In principio fu il Rock..., Genesis,Pink Floyd,Yesssss....

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....le discussioni che spesso abbiamo,mi hanno indotto ad aprire questo topic,nel quel inserire anche delle sottosezioni specifiche...(i gruppi storici)
Negli anni 70 grandi gruppi musicali,come i Pink Floyd,i Genesis,i Deep Purple,e-in Italia- La premiata Forneria Marconi,i New Trolls,Il Banco del Mutuo Soccorso iniziavano una stagione esaltante di produzioni 'concept' in cui la musica rock si fondava al classico in creazioni assolutamente irripetibili...
Ne vogliamo parlare,ricordando quei dischi insuperabili?
arielcips21/4/2006, 13:57
..inizio col parlare di un grande lavoro dei Genesis...venuto dopo Foxtrot,il loro capolavoro,ma assolutamente esemplare per capire che cosa fu la grande stagione della musica anni 70...

“The Lamb Lies Down On Broadway” (1974) è il secondo concept album dei Genesis e il loro primo doppio. E’ il lavoro di un gruppo ormai da tempo completamente maturo che con esso pose una tappa fondamentale in quel particolare genere trasversale che è l’opera rock, una pietra miliare soprattutto per quanto riguarda le rappresentazioni live di questo tipo da parte di quella che probabilmente era l’unica band che all’epoca poteva permetterselo, grazie al particolare modo di proporsi in scena.
- La trama
Rael è un teppista dei bassifondi di New York che una mattina, di ritorno da una delle sue scorribande notturne, viene colpito dalla visione di un agnello, un semplice ma incongruente agnello, sdraiato quasi a sbarrargli il cammino sul marciapiede di Broadway, tra i vapori che escono dalle grate degli impianti di riscaldamento. Mentre Rael fissa questo animale, una sorta di schermo solido su cui si proiettano immagini della vita di New York scende dal cielo e avanza verso di lui. Paralizzato dal terrore, egli non può fuggire finché lo schermo lo colpisce e al momento dell’urto egli sviene. Si riprende in uno strano mondo sotterraneo dove vivrà una fitta serie di avventure tra il mistico e il simbolico, imparando così a conoscere se stesso.
Dapprima è in un comodo bozzolo che lo fa sentire calmo e felice, tanto che si addormenta tranquillamente. Si sveglia sofferente in una vasta caverna dove deve combattere contro una gabbia di roccia che muovendosi rapidamente lo stringe fin quasi a soffocarlo. Egli scorge fuori dalla prigione suo fratello John che però, nonostante le sue invocazioni di aiuto, lo abbandona, e quando ormai è convinto di morire la gabbia sparisce e Rael è libero.
Giunge vagando a una strana fabbrica dove vengono assemblati esseri umani, ognuno con il suo bel futuro stampigliato come un marchio e tra i “prodotti finiti” pronti per la spedizione, insieme ad altri personaggi che hanno avuto un ruolo nella sua vita, egli può di nuovo scorgere il fratello. Questa visione di volti conosciuti fa riflettere Rael sul suo passato e sulle sue vicende di tutti i giorni.
Avanzando in una direzione apparentemente obbligata, il ragazzo giunge a un lungo corridoio dove molte persone si muovono lentamente carponi in direzione di una grossa e pesante porta di legno posta all’estremità opposta a quella da cui è entrato. Egli è l’unico che può muoversi liberamente e porre domande a quegli strani esseri condannati a strisciare. Giunto alla porta la apre e dietro trova una tavola imbandita con ogni ben di Dio, ma soprattutto, ben più importante per lui, una scala a chiocciola che sparisce in alto e che egli comincia subito a salire.
