costretto a ricambiarglielo.
-A presto,dottore…-
-A presto,madame Sindial…- ripetè lui,allontanandosi.
Aurora si volse:Beatrice era dietro di lei,sospesa.La giovane sposa si limitò a sorriderle,sognante.
Quindi uscì sul portico e poi nel parco.
Camminò sull’erba,verso il ruscello.
Provava una certezza nuova,una sensazione di eccitante euforia. Era vero,proprio vero…aspettava un bambino,il bambino di Erik,il bambino suo e di Sindial…
La gioia le bagnava le ciglia di commozione.
Ma al tempo stesso tutto le sembrava così incredibile:passare dal buio alla luce,dalla paura di sognare a una vita bella come un sogno…Ritrovarsi tra le braccia di quell’uomo che l’aveva turbata da bambina,scoprire che le aveva salvato la vita…Ed ora essere sua moglie,di più..la madre di suo figlio…
Il suo corpo e la sua anima vibravano nell’aria del tramonto primaverile,all’unisono con la rinascita della natura…
Improvvisamente una piccola mano si strinse alla sua.Abbassò lo sguardo.Era Germain…
Aurora provò una fitta,un sapore amaro:la vita sapeva essere così ingiusta,a volte.
Cosa era successo a quell’orfanello? Dov’erano i suoi genitori? Perché gli erano stati strappati?
Nel buio della sua cecità per anni non aveva avvertito che la propria condizione di dolore:ma ora aveva aperto gli occhi,sulla felicità e anche sugli altri.
Sorrise al nuovo arrivato e lui le ricambiò il sorriso,stringendosi al suo fianco.Passeggiarono così insieme,lungo le sponde del ruscello.Poi il bimbo attirò la sua attenzione.
-Che c’è?...vuoi dirmi qualcosa?-
Germain mimò due mani che si muovevano su una tastiera.
-Vuoi che suoni il piano?...-
Lui annuì,con un sorriso più generoso.
-Andiamo…-


Questa volta sedettero insieme sul seggiolino:Germain sceglieva gli spartiti,un po’ a casaccio e ascoltava Aurora suonarli.Intanto ne sfogliava altri. Rimaneva sempre incantato a guardare i disegni che Erik aveva fatto per ‘Eine kleine nachtmusik’ e mentre li rimirava ascoltava compiaciuto la musica in sottofondo.
A un tratto si alzò in ginocchio,per sfogliare meglio e frugare.Finalmente tirò fuori uno spartito breve,senza titolo.
La pianista ne lesse a mente la prima parte e lo riconobbe:era una ninna nanna…Ebbe una sorta di riserbo:avrebbe voluto sonarla esclusivamente per il loro bambino…Si rimproverò,per quel pensiero e,facendo forza a se stessa,poggiò lo spartito sul leggio.
Germain la fermò.Con la matita scrisse: DOVE PAPA HENRY?
-Monsieur Sindial?...- Aurora rabbrividì.
Erik era alla ricerca della verità,in quel momento.Metteva a rischio la propria incolumità per conoscere la vera storia di Germain.
-E’ in viaggio..- gli rispose.-Se tutto va bene tornerà domattina..- una sfumatura di malinconia le incrinò la voce.
Il bambino sembrò accorgersene. Scrisse:TI MANCA LUI?
Lei annuì sorridendo.
-Si…-
Germain scrisse ancora:TORNERA’…
E la guardò,quasi supplice.
Lei cercò di dargli coraggio.
-Certo…domani sarà qui…e staremo insieme…-
Il bimbo scosse la testa.
Scrisse: LUI NON VUOLE…
Aurora pensò a quanto poco espansivo Erik era stato con lui.Come spiegarglielo?
Si limitò ad abbracciarlo,rincuorandolo:
-Non è come pensi…-
Entrò Harun,silenzioso e discreto e richiamò Germain ai suoi doveri.
Aurora lo vide allontanarsi,seguendolo con lo sguardo.
Poi,istintivamente,senza remore, suonò la dolce ninna nanna che Sindial aveva scritto per lei…








