Preludio nr 4 in si minore, ff ispirata al Fantasma dell'Opera(11517 visite)

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Evilsisters
view post Posted on 6/4/2008, 11:30 by: Evilsisters




Il viaggio fino a Brest fu piuttosto lungo.Alphonsine finì per addormentarsi,mentre Ilia ne approfittò per stendere un altro capitolo del suo libro.Sollevò gli occhi a guardare la sua compagna di viaggio e,sollecito,la coprì con un soprabito,perché non prendesse freddo.
Quindi rilesse quello che aveva appena finito.

‘Il ritorno.

Tornammo dunque in Olanda,da dove il nostro vagare aveva avuto inizio.
Sindial,lo capii in un secondo tempo,aveva accumulato un capitale incredibile,grazie anche a oculati investimenti operati dai banchieri fiamminghi cui aveva affidato il suo già consistente patrimonio,frutto della collaborazione col teatro nonché delle prestazioni che lo scenografo aveva saputo vendere profumatamente ai ricchi nobili pietroburghesi.
Mentre mi occupavo della spedizione di tutti i preziosi oggetti d’arte che il mio principale aveva acquistato durante i viaggi,seppi che era stato ricevuto in più di un istituto di credito e che con nuove credenziali bancarie ora si apprestava ad entrare in Francia.
-Come viaggeremo?- gli chiesi,alla vigilia della partenza.
-In carrozza…-
Aveva acquistato,tra l’altro,una carrozza nera,che aveva un che di sinistro,a prima vista.
Si accorse del mio sguardo poco entusiasta;ed io mi accorsi che una vera e propria lotta maturava in lui,come se l’uomo vecchio e l’uomo nuovo duellassero,ed il primo non avesse alcuna intenzione di cedere.
-Non vi piace,Ilia?- mi chiese infatti,con arrogante aria di sfida.
-Mi sembra un po’ lugubre…-risposi timidamente.
-Adatta a un morto,dunque…- ribattè lui,amaro e sarcastico come non mai.
Non commentai.Il giorno dopo partimmo,viaggiando ininterrottamente senza mai fermarci,fino al confine con la Francia.
Ero sfinito,naturalmente;come lo sarebbe stato chiunque altro…Il dondolio del mezzo ebbe presto la meglio su di me e mi addormentai,più di una volta.
Sindial no:rimase vigile durante tutto il viaggio,rinfacciandomi spesso la mia debolezza.
Mi risvegliavo e coglievo il suo sguardo cupo,l’espressione di una violenta tempesta interiore,che mi convinceva momento dopo momento che quello non era un viaggio qualunque..era un ritorno…
Ma chi tornava? E dove?
Chi era quel mio misterioso compagno? Chi era stato? E quello era un ritorno a casa?quale casa?
Mi finsi come al solito distratto,attento soprattutto al mondo che ci circondava;conservai il buon umore,nonostante l’ostilità che avvertivo esplodere in lui.
Dovevo rimanere l’Ilia di sempre,anzi,più paziente e fraterno che mai,se volevo essergli d’aiuto.
Quando finalmente arrivammo a Parigi,la città ci accolse come emergendo da una nebbia algida,come risvegliandosi dal sonno.Era umida,fredda,inospitale.Ne rimasi deluso:sapevo che era passata attraverso anni bui,ma sapevo anche che stava tentando di rifiorire.Invece quella che ebbi davanti la prima volta era una capitale spettrale…
Però lui sembrò preferirla così:era perfetta per mimetizzarsi,per sfilare silenzioso con la sua carrozza nera lungo le vie,ripercorrendo un mondo buio che forse gli era appartenuto…
Il mio primo incarico fu di trovare un alloggio.Il secondo:trattare l’acquisto di quel che rimaneva del Teatro dell’Opera…Proprio così:Sindial aveva deciso di rilevare il vecchio guscio vuoto e restaurarlo.Poteva permetterselo,anche se significava investirvi l’ottanta per cento dell’intera sua ricchezza:l’azzardo non era poco. Ma di fronte al rischio,il suo volto restava impassibile,come sempre.
Mentre mi affannavo a risolvere le mille faccende burocratiche collegate all’acquisto del teatro,
lui rimaneva in albergo,uscendo solo di sera;e non mi portava mai con sé.
Un bel giorno,venne il momento di prendere possesso del vecchio edificio diroccato.
- Monsieur Sindial…ho qui le chiavi…Domattina è il gran giorno!- gli dissi entrando nella sua stanza,con tutto l’entusiasmo della mia giovane esperienza.
Lui aveva un aspetto stranamente trascurato,dimesso;si volse a guardarmi:era senza maschera.
-Sindial?!...che cosa avete?- non potei fare a meno di chiedergli.
-Sono solo stanco,Ilia…-
E’ vero:era sfinito.Il lungo duello sembrava essere giunto finalmente a conclusione:gettata la maschera,l’uomo nuovo si guardava per quello che era…ma lo scontro era stato terribile e le ferite riportate gli apparivano in quel momento insanabili.
Mi avvicinai a lui:sapevo che avrebbe cercato di respingermi,ma era l’unica cosa che potevo fare…non parole,no…un solo gesto:abbracciarlo,sostenerlo…non farlo sentire solo né sconfitto.
Lui si ritrasse,come immaginavo;poi però lasciò che io posassi le mani sulle sue spalle,lo stringessi a me fraternamente.Non si oppose,pur non lasciandosi andare.
Lo guardai negli occhi:
-Siete un uomo,Sindial…ed io,per quanto poco possa valere il mio giudizio,vi stimo profondamente…-
-Dite che sono un uomo,amico mio?...- mi rispose,guardandomi con riconoscenza- Vi sbagliate:a poco a poco e col vostro aiuto,lo sto diventando…’


Ilia sollevò lo sguardo:Alphonsine era ancora assopita,ma in lontananza cominciava a delinearsi la costa bretone.Il viaggio stava per finire:si affrettò a completare le sue annotazioni.


‘L’Opera.