In cima alla scala si trova un’enorme caverna circolare dove una folla variegata discute animatamente su quale delle 32 porte che si trovano tutt’intorno alle pareti conduca alla libertà, dato che solo una conduce fuori mentre le altre riportano inesorabilmente indietro. Nella folla Rael incontra Lilith, una vecchia cieca che promette di portarlo in salvo grazie alla lieve brezza che soffia dalla porta giusta e che lei è in grado di cogliere grazie ai suoi sensi affinati da una vita vissuta al buio. Rael decide di fidarsi e si fa condurre in una stanza dove Lilith lo abbandona promettendogli che qualcuno verrà a prenderlo, però teme di essere caduto in trappola quando due globi luminosi entrano fluttuando a mezz’aria e sembrano volerlo aggredire. Terrorizzato, egli raccoglie delle pietre e manda i globi in frantumi, ma non appena questi si spezzano la volta crolla e per il protagonista sembra la fine. Trova però un passaggio tra le rocce e si salva ancora una volta.
Giunge così in una meravigliosa sala con un’ampia piscina di acqua calda e pensa di aver trovato un po’ di riposo, vede invece tre incredibili figure avanzare nuotando. Sono le meravigliose Lamia, esseri metà serpente e metà splendida donna, con le quali ha un’estatica esperienza sessuale. Non appena mordono la sua carne però, le Lamia muoiono e Rael, sconvolto per la perdita, si nutre dei loro corpi.
Lasciando la tragedia dietro di sé, il protagonista giunge a una strana colonia di grotteschi esseri deformi, gli Slippermen, che lo accolgono come uno di loro. Gli raccontano di essere tutti passati attraverso la stessa esperienza con le stesse Lamia, che si rigenerano ogni volta, e sono condannati per questo a passare la vita in una sfrenata e continua attività sessuale. Gli viene così svelata la tragica verità: anche lui è esattamente uguale agli altri e schiavo della stessa condanna, può però finalmente riunirsi al fratello, ridotto anch’egli a un informe ammasso di carne. Rael è sconfortato, ma dopo qualche tempo uno Slipperman gli rivela che se si ha il coraggio esiste una soluzione: si chiama castrazione. A praticarla è un medico pazzo che i fratelli dopo essersi consultati decidono di affrontare.
Il dottor Dyper, dopo averli operati consegna loro un ciondolo contenente il “frutto del peccato” da usare in caso di necessità e grazie al suo intervento, avvertendolo però con un certo anticipo. Mentre i due discutono della nuova situazione, un enorme corvo scende dall’alto e ruba i prezioso contenitore dalle mani di Rael.
Rael chiede aiuto a John, ma quest’ultimo non volendo rischiare il proprio carico, lo abbandona nuovamente al suo destino. Rael si lancia all’inseguimento del corvo in volo, solo per vederlo lasciar cadere il suo tesoro nelle tumultuose acque di un fiume sotterraneo. Mentre Rael scende una ripida parete per arrivare al fiume, ben deciso a riappropriarsi di ciò che è suo, sente delle grida di aiuto e vede il fratello dibattersi tra i flutti del fiume. Contemporaneamente scorge nella parete di roccia un’apertura che porta all’esterno, alla sua vecchia vita, che però si sta rapidamente chiudendo. Deve dunque decidere se fuggire salvando se stesso o salvare John e, pur disperato, volta le spalle alla finestra e si tuffa per salvare il fratello.
La lotta con la corrente è estenuante, ma quando finalmente i due raggiungono la riva Rael si accorge di qualcosa di incredibile: John ha il suo stesso volto! E mentre lo fissa stupito, come guardandosi allo specchio, una nebbia violacea li avvolge entrambi e in essa i fratelli si dissolvono.