Erik aveva cavalcato tutta la notte,nell’intento di rientrare a casa prima del sorgere del nuovo giorno.
Il cavallo che gli avevano procurato non era certo scattante come Melas,ma finì per adeguare il passo al suo desiderio e,schiumando ansante nitrì soddisfatto quando,davanti al cancello,finalmente il suo cavaliere gli tirò la cavezza,arrestandolo.
L’uomo smontò,schiuse piano il cancello perché il cigolio non risvegliasse la casa addormentata.
Entrando,un lume rimasto acceso nella stanza della musica lo richiamò.
Il piano sembrava attenderlo.
Ripensò a qualcosa che l’amico Ilia gli aveva detto,a conclusione dei loro discorsi:
-Io posso raccontarla con la penna,questa storia…ma voi,Sindial…voi avete le note…-
Una nuova,irrefrenabile ispirazione si accese in lui:sedette al piano,e i suoi occhi videro il sipario aprirsi:un’opera,avrebbe scritto un’opera…un’opera che parlasse di Parigi,delle sue barricate,dei suoi eroi della strada…Un’opera nella quale i mille intricati destini di anonime vittime della storia si intrecciassero,e ciascuno,anche il più piccolo,il più oscuro,il più silenzioso ingranaggio dell’umana tragedia avesse finalmente voce…
La sua mente immaginava,le sue mani componevano:nell’Ouverture erano già concentrati tutti i temi che avrebbe sviluppato…
A un tratto,qualcosa interruppe il fiume del suo estro generoso.
Avvertì impercettibili passi a piedi nudi dietro di lui.
Guardò nel legno lucido il riflesso alle sue spalle:riconobbe la sagoma del piccolo Germain,che lo osservava:si volse solo un momento a guardarlo,senza parlargli.Ma sembrò,con quello sguardo,concedergli il permesso di restare.
Germain allora passo dopo passo gli si avvicinò.E lo osservò,dal basso.Si guardavano,si misuravano.
A un tratto il bimbo sollevò il braccino a sfiorargli la maschera,cercò timidamente il modo di sfilarla.
Lui lo fermò,con la mano e la voce:
-No…Non troveresti quello che cerchi…-
Il piccolo si fermò,chinando il capo scornoso,come a contenere la rabbia e la delusione.
-Tu credi che sia un altro…- soggiunse Erik.
Germain prese una matita e scrisse sullo spartito: TU PAPA’HENRY..
Erik scosse il capo.
-Non è come pensi…-
Senza singhiozzi né gemiti,il piccolo iniziò a piangere:erano solo lacrime mute che gli rigavano le guance.
Erik sospirò profondamente,alla ricerca dentro di sé di un gesto,un moto di tenerezza,che confortasse Germain senza ferirlo e senza nemmeno illuderlo.
Finalmente la sua mano sfiorò i capelli del bambino,le dita asciugarono una lacrima che scorreva sul suo viso.
-Il mio nome è Erik…-
Germain annuì.
-…Ora torna a dormire…-
Docilmente Germain ubbidì,rientrando nella sua stanza.
Erik si alzò dal piano,prese il lume e varcò il corridoio che conduceva alla camera da letto.
Il fuoco si consumava piano nel camino.
Sedette sul bordo del letto:Aurora dormiva abbracciata al suo cuscino. Rimase a guardarla,finchè lei –avvertendo la sua presenza –non aprì piano gli occhi e lo guardò,sorridendo appena.
-Sei qui…sei tornato…-
-Si…- le disse carezzandole i capelli.
Lei lo guardò in viso,interrogativamente.
-Com’è andata?-
Nel dir così si scostò un po’,invitandolo a stendersi al suo fianco.Lo fece,continuando a giocherellare coi suoi capelli e a fissarla dal basso.Lei gli carezzò il volto stanco.
-…Hai saputo la verità? È come pensavi?-
-In un certo senso…Henry De La Revenge amava Germain come un figlio e prima di morire lo ha affidato al notaio Roquebrune…- c’era una sfumatura di disprezzo nella voce di Sindial,pronunziando l’odioso cognome del legale.
0..-E poi?...-
Lui la attirò a sé:non voleva parlare oltre,non in quel momento,di quella storia.
-Stringimi…voglio sentire il tuo calore,Aurora…-
Lei gli carezzò il viso,glielo baciò,si accoccolò tra le sue braccia.
-Ho qualcosa da dirti io…- gli sussurrò,quando lo vide più disteso.
-Cosa?-
-Oggi ho mandato a chiamare il medico di famiglia…il dottor Parmentier…-
La stretta di Erik si fece più intensa:Aurora sentì i muscoli delle sue braccia indurirsi,tutto il corpo di lui era in tensione ora.I suoi occhi verdi e cupi la scrutarono,interrogativi.Sentì di arrossire.Abbassò lo sguardo:
-E’…è proprio come pensavi,Erik…-
Le rispose un sospiro rauco,una sorta di gemito e ruggito insieme e il suo abbraccio avvolgente che la avviluppò tutta in una morsa calda.

Seduto al piano,Erik attendeva che Aurora lo raggiungesse:desiderava farla partecipe della sua nuova idea.
Finalmente lei entrò nel salone,silenziosa e,appoggiando una mano sulla sua spalla,rimase ad ascoltare la musica che l’artista aveva pensato per l’ouverture della sua nuova Opera..
Sollevando gli occhi verso la giovane sposa,però,lui ebbe l’impressione che fosse distante,che inseguisse un pensiero lontano.
La attirò vicino a sé,sul seggiolino.
-Ti piace?-
Aurora gli sorrise:
-Certo…è molto bella…-
-E’ solo una serie di spunti,ma….-
Di nuovo Erik percepì che la giovane donna era rapita da qualcosa.
Le sollevò il mento,rivolse il bel viso verso il suo:
-A cosa pensi,piccola Psiche?...-
Aurora sospirò.Poi gli sorrise,incerta.
-Si tratta..si tratta di Blanche…-
Erik aggrottò le sopracciglia.
-Tua zia? Forse non sta bene?-
-No..è che…E’ successo tutto così in fretta…e lei,che è stata parte della mia vita…né è rimasta esclusa…-
Lui abbassò il capo,riflettendo serio.
-Ti avevo promesso che saremmo andati insieme a Mont Saint Michel- ammise –Ma …-
-Si,hai ragione…sono successe tante cose e tu…-
Lui si alzò con elastico slancio:
-Nulla ci vieta di andare ora…Vedremo insieme l’Oceano…-
-Dici sul serio?...- Aurora era incredula e felice.
-Certo…- lui le si avvicinò e sollevandole piano la testa la baciò con tenerezza. –Affiderò il teatro a Ilia,per qualche giorno…- disse, poi riprese a baciarla con maggiore intensità,stringendola tra le braccia.
Si guardarono negli occhi,senza parlare.
-E… Germain?- domandò Aurora,incerta.
Lui accennò un sorriso,poi scosse la testa.
-Vuoi che venga anche lui?...-
La donna gli si strinse più che mai vicino.

 
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