Così il mattino dopo,carezzata dai raggi di un sorridente sole primaverile,la carrozza nera ci portò davanti al teatro.
Avevo io le chiavi del portone del back stage o di quello che rimaneva di esso.Gli altri ingressi erano stati tutti murati,bruciati,resi impraticabili dalle barricate difensive degli ultimi occupanti.
Sindial guardò a lungo la facciata,col suo sguardo imperscrutabile,poi mi fece cenno di procedere.
Raggiungemmo l’unico ingresso praticabile:sempre a cenni,mi comandò di aprire.
Iniziavo a sentirmi io stesso piuttosto agitato.Infilai la pesante chiave nella toppa scardinata e provai a far funzionare la serratura.
-Mi spiace…non riesco…- mi scusai,dopo qualche vano tentativo.
Lui sospirò,non spazientito;forse appena contrariato.Quindi impugnò la chiave:come l’excalibur nelle mani di Artù,senza nessuno sforzo,questa girò nelle sue mani,scattando un paio di volte,fino a che la porta non ci si schiuse davanti.
Faticai ad abituarmi al buio.Poi a poco a poco iniziai a distinguere qualcosa:ma era tutto triste,fatiscente:l’odore di chiuso si mischiava a quello dei disinfettanti usati dalle forze dell’ordine all’indomani del recupero dei cadaveri dei comunardi. Iniziai a tossire.
Sindial che invece si guardava attorno come sospeso in un’altra dimensione,si accorse finalmente del mio disagio,mi pose una mano sulla spalla,guardandomi tra il preoccupato e l’infastidito.
-Volete uscire,Ilia?...-
Tossii ancora,ma scossi la testa. Non intendevo lasciarlo solo,non ancora.
Lui annuì,con un fondo di velata gratitudine negli occhi.
Ci inoltrammo fino a quello che un tempo doveva essere stato il palcoscenico e da lì guardammo verso la platea.
Dovetti sforzarmi prima di riconoscere in una sorta di scheletro arrugginito e contorto i resti di un immenso lampadario di cristallo,che giacevano scomposti tra le poltrone incenerite.
Lui sospirò guardandolo,saltò giù dal palco e gli si avvicinò,osservandolo con una attenzione maniacale,come se attraverso quei miseri resti potesse rimettere insieme i frammenti di un passato distrutto,mandato in mille pezzi,forse proprio da un suo gesto sconsiderato…
Non mi stupii dunque quando,con un moto di rabbia improvvisa,colpì col suo bastone il ferro bruciato del lampadario:un rumore metallico,un lamento artificiale risuonò nella platea vuota,squarciando l’aria.Dalle poltrone si levo un nugolo di topi e polvere:ricominciai a tossire e mi volsi intorno alla ricerca di una presa d’aria…
Da uno stretto corridoio sentii passare un alito di vento fresco:lo seguii.Sembrava un richiamo.
Mi si aprirono a un tratto due strade:da una parte una fioca luce conduceva a un locale piccolo,che doveva affacciarsi verso l’esterno,dall’altra una porta schiodata si apriva cigolando verso una scala,che portava credo a dei sotterranei…Eppure la brezza veniva proprio di là…
Mi affacciai sulla soglia del locale:era una cappella…Una piccola finestra circolare,anche questa sbarrata malamente da assi di legno,priva di vetri,appena retta da ciò che restava dell’intonaco sgretolato delle mura,illuminava una parete affrescata:un angelo dalle lunghe ali immobili,dallo sguardo muto,quasi spento. Era stato l’angelo della musica,forse..tanto tempo prima…Ma ora sembrava l’angelo del silenzio:l’angelo degli spettri,che vegliava sulla musica morta dell’anima…
Arretrai di fronte a quella vista:niente in quella figura riusciva a ispirarmi conforto,ma avvertivo istintivamente un dolore inespresso,angosciante…Cosa aveva visto quel messo divino di così atroce da perdere la sua aureola?
Ebbi l’impressione che qualcuno avesse dischiuso la porta dei sotterranei:forse Sindial mi stava cercando? Mi diressi da quella parte:una spettacolare scala a chiocciola,dalle ampie volute simili alle spire di un serpente sembrava aprirsi per inghiottire nell’abisso il malcapitato visitatore.
Una luce ondeggiante la rischiarava:mi convinsi sempre più che dovesse trattarsi del mio principale,armato di torcia.
Iniziai a chiamarlo,man mano che credevo di avvicinarmi a lui:
-Sindial?...aspettatemi….-
Finalmente lo individuai nel buio:si era rivolto verso me,col mantello che gli ondeggiava intorno al corpo,agitato dal vento che proveniva dal fondo di quell’antro.
Quando mi accorsi che mi aveva visto,sollevai il braccio all’altezza degli occhi,per fermarlo,distraendomi dal cammino,piuttosto impervio che avevo davanti.Lui sembrò guardarmi senza vedermi,accecato da un ricordo che non avrei mai potuto condividere.Ma poi rientrò in sé e cambiò espressione:
-Fermo Ilia!- mi gridò –Non di là!-
In quella il pavimento mi si aprì sotto i piedi inspiegabilmente.
-O Dio!- gridai..
Avevo recepito l’avvertimento di Sindial con un attimo di ritardo,ma sufficientemente in tempo per aggrapparmi disperatamente ai bordi della botola,prima di cadere del tutto in un vuoto buio e maleodorante.
-Aiuto…- Mi mancava anche il fiato per chiedere soccorso.
La sua mano forte afferrò la mia:
-Avanti…siete salvo…- mi rincuorò.
-Grazie…- dissi,restando qualche momento rannicchiato a terra,ancora terrorizzato da quello che avrebbe potuto accadermi.
-Andiamo via di qua…- mi disse.
Lo guardai:era chiaro che conosceva quel posto molto bene.
-Non credete che dovremmo avventurarci fino in fondo?-
La voce,il respiro erano incrinati,quando mi rispose:
-Non lo so…probabilmente non ne vale la pena…-
-Dipende da cosa ci si aspetta di trovare…- stavo riprendendo fiato,forza,sicurezza.
Gli presi la torcia dalle mani.illuminai il baratro sotto di noi:
-Sembra vi sia dell’acqua…-
-Si- confermò lui
-Andiamo?...-
-Si…- mi rispose.
Questa volta lo precedetti di qualche passo,voltandomi però a guardarlo per avere conferma di muovermi nella direzione giusta.
Giungemmo a una sorta di canale,non particolarmente profondo:potevamo attraversarlo anche a piedi.Vi ci immergemmo e seguendolo improvvisamente entrammo in un antro immenso:l’acqua vi si allargava,formando una sorta di lago naturale:due sagome semiumane…forse atlanti o cariatidi sorreggevano delle colonne altissime tra le quali si distingueva una pesante grata bloccata nei suoi gangli dalla ruggine e dall’incrostazione dei secoli.
-Che posto è mai questo?- domandai. –Dove siamo?
-Esattamente sotto il teatro,sotto il palcoscenico….-la sua voce sembrava provenire da una lontananza indistinta,come se a parlare non fosse un uomo,ma un’entità astratta di memoria e dolore. –Sapete Semonov?La musica scende quaggiù, e l'oscurità la distilla, la purifica dalla sofferenza che l'ha prodotta. E allora tutto è bellezza. E la vita qui è come una resurrezione..-
-No Sindial…No!- esclamai cercando di scuoterlo. –Non una resurrezione…una tomba!-
Lui mi guardò ostile,con gli occhi che emanavano bagliori di rabbia ferita.
-Chi ha vissuto qui sotto,Sindial…vi si è sepolto…-riuscii ancora a dirgli.
Egli avanzò aggressivo verso di me,mi prese per un braccio e mi trascinò quasi oltre la grata,verso quello che rimaneva di una sorta di alloggio.
La sua stretta a poco a poco divenne meno rabbiosa.
Per terra,frammenti di specchi distrutti.
Contro una parete un organo coperto di polvere,incrostato di muffe.
Il resto erano solo cocci,macerie… Ma fra queste si distingueva una piccola testina scolpita di donna,chissà come sopravvissuta all’abbandono.Mi chinai per sollevarla e la guardai.
-Deve essere stata molto amata….chiunque sia stata….- commentai,guardandola.
-Perché ne parlate al passato?- mi domandò,ormai mortalmente calmo.
-Perché Sindial…-gli mostrai la scultura- è solo questo che rimane di lei…finchè sarà sepolta qui sotto!marmo freddo e senza vita…-
-Non può esserci altro…- ribattè lui,voltando lo sguardo,celandomi le lacrime del suo rimpianto.
-No?-
-No!-
Lo sentii determinato,e volli approfittarne per uscire da quella trappola in cui eravamo finiti.
-Allora sta bene qui…- e gettai via quell’oggetto,in mezzo alle altre macerie.
Lui guardò quel gesto,guardò la mia mano,mi fissò:ero stato rude,come il padrone che getta il bastoncino di legno al cane perché vada a raccoglierlo. Ma volevo sfidarlo,volevo che uscisse dalla pania.Non so se quella vita gli fosse appartenuta:ma era la vita di un morto…ed io sapevo bene invece che in lui batteva un cuore generoso,che pulsava un cervello geniale,che non erano i sotterranei dell’Opera la sua casa,ma l’Opera stesso,il teatro di Parigi che lui avrebbe ristrutturato e riaperto a tutti coloro che volevano legittimamente conoscere la vera bellezza!
Non andò a raccogliere la statuina.Mi fulminò con lo sguardo,ma raccolse la mia sfida.
-Usciamo di qui,Ilia Semonov…Abbiamo perso abbastanza tempo.Voglio che contattiate al più presto la migliore impresa di lavori di Parigi…- ‘

-Brest! Stazione di Brest!....i passeggeri sono invitati a scendere….-
La voce del capostazione interruppe il lavoro di Ilia.Alphonsine si svegliò dal suo sonno e si guardò intorno appena un po’ disorientata.Poi guardò il suo compagno di viaggio:era serio,mentre ancora seguiva col pensiero il racconto che aveva appena rivissuto.
Finalmente la guardò,ricambiò il suo sorriso e,dandole il braccio sollecito,le disse:
-Eccoci arrivati….pronta?-
-Pronta…- rispose lei,non così sicura.
Quindi scesero dal treno e salirono su una vettura,che li condusse di lì a poco a destinazione.