Nonostante vi siano alcune ingenuità linguistiche e di narrazione - per esempio non si è mai visto un teppista portoricano che per approcciare la sua prima ragazza va a comprarsi un manuale sul tema - la fantasia quasi onirica che Gabriel mostra nel rappresentare le vicende di Rael cattura davvero l’attenzione e, se si è capaci di penetrare il velo dei giochi di parole che costantemente egli pone tra l’ascoltatore e l’essenza del racconto, se si riesce a capire il meccanismo della narrazione, si entra in un mondo che riserva molte sorprese e darà per anni materia di riflessione e scoperte sempre nuove.
L’anagramma Rael - real = reale (ma perché trascurare un aggancio anche alla follia di Re Lear?) è solo il primo passo di un costante gioco a rimpiattino con i significati che stanno dietro alle parole. Così ecco che i “carpet crawlers” sono coloro che fanno della sete di ricchezza e dell’essere “in” l’unico faro della vita (“We gotta get in to get out” = “dobbiamo entrare per uscire”, ma anche “dobbiamo essere ‘in’ per emergere”); le splendide Lamia sono la metafora del sesso e della voluttà in cui è bello perdersi, ma hanno come controaltare gli orrendi Slippermen che ci dicono che questo può essere anche schiavitù quando è pura soddisfazione dei propri istinti egoistici impedendoci di amare realmente l’altro; l’IT finale in cui Rael e John si dissolvono è la raggiunta maturità del ragazzo finalmente uomo, che in ultimo riconosce come propria la sua parte razionale e così si completa. Magari restando ai significati più generali, si può accennare al fatto che l’intero mondo sotterraneo in cui si svolge la vicenda, oltre che un richiamo all’inferno della “Divina Commedia”, sembra rappresentare soprattutto il subconscio del protagonista, il “dentro di sé” nascosto con cui egli per la prima volta si trova ad avere a che fare, riflettendo invece di agire.
Però è bene non svelare troppo quelle che dopotutto sono interpretazioni personali, ognuno può divertirsi da solo a trovare i significati nascosti nelle liriche o a dar loro i propri, anche perché Gabriel non ha mai rilasciato interpretazioni “ufficiali” ed è sempre stato piuttosto vago nell’illustrare il significato delle liriche di questo disco.
Disc 1
1. The Lamb Lies Down On Broadway
2. Fly On A Windshield
3. Broadway Melody Of 1974
4. Cuckoo Cocoon
5. In The Cage
6. The Grand Parade Of Lifeless Packaging
7. Back In N.Y.C.
8. Hairless Heart
9. Counting Out Time
10. Carpet Crawlers
11. The Chamber Of 32 Doors

Disc 2
1. Lilywhite Lilith
2. The Waiting Room
3. Anyway
4. Here Comes The Supernatural Anaesthetist
5. The Lamia
6. Silent Sorrow In Empty Boats
7. The Colony Of Slippermen (The Arrival/A Visit To The Doktor/Raven)
8. Ravine
9. The Light Dies Down On Broadway
10. Riding The Scree
11. In The Rapids
12. It






arielcips29/4/2006, 12:52






E' la volta di uno storico album dei Pink Floyd...

(IMG:http://img239.imageshack.us/img239/8185/pinkfloyddarksideofthemoon10mv.jpg)





Tracklist

1. Speak To Me/Breathe

2. On The Run

3. Time

4. The Great Gig In The Sky

5. Money

6. Us And Them

7. Any Colour You Like

8. Brain Damage

9. Eclipse





Autore: PINK FLOYD
Titolo: The Dark Side Of The Moon
Anno: 1973
Genere: psychedelic rock
Etichetta: Emi


Aggiungere qualcosa di inedito su un complesso fin troppo osannato e divenuto una ferma icona del nostro tempo non è facile. Cercherò, quindi, di proporre solo alcune considerazioni su di un fenomeno musicale che ancora oggi fa discutere, anche se solo per colossali vendite commerciali, e non più per meriti artistici. Fatta questa premessa, è venuta l'ora di imbattersi nel loro capolavoro piu' criticato, celebrato, mitizzato e stroncato allo stesso tempo: "The Dark Side of the Moon".