La carrozza si fermò all’ingresso del viale di platani,in fondo al quale un’esedra di fiori si apriva davanti al portone superbo della residenza Segnier.
Faceva freddo,ma il cielo era sereno.Alphonsine ed Ilia si incamminarono lungo il viale,volentieri,seguiti dal vetturino coi bagagli.
Man mano che avanzavano,Semonov iniziò a distinguere qualcuno seduto nei pressi della grande aiuola,con un libro tra le mani e una coperta sulle gambe.
Questi alzò a un tratto lo sguardo verso di loro.Posò il libro in grembo e piano iniziò a spingere le ruote della sua sedia,per andar loro incontro.
Avvicinandosi si distinse un giovane pallido,dai capelli biondi e l’aria segnata dalla malattia e dalla debolezza.
-Alphonsine!- esclamò,sorridendo ai nuovi venuti.
Ilia guardò la sua ospite.
-E’ mio fratello…- spiegò,schiarendosi la voce. –Philippe!- rispose poi al richiamo del giovane,salutandolo con la mano guantata.
Si ritrovarono a metà viale.Il vetturino arrancava dietro,Philippe per prima cosa si rivolse al poverino:
-Posate pure i bagagli nell’ingresso e chiedete di Joseph…vi pagherà e vi darà anche un buon bicchiere di vino cotto…Fa freddo,stamane… Alphonsine:credevo non potessi diventare più bella di quando sei partita…invece mi sbagliavo! Sei splendida!-
La giovane donna ringraziò implicitamente col sorriso,poi presentò il suo accompagnatore:
-Philippe…monsieur Ilia Semonov…il vicedirettore dell’Opera…-
-Monsieur…Molto lieto…Vice direttore? Una personalità…-
La ballerina guardò supplichevole Ilia,sperando che non la smentisse.
Lui ricambiò il suo sguardo,con leggero disappunto.Poi sospirando precisò:
-Sono più grane che altro,monsieur Segnier…-
-Entrate…mamma non vedeva l’ora che arrivaste!- disse ancora,precedendoli e scomparendo poi all’interno.
Nell’atrio all’ingresso un solenne scalone conduceva alle stanze di sopra.Ferma sui gradini,a metà scala,una donna anziana,coi capelli bianchi raccolti sulla testa e un grigio abito severo,aspettava con ansia:
-Alphonsine…- disse,scendendo verso la figlia.
-Mamma…- rispose quest’ultima andandole incontro e baciandola.
Ilia pensò a quanto quella casa,quella famiglia fossero distanti,estranee alla personalità della ballerina.Qui tutto parlava di serietà,di rigore;gioia,dolore,sofferenza non avevano spazio per emergere. Un’ ipocrisia pesante come una cappa copriva ogni cosa…
Smise di riflettere,trovandosi faccia a faccia con Madame Segnier che lo scrutava,leggermente ostile,mentre la figlia le spiegava:
-Monsieur Semonov,il vicedirettore dell’Opera….l’ho invitato a trascorrere qui il Natale,mamma…perché è solo:sai la sua famiglia è in Russia…-
-Sua figlia è stata molto generosa e sensibile…ma naturalmente,madame…se lo ritenete più opportuno,posso trovarmi un alloggio in città…-
-Non lo trovereste,purtroppo:la città è piena…Provvederemo altrimenti…- rispose quella,gelida; poi,congedandosi,aggiunse – Vado a dare disposizioni alla servitù! Joseph!-
Alphonsine scambiò uno sguardo con Ilia:esprimeva disagio,delusione.Il giovanotto le sorrise,incoraggiandola.
-Va tutto bene…-la tranquillizzò -E’ una casa magnifica:esattamente vostro padre di cosa si occupa?-
Lei gli fece strada verso il salotto,rispondendo:
-E’ armatore…Prego,Ilia…aspettatemi qui…Sarò subito da voi!-
Si allontanò in fretta e poco dopo sentì che battibeccava con la madre,in un’altra stanza di quella casa tanto splendida quanto opprimente.
-Ecco….siamo tornati alla routine dei giorni migliori…- disse una voce dietro di lui,facendolo sussultare.
Si voltò:rannicchiato sulla sua sedia,Philippe,senza guardarlo,si scusò:
-Mi spiace…Non mi avevate notato,vero?...Del resto…- Non terminò la frase,ma era chiaro il senso:perché fare caso a un essere apparentemente inutile come lui?
-Sono un po’ disorientato…è una casa molto grande…e non ci sono abituato!-
-Ma come,monsieur:il vicedirettore dell’Opera trova troppo grande la nostra umile residenza?-
Ilia si sedette e lo guardò in viso:
-La mia casa entrava tutta in questa stanza…monsieur Segnier…-
I due uomini si misurarono un po’ con lo sguardo,poi il padrone di casa disse:
-Mi chiamo Philippe….-
-Il mio nome è Ilia…-
Si strinsero la mano,solidali.
-Avete ragione,Ilia…questa casa è un mausoleo…Si vivacizza soltanto quando arriva mia sorella…-
-Questi…scambi di opinione sono frequenti?- domandò il russo.
-…questi? Sono nulla rispetto a quello che succede tra Alphonsine e mio padre…Passerete un Natale speciale,Ilia…sicuramente unico,nel suo genere!-


-Hai bisogno di me?- Sindial era sollecito,ma non voleva essere indiscreto con Aurora.
-Dovrai aiutarmi a indossare il corsetto…e l’abito…- rispose lei,accostando piano la porta del bagno.
-Starò qui sul letto ad aspettarti…-disse,tenendo tra le mani il bustino e osservandolo con disappunto.
Quando Aurora rientrò nella stanza da letto,le domandò:
-Perché devi indossare questo strumento di tortura?-
Lei sorrise divertita.Ma non seppe rispondere.
-Purtroppo…noi donne patiamo per essere belle…-
-Non ne avresti bisogno…sei bella comunque…-
-Lo dici,perché mi guardi con gli occhi dell’amore…- era una battuta come un’altra,un banale luogo comune.Ma Aurora avrebbe voluto non pronunziarla,perché sottolineava ancora una volta la sua condizione di menomazione,rispetto a lui.
Erik le stava legando i laccetti e la sentì sospirare.
-E’ troppo stretto?- domandò.
-Cosa?- chiese lei,pensando ad altro.
Lui la volse a sè.Si accorse della sua espressione contrariata.
-Dove sei volata,piccola anima mia?-
Lei scosse la testa,schernendosi.Poi però gli domandò:
-C’è una cosa che vorrei sapere…ma non ho abbastanza forza per chiedertela…Ho paura della tua risposta…-
Sindial ricominciò a legare il corsetto:a cosa alludeva Aurora? Al passato,forse. Alla sua identità,alla sua storia.
Senza pensarci,aveva iniziato a stringere i laccetti con forza.Alla fanciulla mancò il fiato:
-Ah….non così forte…-
Per un attimo lui sembrò non sentire nulla,poi –spaventato da quello che stava facendo- finalmente allentò la stretta.
-Perdonami…perdonami Aurora…- le disse,abbracciandola.E intanto si odiò,profondamente:ecco,era ancora un violento,un maledetto irresponsabile violento,capace di fare male anche alle persone che amava.
La fanciulla respirò.Era spaventata anche lei.Gli cinse il collo,appoggiò la guancia alla sua.
-Ti ho fatto arrabbiare?...è colpa mia?....-
-No…no…- la rassicurò,domandandosi come poteva quella creatura amarlo a tal punto…La risposta era semplice:lo amava perché non lo vedeva,non per quello che era,almeno…
-Fammela quella domanda,Aurora…qualunque essa sia…- le impose lui,tremando dentro di sé.
Lei annuì.
-Si tratta della mia…condizione…-
Lui la guardò senza capire,inizialmente. Poi tirò un sospiro di sollievo;infine interrogativamente ripetè:
-La tua..condizione?-
-Erik…io lo so che la mia cecità è pur sempre un ostacolo…Io vivo col dubbio che tu…-
L’uomo le troncò le parole sulle labbra,baciandola e stringendola.
-Sei una sciocca…siamo due sciocchi Aurora….Siamo così poco abituati ad essere amati che ci tormentiamo inutilmente…Ascolta:io ti amo…averti vicino mi rende pazzo di gioia….e non mi bastano più poche ore rubate alla notte…Lo avrai capito…Ti voglio al mio fianco,sempre,voglio vivere con te!...Non appena Ilia rientrerà da Brest,cercheremo la nostra casa…Una villa,in campagna…- aveva parlato senza fermarsi,col cuore in tumulto;finalmente si calmò,aggiungendo -sempre…che tu lo voglia…-
Aurora aveva ascoltato,incredula,emozionata,incapace di trattenere le lacrime e la gioia insieme.Questa volta fu lei a zittirlo.Gli cinse il collo,gli cercò le labbra e poi lo baciò,facendo tesoro dei suoi insegnamenti.Lo baciò piano,ma sempre più intensamente,come se non dovesse smettere mai...

- Ora…indossa l'abito celeste e lasciati ammirare – le disse Erik,fermandola con dolce determinazione.
Lei annuì,senza saper aggiungere altro.
Finalmente fu vestita.Sistemò con l’aiuto di Sindial i capelli e si volse verso di lui,porgendogli la mano.
L’uomo scosse la testa con un sorriso:
-Non potrò mai dimenticare la visione che ebbi di te,con questo vestito….- le confessò.
Poi la prese per mano,le porse il braccio e con lei scese le scale,verso il teatro.
Il palcoscenico era ingombro di attrezzature e fondali.
-A gennaio metteremo in scena il Peer Gynt…-
-Si…ho sentito le prove…-
-Voglio descriverti le scene che ho in mente…-
Così dicendo la fece sedere in prima fila e saltò sul palco. Qui cominciò a raccontarle le scene e la storia,interrompendosi per accennare al piano le varie sequenze musicali. Aurora ebbe la sensazione di vedere ogni cosa,così come lui la descriveva.
-Erik…-lo interruppe- Chi interpreterà Anìtra?
Lui si fermò:era seduto al piano,accennò al passo di cui parlava Aurora.
-Ti ascolto….dimmelo tu!- le rispose.
-Non credi che….Alphonsine sarebbe perfetta?- suggerì.
Lui scese con un balzo dal palcoscenico e le fu vicino:
-…se impara a recitare,si…- le disse,baciandola,leggermente in sopraffiato.-Ora vieni…voglio risentire la canzone di Solvieg…Vieni…-
Aurora suonò per lui,che ascoltandola disegnò alcuni bozzetti,seduto sulle tavole del palcoscenico,appoggiato al piano:ma non era la sua solita,febbrile attività,quella in cui sfogava il vuoto,il dolore,l’insensatezza di una esistenza senza amore.Ora lavoro era sinonimo di armonia,di piacere… di soddisfazione;e la stanchezza non era spossatezza,ma appagamento.
A un tratto smise di disegnare,si alzò da terra e le fu vicino.
- Nel pomeriggio,se ti fa piacere usciremo…-
- Mi aiuteresti a scegliere un regalo per Blanche?...-
Era Natale.La gente si scambiava regali.Lui sospirò,poi pensò che forse era il momento di regalare qualcosa anche ad Aurora.
-Va bene…- sillabò.
Lei gli carezzò il viso.Immaginò con quanto poco entusiasmo la stesse accontentando.
-Le voglio molto bene,Erik…- gli disse,quasi scusandosi.
Sindial le prese la mano che lo carezzava e gliela baciò.
-Vieni ora…torniamo su…-
Questa volta rientrarono dal back stage.Aurora a un tratto avvertì un’aura di vento fresco provenire dalla cappella.
-Che cosa c’è,di là?- domandò,indicando il piccolo accesso.
-Una cappella…- rispose lui,un po’ restio.
La fanciulla esitò:si sentì attratta da quell’aria fresca,ma non sapeva se procedere o meno.
-Vuoi entrarvi?- chiese lui,poi –senza aspettare la sua risposta- la introdusse nel piccolo ambiente.
Aurora si fermò sulla soglia,con un sussulto:i suoi occhi avevano visto l’angelo della musica,tacito e malinconico sulle pareti scrostate.
-Oh…- disse,quasi indietreggiando.
-Che succede?- chiese l’uomo,sorpreso.
-C’è un angelo disegnato contro la parete?...è vero?-
-Si…tu…lo hai visto?-
Lei annuì col capo,cercando rifugio tra le sue braccia.
-Non aver paura…-la confortò,stringendola teneramente.-Non aver paura…- le ripetè,guardando intanto l’angelo che,per uno strano scherzo della luce,sembrava essere uscito da quel suo torpore doloroso e accennare con le labbra ad un impercettibile sorriso.



Ilia conversava ancora con il fratello minore di Alphonsine,quando quest’ultima irruppe nel salotto e invitò l’ospite a prendere possesso della sua stanza.
Salirono insieme le solenni scale dell’atrio ed accedettero alle stanze da letto. Alla fine di un corridoio leggermente in ombra Alphonsine aprì una porta e vi introdusse Ilia.
-Accomodatevi…Joseph ha già portato qui i vostri bagagli…- gli disse lei,rimanendo tuttavia sulla porta ad osservare la stanza.
Era una camera severa,come tutto in quella casa.Dalla finestra d’angolo si spaziava lo sguardo sul grande parco.Per il resto,tutto sembrava spento.
-Mi spiace Ilia di avervi trascinato fin qui…-gli disse Alphonsine senza guardarlo,ma spingendo lo sguardo oltre la finestra e il verde dei platani.
Lui la guardò,comprensivo.
-Passeremo insieme questo Natale…- le disse,confortandola.
-Mi domando se la mia famiglia possa essere motivo di ispirazione per il vostro libro…o sia troppo grigia e rigorosa anche per quello?-
Lui le si avvicinò,le pose le mani sulle spalle,rincuorandola:
-Vostro fratello è un ragazzo dolce e sensibile…-
-Lo so…La verità è che sono venuta qui soprattutto per lui…Voi non avete ancora visto,Ilia…Mi piacerebbe tanto portarlo via di qui!-
Il giovane russo la guardò interrogativamente.Era addolorata,le parole le uscivano a stento dalle labbra,come una confessione a lungo covata nel cuore. E si interruppe presto,richiamata dai rumori provenienti dal basso.
-Scusatemi….credo sia rientrato mio padre:gli vado incontro!-
Così dicendo,si allontanò in fretta.
Rimasto solo,il giovanotto sospirò guardandosi intorno e cercando di capire attraverso i particolari della stanza,quali segreti avesse da raccontargli quella casa.
Poi si stese sul letto e il pensiero lo ricondusse alla sua piccola isba nella radura.La nostalgia gli immalinconì il cuore.Era lontana,quella casa…era un altrove ormai irraggiungibile:eppure era la sua più grande ricchezza…
Qualcuno bussò piano alla sua porta.
-Il pranzo è servito,monsieur…-
Si era assopito,accidenti.Ed ora era in ritardo,pensò.
Entrò nella grande sala da pranzo e trovò la famiglia Segnier riunita già a tavola.
-Perdonatemi…- si scusò,quindi sedette alla destra di Philippe,immaginando trattarsi del posto a lui riservato.
Con la coda dell’occhio,scrutò il padrone di casa,l’armatore Arthur Segnier,seduto a capotavola.
Un uomo imponente,duro,dai pochi capelli,i baffi di rito,il volto impassibile.Una impassibilità diversa da quella di Sindial,pensò Ilia.Dietro la maschera del suo impresario si indovinava un mondo intero,inespresso ma profondo.Qui invece l’impassibilità era solo il sintomo di una glaciale insensibilità verso gli altri…
-Buon giorno, signor Semonov-lo apostrofò Segnier-…dunque voi sareste il segretario di Sergiei Indial…-
Ilia faticò a identificare in quel nome,che peraltro aveva inventato lui stesso,il suo amico e principale.Gli venne quasi da ridere,poi pensò che Segnier aveva preso informazioni su di lui…che grettezza…E tutto questo per mortificare ovviamente sua figlia,impedirle di colorare la realtà di qualche guizzo di immaginazione.
-Esattamente signore…-
Joseph si era avvicinato per versargli il vino.Il giovane si volse al vecchio maggiordomo,dal viso incartapecorito dalle rughe e col gesto della mano lo fermò,ringraziandolo.
-Grazie….basta così…-
-Joseph…servi pure il pranzo,ora…- concesse quindi il padrone di casa.
Gli altri commensali non proferivano parola.Ilia era assolutamente sorpreso:Philippe,Alphonsine erano annichiliti dalla presenza di quell’uomo sgradevole.E Madame Segnier più di loro.Il più vitale in quella stanza era il vecchio maggiordomo.
Quando questi si fu allontanato,Segnier riprese a parlare.
-Pare che mia figlia Alphonsine sia diventata una stella,a Parigi…- c’era disprezzo nella sua voce.
-Vostra figlia,monsieur è un’ artista…La sua stella brillerebbe ovunque…- ribattè Ilia,guardando significativamente la giovane donna di fronte a lui.
Philippe tentò di interloquire.
-Abbiamo letto le recensioni sui giornali…Cosa avrei dato per vederti nel ruolo di Esmeralda…-
-Dato?...sfortunatamente,Philippe…tu non hai niente da dare,ragazzo…-
-Non è poi lontana Parigi…- disse allora Ilia,sfidando un po’ Segnier.
Philippe aveva rimesso la testa nel piatto.
-Per me…è lontanissima…direi irraggiungibile…-
Ilia si volse verso di lui,ma guardò anche Alphonsine.
-Sapete? Fino a cinque anni fa per me Parigi era solo un nome…nemmeno una città reale…ed io vivevo in una casa che da sola stava tutta nel vostro atrio….Non c’erano stanze per gli ospiti,ma se capitava per caso un forestiero,gli aprivamo le nostre stanze e condividevamo con lui il nostro pane…E’ da lì,che sono partito…ignaro di tutto e di tutto ansioso e avido…-
Philippe lo guardò con occhi sognanti:anche lui era avido di tutto…
Segnier lo guardò invece col fumo negli occhi:
-Tanta strada,per essere semplicemente il factotum di monsieur S.Indial?- ironizzò. -E com’è adesso la vostra casa,a Parigi?...o vivete ospite del buon cuore del vostro principale?-
-Papà!- Alphonsine finalmente alzò la testa,rimproverandolo.
-Oh…scusate,pare che mia figlia vi apprezzi particolarmente….Lei ha un debole,per le nullità!...Non a caso è qui soltanto per il mio piccolo Philippe!-
La mascella di Ilia si irrigidì.Masticò piano il boccone amarissimo che aveva in bocca,deglutì,bevve un sorso di vino,poi rispose.
-Ho una casa mia,a Parigi…è piccola,ma ne sono fiero…E sarei onorato di ospitarvi,Philippe…se vorrete venire con noi,al nostro rientro!-
Il fratello di Alphonsine lo guardò,incredulo ed elettrizzato all’idea.Stava già per rispondere,dare il suo consenso,quando il padre lo richiamò:
-Philippe!...il tuo piatto è ancora pieno! Ti comporti ancora come un bambino,a tavola!-
Ilia sentì una oppressione tremenda.Sollevò gli occhi e finalmente incrociò lo sguardo di madame Segnier…
Ecco…in quello sguardo qualcosa si agitava:dolore,umiliazione,sollecitudine e una silenziosa supplica verso di lui.Il giovane russo respirò e sostenne quello sguardo,restituendogli comprensione,solidarietà,fiducia.
-A fine pasto,vi vorrei nel mio studio,monsieur Semonov…fumeremo un sigaro insieme,da uomini!-
-Mi spiace,ma non fumo signor armatore…e a fine pasto preferisco prendere una boccata d’aria fresca…Venite con me,Alphonsine?-
La ragazza guardò il padre con aria di sfida,quindi rispose:
-Con immenso piacere!-
-E voi,Philippe?-
Il giovane ammalato scosse la testa,rassegnato e debole,come sempre.