E' risaputo che i Pink Floyd hanno prodotto album migliori di "The Dark Side of the Moon", almeno per ciò che concerne l'aspetto strettamente compositivo. L'argomento-principe su cui ogni critica-rock che si rispetti, quando si ha come "vittima" il combo del periodo di Roger Waters, dovrebbe erigere il suo "epicentro" è la disputa su quale sia stata in realtà la missione musicale intrapresa (e poi egregiamente portata a termine) dai Pink Floyd: verranno ricordati e apprezzati più per le straordinarie innovazioni ed evoluzioni apportate al suono, tanto da meritarsi il titolo di "produttori di cibo per le menti" o per aver saputo coniugare suono, hype, possenti wall-of-sound saturi di colori e distorsioni neo-psichedeliche con superbe melodie, a tutt'oggi considerate archetipi-rock a cui fare riferimento? "The Dark Side of the Moon", insuperato marchio sonico-musicale dei Pink Floyd targati Waters, non scioglie il dubbio.

"The Dark Side of the Moon" si pone, nel contesto della musica popolare del XX° secolo, come un ricco laboratorio di esperimenti post-lisergici, ai confini del più spregiudicato art-rock della prima metà degli anni 70. Padrone incontrastato di questa "rivoluzione del suono" è Roger Waters, che, in qualità di alchimista floydiano, rileva già dal 1968 Syd Barrett alla guida della band, auto-erigendosi a folle, incontrollabile setacciatore di nuove sonorità che renderanno il "Floyd-sound" universale e istantaneamente riconoscibile in ogni parte del globo. Ma non si può fare a meno di stendere elogi e contro-elogi sull'elaboratissimo, maniacale sistema audio-fonico impresso sui solchi del disco, grazie al lavoro di un ingegnere del suono del calibro di Alan Parsons, che costituisce l'autentica perla ed epicentro musicale-ideologico di tutta l'operazione.

Waters, Gilmour, Mason e Wright, orfani del genio anarchico e stralunatissimo di Syd Barrett, proseguono il cammino, dando avvio a un percorso (a partire dal celebre doppio - metà live metà in studio - "Ummagumma") capace di toccare vette di sublime, spesso piacevolmente criptata cerebralità, dando in pasto a un ancora acerbo pubblico le loro ricerche e i loro inusuali connubi di rumori vivisezionati dall'"ingordo" Waters e sapientemente tradotti in accattivanti squarci di quotidianità. Una quotidianita' in apparente quanto bizzarro contrasto con la complessità, spesso ingovernabile e astrusa, di una mente come quella di Waters, devastata da paranoie e macabre visioni, in eterna oscillazione tra sogno e realtà, schizofrenia e solenni momenti di lucidità.

"The Dark Side of the Moon" viene pubblicato il 24 marzo 1973 e verrà considerato da gran parte della critica come l'insuperato capolavoro musicale dei Pink Floyd. Cio e' vero solo in parte: il fatto che in esso vengano riunite, impareggiabilmente, tutte le contraddizioni ideologiche e simboliche di Waters non giustifica appieno tale titolo. Volendo staccare i piedi dalla Luna e riposandoli sulla Terra, l'album è e verrà sempre considerato un superbo, inarrivabile rivoluzionario prodotto (nel caso lo intendessimo da un punto di vista strettamente "cerebral-onirico", "sonico/concettuale"), ma al contempo appena discreto nel caso lo riducessimo allo "scheletro", annientandone, cioè, il corpo sonoro e portando alla ribalta le non del tutto ispirate tracce, a cominciare dall'insipida "Money", per poi passare attraverso i trucchi (talvolta ruffiani, talvolta "streganti' le nostre menti, in perenne cerca di .... "cibo lisergico") di "Speak To Me" e "On The Run", perfette comunque nel rendere lo stato di ansia del nostro protagonista, riuscendo a fondere, tra rumori e soluzioni sonore d'avanguardia, momenti di alto contenuto sonico-spaziale, ponendo le coordinate su cui si poggia il pensiero pessimista di un Waters alquanto disorientato, autentico ambasciatore del tema dell'incomunicabilità, di cui "The Dark Side" risulta un compiuto, drammatico spaccato.