Avevano pranzato insieme nel piccolo soggiorno dell’alloggio di Aurora,serviti con discrezione dal cameriere personale di Sindial,un orientale silenzioso come un serpente della cui presenza la fanciulla,come forse la gran parte degli ospiti dell’Opera,era all’oscuro.
-Ma allora…non siamo soli?- domandò,accorgendosi finalmente di lui.
-E’ come se lo fossimo,stai pur certa…-la tranquillizzò Erik,congedando il fidato servitore in una lingua sconosciuta.
-Cosa avevi pensato di regalare a Blanche?-le domandò poi,cambiando argomento.
-…ero indecisa…Pensavo una spilla…ma forse è meglio una sciarpa di seta…-
-Se vuoi,posso far venire qui i commessi con la merce…potrai scegliere in tutta libertà…-
-Forse è una buona idea…-gli rispose.Poi ricordò le parole di Blanche ‘Non fate di questo teatro una seconda clinica’…ma prima che potesse dire altro,lui soggiunse:
-Usciremo lo stesso…Andremo sul lungosenna…-
-Anche al Trocadero e…al quartiere Latino?...- domandò lei,esitante.
-Certo…-
-A Natale l’aria è piena di odori speciali…- si giustificò.
Lui le cinse i fianchi,la attirò a sé:
-Andremo ovunque tu voglia….ma ora vieni qui…- desiderava baciarla,tenerla stretta.Lei assecondò con slancio il suo desiderio e presto Sindial la sollevò sulle braccia e la portò sul letto.
-Non so resistere oltre…averti vicina è una tentazione continua…- le sussurrò.
-Aspettavo che accadesse…lo aspettavo…- rispose lei.
Lui le carezzò le spalle;senza spogliarla le accarezzò il seno,la vita,rivivendo l’attimo in cui l’aveva desiderata la prima volta,vestita di celeste. Si chinò su di lei,a baciarle il collo e piano sbottonarle la lunga fila di bottoncini che le chiudevano il vestito lungo la schiena.Man mano la pelle di lei emergeva nuda dalla stoffa leggera e lui ne baciava ogni centimetro,con delicata sensuale avidità.
Finalmente la liberò del vestito…e la vestì di baci.
Sentiva i suoi sospiri e sapeva che presto l’avrebbe avuta,ma voleva prolungare l’attesa ancora…mai sazio di quella sua pelle di seta…
Le mani di Aurora scivolarono sotto la sua camicia,cercando desiderose la pelle calda,il contatto eccitante con il suo torace forte,maschio.
Ecco,ora anche la camicia di lui era per terra:i loro corpi intrecciati si sarebbero fusi ancora una volta,sempre più intensamente…
-Ti farò felice,Aurora…-le promise ancora lui,facendola sua.
-Io…sono felice…- gemette lei,abbandonandosi tra le sue braccia,totalmente appagata.