Non mancano, per la verità, momenti di intenso, assoluto lirismo, come dimostrano "Time", trascinante nella sua felicissima fusione tra testo e musica, un passo in avanti per un non ancora del tutto sviluppato concetto filosofico all'interno dei parametri-rock, superba prova di lucidità mentale e intellettiva da parte del quartetto; il brano si avvale anche di un debordante (inteso in senso strettamente lirico/evocativo), spiazzante assolo di Gilmour alla chitarra: si ha la sensazione che esso voglia accompagnare il viaggio attraverso il tempo di un coraggioso, anarchico esploratore, in continuo stato di ansiosa curiosità. In definitiva: il trionfo della suggestione e uno degli squarci più intensi di tutta la discografia floydiana.

La prima parte del disco si completa con una elegia della pazzia, ma anche, allo stesso tempo, della libertà dell'uomo, schiavo di una società che tende a opprimerlo: "The Great Gig in the Sky", dominata da vocalizzi femminili di derivazione soul-gospel, in grado di fondere fiammante liricità e drammaturgia quasi cinematografica. In questo coinvolgente, straziante frammento della sua vita, l'uomo sembra librarsi verso il cielo, onde aprirsi un varco, grazie al quale potrà regnare indisturbato e solenne, lontano dai rumori e ingiustizie della realtà terrena.
"Us and Them" vorrebbe rievocare "Breathe In the Air", ma la melodia, sebbene pinkfloydiana al 100%, risulta convincente solo se nel contesto dell'album, non certamente come tema isolato. Un discorso che vale un po' per tutto "The Dark Side of the Moon": ciò che rende immortale quest'opera è il suo inconsueto approccio con l'art-system dell'epoca, qui fotografato in tutte le sue direzioni possibili. Per il rock si tratto' di un prodigioso balzo verso un'era futuristica prossima a venire, mentre per quel che concerneva il songwriting i Pink Floyd hanno certamente scritto pagine di ben piu' elevata caratura artistica.

Per "The Dark Side" vale lo stesso parametro adottato per "Sgt. Pepper" dei Beatles: "Sgt. Pepper" non si potra' mai considerare come il capitolo più felice, musicalmente parlando, dei Beatles: esso comportò una rivoluzione, forse la piu' significativa e rilevante della storia della musica pop, ma questo non può giustificare appieno alcune "debolezze" compositive insite nel capolavoro di Lennon e soci. Lo stesso dicasi per "The Dark Side of the Moon": come per "Sgt. Pepper", esso costituì, per i Pink Floyd, la definitiva acquisizione di status di "semidei del rock", ma questo grazie più al magniloquente manto sonoro e policromatico, che alla qualità delle canzoni presenti nell'album. E nessuno potrà negare l'importanza avuta nel contesto storico degli anni 70 (un periodo fortemente contraddistinto dalle incessanti, maniacali ricerche di nuove avanguardistiche tecniche all'interno degli studi di registrazione) del "lato oscuro della luna", sinonimo ora piu' che mai accertato di "studio recording" superiore al "songwriting". In fondo, rock = hype, non vi pare? Ascoltare per credere, in proposito, il buon vecchio Sergente Pepe, con tanto di solco concentrico finale...



..
gemini2129/4/2006, 21:03
CITAZIONE (Adûnaphel @ 29/4/2006, 21:01) bellissimo, avevano una cantante che era una cosa impressionante....roba che ti prendeva il Mi sovracuto (il finale del Phantom per intenderci) con voce non lirica e con una leggerezza pazzesca...
Apperò!!
arielcips13/5/2006, 11:00
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Recensione di: Pibroch, (21/04/2006 15.27.37)
Voto: * * * * º