Quella mattina il postino recò due lettere a madame Giry.La donna ne scorse velocemente il mittente:la prima era di Alphonsine e la incuriosì;ma la vista del nome della sua piccola Meg sulla seconda le allargò il sorriso sulle labbra assottigliate dagli anni.Diede una lauta mancia al latore della posta che si allontanò augurandole un lieto Natale.
Magdalene rientrò nella villa e si ritirò nel suo studio.
Benché fremesse dal desiderio di leggere le novità da sua figlia,come nel suo stile procedette con ordine,aprendo prima la lettera dell’ex alunna.
Alphonsine la informava del prosieguo del soggiorno suo e di Aurora a Parigi.Dunque il signor Sindial aveva accettato il suo consiglio…ciò la lusingava e la incuriosiva nuovamente.Avrebbe dovuto conoscere prima o poi questo misterioso straniero…Ma,naturalmente la scuola e il balletto delle nove muse erano una priorità… Si disse,saggiamente.
Finalmente la maestra di ballo aprì la lettera della figlia:
‘Carissima mamma,
si avvicina il Natale…e mi mancate terribilmente.Scusate se esordisco così,ma è la verità:sono felice di sapere che avete aperto una scuola di ballo,che non vi siete fatta travolgere dalla solitudine,che le vostre alunne vi circondano di affetto e vi rendono orgogliosa…Ma sarei stata molto più felice se mi aveste scritto che mi avreste raggiunta,per starmi vicina!
Rodolfo ed io abbiamo acquistato una casa che guarda sull’oceano:ha un porticato pieno di fiori e la vostra stanza ne è sempre piena.Ogni vapore che entra in porto dall’Europa sembra possa recarmi la vostra cara presenza,ma mi illudo…
Mamma cara,vi ricordate i nostri natali insieme?faceva freddo e le Tullieries si coprivano di neve…ma voi in quei giorni tornavate finalmente un po’ bambina e giocavate con me nella neve…oppure vi divertivate con le bambole nuove che papa Noel mi aveva portato…Vi ricordate?
Non vi piacerebbe tornare a giocare?...forse il Natale prossimo ci sarà un bambino o una bambina,in questa casa…non ne sono sicurissima,ma volevo cominciare a dirvelo:non vi piacerebbe giocare anche con lui?’
Magdalene si interruppe,una,due,tre lacrime erano cadute sulla lettera,scolorendone l’inchiostro.
La donna inspirò lentamente:si ricordava…
Che donna particolare era stata,Magdalene Deviche…sempre compassata,ordinata,seria,fin da ragazzina.Sembrava perfettamente in grado di controllarsi,in tutto:gioia,dolore,disappunto;paura,successo…
Era il suo carattere.I guizzi,la passione,la follia emergevano solo nella danza.Poi tutto rientrava perfettamente sotto controllo.
Soltanto una volta,la pietà era stata più forte della ragione.E a lungo si era domandata cosa avesse fatto e perché…in parte pentendosi di quel gesto insano…
Era successo quando aveva da poco compiuto i quindici anni.In città c’era una fiera:una sorta di circo dove si esibivano le attrazioni più assurde e spaventose:la donna barbuta,l’uomo più forte del mondo,contorsionisti,sedicenti maghi…e il ‘figlio del diavolo’…
Quanto aveva sofferto vedendolo la prima volta,un bambino gettato sulla paglia come una bestia in gabbia,picchiato e irriso…esibito con crudeltà tra le risate selvagge delle persone normali…
Si erano scambiati il primo sguardo allora,lei ed Erik.I suoi occhi,quegli occhi straordinariamente profondi,l’avevano identificata nella folla di bestiali spettatori e avevano suscitato dal profondo la sua ribellione a quella ingiustizia infinita.
Non aveva saputo staccarsi da quello sguardo:intorno a lei tutti ridevano,infierivano,quasi battevano il tempo alle percosse che cadevano impietose sul volto sfigurato di quel bambino,colpevole solo di essere sfortunato,orribilmente diverso dagli altri.
Lei era rimasta là,inebetita.A domandarsi perché?che cosa stava succedendo?
Poi aveva visto scattare il plasso:aveva assistito finalmente a un atto di giustizia…violento,feroce,ma giusto!...e aveva aiutato chi lo aveva compiuto a fuggire.
-Soccorso!...quel demonio ha ucciso Salambò!- si gridava da ogni parte.
-Vieni…dammi la mano…- aveva sussurrato lei,prendendo per mano quell’infelice e conducendolo di corsa per le vie di una Parigi desolata e sconosciuta.
Avevano corso senza meta,inseguiti fino a un certo punto.E si erano ritrovati davanti al teatro dell’Opera…
La finestra della cappella era aperta:erano due bambini magri ed agili,vi si calarono facilmente…
Poi rimasero fermi a guardarsi.Erik aveva quella sua maschera di pezza,da cui trapelavano solo gli occhi…
-Puoi fermarti qui,fino a domani…-gli aveva detto Magdalene.
Lui si stava guardando intorno,gli occhi fissi su un affresco scrostato contro la parete.
-E’..è l’angelo della musica…-
-L’angelo della musica…-aveva ripetuto,con una voce cristallina,celestiale,indimenticabile.
-Debbo andare…- aveva poi riflettuto lei- Io mi chiamo Magdalene Deviche…e tu?-
Lui fece spallucce:non aveva un nome,forse…
-Come posso chiamarti…se debbo avvisarti di qualcosa?-
L’aveva guardata,senza rispondere.Allora lei aveva pensato che un nome non si nega neppure a un cane…e invece…
-Come chiami il tuo cane?- le domandò lui.
-Non ho cani…Posso chiamarti Erik?-
-Erik…?-
-E’ il nome di un bambino mai nato…Mia madre morì con lui,prima che nascesse…-
Gli disse così,e gli sorrise.Forse anche lui le sorrise,dietro la tela della maschera.Certo i suoi occhi la guardarono con grata tenerezza.
-Debbo andare..verrò domani! Addio!- disse lei,scappando via.

L’indomani lo aveva cercato,chiamandolo per nome,a lungo.
-Erik!...-
Non c’era più.Sparito. E negli anni successivi Magdalene arrivò a pensare che forse non era mai nemmeno esistito.
Del resto anche lei era rientrata nella sua vita di sempre.Aveva completato gli studi e,ubbidendo alla volontà di suo padre,aveva sposato un giovane capitano di vascello,Victorien Giry,che,nei pochi mesi in cui avevano convissuto,era stato un marito tenero e affettuoso,ma aveva preteso che lei smettesse di occuparsi di danza.
Un giorno era partito.Magdalene gli comunicò per posta di essere incinta;per posta lui la pregò di dare al nascituro,se fosse stata una femmina,il nome della sua adorata madre;una lettera lo avvertì della nascita della piccola Meg;una lettera le comunicò che era morto di febbre gialla a Canton…
Fu fatale rimboccarsi le maniche. E tornare alla danza:non più,mai più ballerina…ma maestra si.E il rigore,la calma,la compassatezza divennero la sua maschera…
Ma con sua figlia volle conservare dei momenti di gioia e di abbandono.A Natale giocava con lei,come una bambina:si rotolava nella neve,le montava un pupazzo sempre più alto,combatteva con lei battaglie infinite,animava le sue bambole…La sua bambina doveva crescere bambina…nessun bambino mai avrebbe dovuto essere derubato della sua infanzia…


Magdalene tornò con la mente al presente. Ricominciò a leggere la lettera,lasciata a metà

‘Rodolfo ed io abbiamo già deciso che se sarà una femminuccia le daremo il vostro nome.
Se invece sarà maschio avevamo pensato al nome di quel vostro fratello mai nato,ricordate?
Da bambina a volte mi avete parlato di lui…Erik…Veramente Rodolfo preferirebbe Enrico,che ne pensate?
Mamma cara,vi prego:ricordatevi le nostre pazzie nella neve,ricordatevi della vostra bambina a cui non facevate mai mancare gli slanci vostri di madre…Non fatevi aspettare a lungo!
Vi abbraccio devotamente insieme a Rodolfo,augurandovi un dolce Natale…
Vostra figlia
Meg Giry Valsanti’


Partire? Attraversare l’Oceano,per conoscere una piccola Giry? Per dare affetto a un altro piccolo Erik? La tentazione era forte;ma quando aveva ceduto alla tentazione,Magdalene si era ritrovata piuttosto malconcia. Come quando Erik era tornato all’Opera;e lei ne era divenuta complice…


Magdalene sembrava rapita nuovamente dai ricordi,quando qualcuno bussò alla porta del suo studio,interrompendola.
-Madame…posso entrare?-
-Oh Dolphine…come state?-
-Bene…ero venuta per salutarvi,madame…La mia famiglia rientra a Parigi ed io mi unisco a loro.Sapete bene quanto sia legata alla mia città…non aspettavo altro!-
-Naturalmente…e,pensate di rinunciare alla danza?-
La giovane fece spallucce.
-Non saprei…speravo che Aurora e Alphonsine potessero fare di più per il nostro balletto…-
Magdalene riflettè un attimo,poi le venne in mente la lettera della Segnier.
-Per il nostro balletto no,ma….- riprese in mano la missiva,trattenendo la ballerina – ma,se qualcuna volesse presentarsi ai provini….Monsieur Sindial sta creando una compagnia stabile e Alphonsine,insieme ad Aurora,collaborano con lui…Vedete?La nostra etoile mi invita proprio a comunicarlo a tutte voi…Sarebbe un peccato,Dolphine,non provarci…-
La giovanetta sembrò entusiasta.Abbracciò l’ex maestra e scappò a concludere i preparativi per il rientro nella capitale.
Era graziosa Dolphine…ricordava per certi versi Christine Daaè.Gli stessi capelli,il personale slanciato.Ma aveva una solarità che l’altra non aveva avuto mai.
Christine…Una bambina sperduta,un’orfanella.Tremula come una fogliolina,delicata.E dotata di un dono eccezionale:il dono del canto…
Furono probabilmente queste tre caratteristiche insieme ad evocare quello spettro dagli abissi del teatro dove si era rintanato fino ad obliarsi completamente.
Magdalene si rimproverò:a che serviva ricordare? Tanto ogni volta non riusciva a trovare una sola ragione che giustificasse la sua sottomessa abnegazione nei confronti di quell’infelice…
Era tornato improvvisamente,nella doppia veste di angelo e demonio,di maestro della beatitudine musicale e di plagiatore di anime,in un crescendo di passione e aberrazione nel quale lei si era fatta trascinare senza opporre resistenza…Perché? Sedotta forse dalla metamorfosi di Erik,divenuto improvvisamente un affascinante,amorale manipolatore di coscienze?o forse ricattata dall’antico segreto condiviso da bambini? O impietosita dal grande inganno in cui l’uomo si stava lasciando cadere…l’inganno di un amore impossibile?
Per fortuna era tutto finito.E lei stessa aveva collaborato perché ciò accadesse,sottraendosi almeno in ultimo al potere del ‘fantasma’…
Ripensando a quella sua assunzione di responsabilità,si sentiva rinfrancata. Era riuscita a riprendere la propria autonomia contro quell’assassino,quel povero folle assassino.Questo le dava forza,se mai…
Si morse le labbra:tempo prima aveva letto su un giornale che forse il suo corpo era stato trovato,tra gli infelici sepolti nell’Opera…
Aveva voluto crederci,illudendosi che dopo il loro addio lui fosse tornato in teatro e l’avesse fatta finita.In fondo,quali altre possibilità poteva avere dopo quanto aveva fatto?
Ma in realtà una parte di lei dentro di sé sapeva che Erik no,non era morto nell’incendio dell’Opera…una parte che Magdalene teneva quasi relegata in un angolo inascoltato del proprio cuore. E che avrebbe fatto tacere,se mai quell’uomo fosse tornato di nuovo sul suo cammino!


Alphonsine e Ilia camminavano silenziosi l’una accanto all’altro.
-E’ bello il parco…-disse a un tratto lui,ma era distante,malinconico.
-Già…vi ricordate Ilia quando vi dissi che si rimane sempre legati alla propria casa?...Forse non ci crederete,ora che l’avete conosciuta…ma io qualche volta rimpiango tutto questo…Che sciocca vero?-
-Alphonsine…-Ilia aveva un tono di voce pacato,ma distaccato.-Volete sapere cosa mi piace di voi? Quella prepotente vitalità che avete dentro,spontanea,a volte irriverente,odiosa,provocatoria…-
La ragazza lo guardò interrogativamente.
-Dagli aggettivi che usate,non si direbbe vi piaccia….-
-Invece si…ma da quando siamo arrivati a Brest è scomparsa,ve ne siete accorta?-
Lei abbassò lo sguardo:
-Niente di vitale sopravvive a lungo in questa casa…-ammise.
-Avete fatto bene a venirne via…Ma tornarci,ora…A cosa miravate,esattamente?-
La giovane scosse le spalle:
-Non lo so…mi auguravo,forse…-tacque qualche minuto,poi esclamò –Non miravo a nulla:volevo riabbracciare mia madre,mio fratello…sapete,ogni inverno superato,per lui…è un inverno in più…Ilia…aiutatemi a portarlo via,vi prego!- gli disse poi,con slancio.
Ilia sorrise,scuotendo la testa.
-E’ lui che dovete convincere,non me…-
-LO so,è un debole…è un succubo…- inveì lei,quasi con livore.
-Ah no,Alphonsine…non infierite! …ora ho capito perché siete così dura con Aurora…-
-Che c’entra Aurora,adesso?-
-Voi trasferite su di lei il rancore che nutrite verso vostro fratello…-
-Anche psicologo,oltre che scrittore…? -Ribattè la ballerina,in tono ironico.-Non ho rancori verso Philippe…-
-No?...- le rispose lui,guardandola negli occhi. –Vogliamo chiamarla rabbia,allora,frustrazione,delusione?...O senso di colpa…Perché voi siete riuscita a fuggire,lasciandolo da solo qui?-
Alphonsine si morse il labbro.Tacque.
-E’ quella debolezza che non perdono…Hanno tanta forza di sopportazione e nemmeno un po’ di energia per reagire!-
Ilia sogghignò.Sentirla ammetterlo lo inteneriva.
-Questo non vi autorizza a fare gli stessi errori di vostro padre….Vedete tra lui e vostro fratello il gioco è palese…-
-Un gioco al massacro…e Philippe soccomberà….-sbottò lei,addolorata.
Ilia la guardò.Il dolore negli occhi di lei era una nota così stonata che si promise di fare di tutto per aiutarla a sottrarre Philippe a quella prigione…


Un suono di campane festose si rincorreva da un campanile all’altro della capitale francese:la mattina di Natale i rintocchi annunciavano il ripetersi della lieta novella,la nascita del bambino che avrebbe salvato l’umanità…
Aurora ne fu risvegliata e muovendosi si accorse che Erik era ancora accanto a lei,addormentato.Ne avvertiva il respiro calmo,regolare;e il calore familiare del corpo.Si stese su un fianco e,non potendo guardarlo,delicatamente iniziò a carezzarlo:gli sfiorò la mano,liscia ma forte,le sue dita percorsero il braccio asciutto e muscoloso,fino alle spalle;poi discesero al torace:tutto in lui emanava una sensazione di forza,di energia…Aurora pensò che doveva essere proprio bello,quel suo uomo sconosciuto…La sua mano si trattenne.Non voleva interrompere il suo sonno.
-Perché hai smesso?-le domandò lui,inaspettatamente.
-Oh…non volevo svegliarti…- si scusò Aurora.
-Non c’è mai stato risveglio più dolce…continua,ti prego….adoro le tue mani…-così dicendo le prese la destra e la baciò a labbra socchiuse,assaporandone quasi la punta delle dita.-L’Aurora dalle dita rosa…così diceva un antico poeta…-
Aurora si schernì,piacevolmente turbata da quel contatto.Poi riprese a carezzarlo,come lui le aveva chiesto.
Dolcemente con la mano gli sfiorò il viso,poi si chinò su di lui e lo baciò delicatamente.
-Perché questo suono di campane?- le domandò allora Erik.
-E’ Natale…-
-Raccontami…raccontami di quando eri bambina e festeggiavi il Natale con la tua famiglia…-
La giovane donna sorrise,un po’ mesta.Immaginò che attraverso i suoi racconti Sindial avrebbe vissuto momenti dei quali era stato privato,derubato…da un destino che lei poteva appena intuire…
-La mia famiglia è calvinista per tradizione…ma il Natale è una delle poche feste che celebravamo come i cristiani.I miei fratelli ed io tornavamo dai collegi e riunirci era così divertente:avevamo mille cose da raccontarci e poi facevamo a gara a vedere chi era cresciuto di più,durante l’inverno…Naturalmente io non vincevo mai!...però la mamma mi rimpinzava di dolci e leccornie…E poi c’era l’eccitazione dei regali…-
Lui sorrise,guardandola mentre raccontava.
-I regali?-
-…a mezzanotte correvamo a guardare sotto l’albero,dove i miei avevano sistemato gli scatoli…erano confezionati così bene che spacchettarli quasi mi dispiaceva…Un anno ricordo che mi aspettavo…-
-Cosa?-
Aurora si era interrotta.Aveva quasi dimenticato quelle sue attese un po’ deluse di bambina…
-Bè…mi aspettavo un cucciolo:i miei fratelli avevano ricevuto dei cagnolini da addestrare alla caccia…io avrei voluto un gattino…Ma non arrivò mai…Come avrei potuto portarlo in collegio con me,del resto?-
Erik le carezzava i capelli:non si sarebbe stancato mai di ascoltarla.Di immaginarsela bambina,di scoprire il piccolo broncio della delusione per non aver ricevuto il regalo che si aspettava.La attirò a sé e la baciò,teneramente.
-Facciamo colazione…Stamattina ti accompagno da Blanche…-
-Perché non ti fermi anche tu?...-
-Approfitto per svolgere degli adempimenti…-le rispose.
-Ma…è Natale:non puoi rimanere da solo…-
Sindial era di spalle,col viso allo specchio:si guardò negli occhi,la sua immagine riflessa ammiccò ironica ricordandogli l’infinita solitudine in cui aveva trascorso anni,giorni,ore,minuti.
Lei gli fu vicino,gli cinse i fianchi e appoggiò la testa alla sua schiena.
-Erik …pranziamo insieme!…permettimi di imbandirti un pranzo di Natale tradizionale,col tacchino ripieno e …-
Lui la interruppe,prendendole le mani e sciogliendosi piano da quell’abbraccio:
-Ti prego,anima mia….Non mi appartiene questa atmosfera di festa…non mi apparterrà mai…-
Lei annuì,assecondandolo.Ma lo ammonì:
-Non dire ‘mai’…-con un tono di supplica,più che di rimprovero.
L’uomo si voltò a carezzarle con rassegnata indulgenza il viso,fingendo di accontentarla.
-Non lo dirò…se ti fa piacere…-
La accompagnò a casa della madrina,congedandosi con un delicato baciamano.
-Resta pure a pranzo qui…ti verrò a prendere nel pomeriggio…-le disse,poi se ne andò.Lei sentì il suo passo allontanarsi sul selciato,rimanendo in ascolto fino a quando fu possibile.Poi,appoggiandosi al braccio di Frau Brandrupp salì le poche scale che conducevano in casa.