Successe che Rick Wakeman, durante una delle innumerevoli uscite di scena dai grandi Yes, decise di comporre musica a suo nome. E successe che prima di perdersi in decine e decine di opere new-wave e dopo aver sfornato due lavori notevoli, esordendo con le sei mogli di Enrico VIII e proseguendo per il suo viaggio verso il centro della terra, il biondo tastierista se ne uscì nel 1975 semplicemente con la più famosa delle leggende del Regno Unito. Vi è narrata la storia, arcinota (ma una capatina alla Wikipedia l’ ho fatta comunque… ), del giovane Artù (chissà se realmente esistito, oppure ispirato ad un altro personaggio: c’ è chi parla di un condottiero romano, chi del re dei Bretoni… ), innamorato di Ginevra, divenuto re estraendo la mitica Excalibur dalla roccia: narra la leggenda che questa spada venne distrutta in combattimento e che Merlino allora consigliò al giovane re di sostituirla con la spada in mano a colei che venne definita Dama del lago. Nel castello di Camelot, alla sua Tavola Rotonda sedevano i valorosi cavalieri (non si sa quanti) e secondo alcune fonti Merlino. C’era inoltre un posto vuoto, riservato a colui dal nobile cuore che avrebbe recuperato il santo Graal: l’impresa riuscì a Sir Galahad, figlio illegittimo di Lancillotto e di tal Elena di Corbenic, che ingannò il cavaliere assumendo le fattezze dell’ amata Ginevra, moglie del suo re… molti i film sull’ argomento (“L’ultimo Cavaliere” con Sean Connery e Richard Gere, “King Arthur” con la bellissima Keira Knightley… ), inutile parlarne oltre.

Abbandonati i supporti musicali degli altri mostri degli Yes e di Dave Cousins dagli Strawbs, la sua vecchia band, per altri musicisti meno di fama (almeno per me… ), Wakeman si apprestò a musicare a suo modo questo vero patrimonio della tradizione di Sua Maestà. Inutile dire che il tema esaltò la classe e, perché no, la pomposità del miglior tastierista progressive (sorry, Mr Emerson); ma è un Wakeman che ancora ha il controllo delle sue innumerevoli tastiere (qualunque appassionato credo abbia in mente la foto di retro copertina di “The Six Wives of Henry VIII” ) e l’ellepì presenta molti momenti di grande intensità, altri davvero solenni, spesso di elevato spessore musicale. E poi le sue fantastiche prolissità, come vivere senza?

La prima traccia del concept è semplicemente “Arthur” : attacco maestoso con incisiva batteria (Barney James), sproloquio di tastiere, un cantato stranissimo (solo dopo qualche ascolto lo si trova quantomeno adeguato e lo si comincia ad apprezzare), il tutto culminante in un finale intensissimo. In definitiva un buon intro, ma non a livello della sezione centrale dell’ opera. Seguono “Lady Of The Lake” , brevissimo canto corale di rara suggestività, e la bellissima “Guinevere” : stupendo l’intro in piano, poi silenzio… tra mille effetti tastieristici in crescendo comincia una melodica ballata, dedicata a Ginevra, colei che s’innamorerà di Artù e diverrà “ Queen of all the Britains” . Di grande effetto l’ assolo chitarristico (Jeffrey Crampton). Dopo l’amore, l’azione… ritmo subito indiavolato per “ Sir Lancelot And The Black Knight” : canto rabbioso tra riff tastieristici (ammesso che si possa definire tale) ed uno spettacolare ritornello corale evocante il Cavaliere Nero. Wakeman si esibisce, nella sezione centrale, in un bellissimo assolo. Brano davvero notevole.

In un coro solenne ecco giungere (e come poteva mancare… ) “Merlin The Magician” . La canzone (mini suite?) è strumentale, e tecnicamente è la vetta artistica per Wakeman nell’ellepì: si alternano frenetici ritmi quasi circensi simboleggianti credo i duelli di magia (quasi quasi sembra di scorgere anche Maga Magò come nel film della Disney… ) lascianti profondi dubbi sul numero di arti a disposizione del biondo tastierista e momenti da piano straziante con un basso (Roger Newell che gioca a fare Squire) in evidenza. Forse è meno roboante delle tracce precedenti, meno pompose, ma la tecnica è eccellente e i dieci minuti non pesano davvero… Manco a dirlo, altro coro da brividi, indi timbra il cartellino anche “ Sir Galahad” .

Un piano iniziale che dal tema di “ Guinevere” sfocia in un esplosione tastieristica (che bello ‘ sto aggettivo, ne sto stra-abusando… ). Tornano le alte voci del cantato (per la cronaca, Ashley Hold e Gary Pickford Hopkins… ) sorrette da un particolarissimo uso della strumentazione di Wakeman. Forse inferiore ai brani precedenti, è comunque un brano godibile. Ma ormai la battaglia è imminente, la storia sta per essere decisa, e non può che avvenire nell’arma più incisiva del progressive, la suite. Seppur mini… “The Last Battle” è maestosa nel suo incedere, mai intensa come le prime tracce, bensì dedita ad un andamento più melodioso: canto e brani narrati si alternano a bellissimi fraseggi di Re Riccardo e dei suoi collaboratori. Chiaro che non possono mancare assolo e qualche coro, il vero leit-motiv dell’ opera. A testimonianza dell’ impostazione classica di Wakeman, il finale è un solenne dialogo tra piano e percussioni.

Mi sono dilungato troppo, vero? Chiedo venia. Concludo consigliando quest’ opera a chi ama il progressive, perché opera degna di uno dei migliori interpreti di quel periodo d’oro della musica. E vissero sempre felici e contenti. The End

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arielcips11/7/2006, 22:14
Pink Floyd, sinonimo di psichedelia, di ricerca e di innovazione.

Si dice che costruissero la loro musica come fosse una vera e propria opera architettonica, certo le basi per farlo le avevano, visto che uscivano tutti, tranne Barrett, da una scuola d'arte

Quattro ragazzi coetanei (le date di nascita variano dal 1944 al 1946), Roger Waters, Richard "Rick" Wright, Nick Mason e quel Roger Keith "Syd" Barrett, che ben presto diventerà tanto presente nei testi e nelle musiche dei Pink Floyd, quanto assente fisicamente.

Sarà Barrett a scrivere i primi testi, visionari e lisergici esattamente come la sua mente sconvolta dal LSD, ma assolutamente unici, innovativi, insomma assolutamente splendidi e nel 1967 esce il primo album, "The Piper At The Gates Of Dawn", che vola in testa alle classifiche.

Ma i Pink Floyd non usano solo le musiche ed i testi: i loro concerti segnano una svolta anche dal punto di vista multimediale. Luci psichedeliche si agganciano a filmati che colpiscono il pubblico trasportandolo in una dimensione irreale ed artisticamente perfetta.

Dopo un solo anno, nel 1968, Barrett cede allo stress della notorietà, al cambiamento di vita e la sua mente geniale quanto fragile si perde in quella dimensione costruita artificiosamente; è ancora vivo, Sid Barrett, ma la sua vita si srotola lentamente e senza tempo in una casa di cura per malattie psichiatriche……


...e stanotte,a sessanta anni,Sid Barret è morto....il grande Lunatic on the grass di the dark side of the moon....Continueranno a cantare Wish you were Here...ma lui è altrove,ormai per sempre.
jiujiu11/7/2006, 22:18
:sniff:
 
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Monika.
view post Posted on 2/4/2012, 16:30




Ariel! I Genesis sono i miei preferiti... The Carpet Crawlers a mio modesto parere è la più bella canzone mai scritta. La ascolto da una vita, più volte al giorno, e mi fa ancora venire la pelle d'oca ogni volta...
 
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view post Posted on 2/4/2012, 18:22
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Carpet crowlers è splendida,ma permettimi di spezzare una lancia anche per Firth of Fifth...comunque io sulle canzoni dei genesis ho fatto due video.. In the cage,su Phantom of the opera ... The burning rope su 300...
 
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Monika.
view post Posted on 2/4/2012, 20:18




Certo, bellissima anche Firth of Fifht! E Afterglow? E The musical box? E Looking for somewhere? E White Mountain? Che meraviglia! E i tuoi video dove li posso vedere? Sono emozionata....
 
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view post Posted on 2/4/2012, 20:39
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qui c'è il mio canale:https://www.youtube.com/user/arielcips?gl=IT&hl=it
 
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Monika.
view post Posted on 4/4/2012, 13:55




Grazie! :D
 
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