-Non vi vedevo così sorridente e serena da molti Natali, Aurora…-
Blanche osservava compiaciuta la sua pupilla,che sorrise.
-Non avete aperto ancora il vostro regalo,Blanche…non indovinerete mai chi mi ha aiutato a sceglierlo…-
L’anziana dama ebbe una espressione sorniona:
-Voi credete,bambina mia?...- mormorò.
La giovane le porse un pacchetto,senza accorgersi di nulla. Madame Levigny aprì l’involto:all’interno una morbida sciarpa di seta giallo pallido,soffice come i petali di una rosa tea…
-E’ splendida,Aurora…una tinta incantevole…-
-Sono contenta che vi piaccia…a primavera,quando torneremo a passeggiare insieme sul LungoSenna,vi farà sicuramente comodo…- disse ancora la pianista,minimizzando il suo dono che era invece doppiamente prezioso,per il pregio e per il gusto con cui era stato accuratamente scelto.
-…E’ un regalo magnifico,Aurora…ma chissà se torneremo a passeggiare insieme,noi due…- sospirò Blanche.Qualcosa nella sua voce sembrava leggermente incrinato;Aurora aveva anche notato una palpabile fragilità nell’abbraccio della madrina.
-Perché dite così,Blanche?…il caldo vi restituirà la vostra bella salute di sempre…-
La dama non replicò subito. Dopo un breve silenzio,come se soppesasse le parole,soggiunse:
-Non lo dico per farmi compiangere…ci sono almeno due buoni motivi che avallano la mia previsione…e il primo,voi lo conoscete bene…-
La fanciulla arrossì.Sapeva che presto o tardi con Blanche sarebbero venute a un chiarimento,ma…cosa dirle? Non avrebbe mai approvato…
-Tacete,Aurora?...vi vergognate forse di me?o mi considerate una vecchia barbogia,anche un po’ tonta?...speravo di essere qualcosa di più,per voi…-
-Oh Blanche…Non volevo…non sapevo…- tentò di difendersi la giovane.
-L’educazione che ho ricevuto,le responsabilità che ho verso di voi,mi imporrebbero di ammonirvi,rimproverarvi…addirittura potrei avvalermi del mio ruolo di tutrice per diffidarvi dal frequentare…l’Opera…- Blanche si schiarì la voce,eloquentemente. –Ma vedete…ho vissuto attraverso di voi,Aurora…la mia vita precedente è stata sempre aderente alle convenzioni e rispettosa delle regole…sapeste quanti sogni coltivavo da bambina,ma –uno alla volta- li ho messi tutti da parte…Per poi riversarli su voi,mia adorata…Ho gioito dei vostri progressi,del vostro talento innato…e ho pianto della vostra ingiusta disgrazia… avrei mai potuto imprigionare il vostro legittimo desiderio di spiccare il volo,superare il labirinto che vi tiene prigioniera ed essere finalmente felice?-
Aurora,a testa bassa,singhiozzò.Quella donna era molto più di una madre,per lei…
-E lo siete,ora? Avete assaporato finalmente la felicità?-
La fanciulla annuì.Non poteva negarlo,ma non poteva nemmeno affermarlo completamente.
-E allora cosa vi turba,ancora?-
La giovane scosse il capo.
-Blanche…vorrei vederlo…vorrei vedere…- confessò,finalmente.
-Mia povera amica…-Blanche la abbracciò,consolandola. –Non disperate,Aurora…io sono sicura che succederà…Voi uscirete da questa buia prigione…Ho il presentimento che a primavera non avrete più bisogno di accompagnatrici…-
-Vi prego Blanche- Aurora tentò di riprendere il controllo- Non cercate di illudermi…-
La dama allora chiamò Elsa,la governante,cambiando improvvisamente argomento.
-Avete chiamato,madame?-
-Si Elsa…potete portarmi il regalo che ho preparato per mia nipote?-
-Subito,madame…-
Scomparve per ricomparire poco dopo sollevando un manichino stilizzato,sul quale poggiava un abito color crema.A guardarlo con attenzione era in realtà bianco,ma tutto ricamato a mano intessuto di piccole perle:aveva un che di antico,di prezioso,ma anche il pregio dell’essere intatto.
-Che cos’è?-domandò Aurora.
-Vi ricordate quando da piccola vi intrufolaste nel mio guardaroba?...Avevate trovato un abito bianco e fingevate di essere una sposa?-
-Mi ricordo…fu l’unica volta che mi rimproveraste sul serio…-
-Ho pensato che sia giunto il momento che questo vecchio vestito smetta di inaridirsi nella naftalina…-
Aurora si era alzata e tastava l’abito con le mani:ora lo ricordava perfettamente…ai suoi occhi di bambina era sembrata una veste principesca,degna di nozze regali…Lo aveva dimenticato ed ora era incredula davanti a quel dono inatteso.
-E’ vostro Aurora…lo indosserete,finalmente:e non sarà per gioco!-
-Oh Blanche….-la pianista abbracciò la madrina,domandandosi quale storia ignota si celasse dietro quell’abito e provando un profondo sentimento di solidarietà per quella donna che l’aveva saputa comprendere sempre,molto più di quanto non avesse saputo fare lei nei suoi confronti.
Madame Levigny carezzò l’abito,forse ricordando qualcosa di una giovane promessa sposa che aveva dovuto rinunciare al suo sogno perché a un dio o a una dea aveva fatto piacere celiare col suo destino;scacciò i ricordi e,riacquistando la matura praticità dei suoi saggi anni,disse:
-E’ più leggero di quanto ricordassi…forse anche voi dovrete aspettare la primavera,prima di indossarlo…-
Aurora ricordò le parole di Sindial e ribattè:
-Non è detto…a teatro può essere già primavera…-
-Allora a teatro,qualche fortunato ve lo vedrà addosso…- sorrise un po’ triste Blanche,come se presentisse che per lei,quella primavera,non sarebbe mai arrivata…
Questa volta Aurora fu più sollecita a cogliere la sfumatura incrinata nella voce della madrina;si volse a lei,le cercò le mani,gliele strinse:
-E qual è il secondo motivo,Blanche?- le chiese,piuttosto perentoria.
La vecchia dama si sciolse dalla stretta delle mani,tentando di sottrarsi a quella domanda.
-La mia età,Aurora…Non sono più la compagna giusta per voi….-
Era chiaro che divagava.
-Voi non mi dite tutto,come sempre…ma stavolta io non mi accontenterò di questa risposta…-la incalzò la giovanetta.
In quella il suono di un campanello interruppe il dialogo,annunziando una visita.
-Deve essere il vostro cavaliere,Aurora…-



In quella giornata di festa familiare,Sindial –avvolto nel suo mantello scuro- si era aggirato solitario per le stradine del quartiere latino,infilandosi nelle bottegucce polverose di artigiani noti a lui solo.Erano gli oscuri custodi di tesori antichi,spesso coperti di polvere,dimenticati,apparentemente senza pregio.Ma l’uomo sapeva ben guardare oltre le apparenze.Finalmente aveva trovato quello che cercava,nell’oscuro laboratorio di un orafo.
-Molto bene,mastro Levi…quando posso ritirarlo?-
-Ho bisogno di un’ora,monsieur..almeno un’ora…-
Erik fu costretto a vagabondare ancora.Fatalmente si ritrovò nell’Ile de la citè,alle spalle di Notre Dame.I suoi occhi sembravano assolutamente indifferenti rispetto alla maestosa superbia della cattedrale parigina.Il suo passo anzi era distratto e frettoloso,ma qualcosa catturò la sua attenzione,rallentò la sua andatura.Una voce saliva dalle vetrate,effondendo la sua soave dolcezza oltre le mura del tempio cristiano:una voce e un canto che toccavano il cuore.
Sindial rabbrividì:nei suoi occhi foschi si inseguirono una serie di immagini,come in una giostra,ruotanti intorno ad una figura femminile,coi capelli tempestati di piccole gemme,un vaporoso abito bianco e un richiamo carico di rimpianto: ‘Pensami…Ricordami…’
Erik sospirò,poi –guidato dalla voce che cantava ‘Panis angelicus’- entrò nella grande chiesa.
Le navate recavano ancora i segni della folla della messa natalizia,ma si svuotavano in fretta degli ultimi fedeli attardatisi.Seguendo la voce l’uomo si era avvicinato all’altare,ma la fonte di quel canto era celata:forse una giovane conversa,nascosta dalle grate?...Non gli importava molto,ora:si sentiva piuttosto catturato in una pania misteriosa.Non era l’empio figlio del diavolo che profanava il tempio di Dio…era piuttosto Dio che lo irretiva nel suo sacro abbraccio.
Sindial tentò di reagire.Quello non era il suo posto,doveva andarsene…Si guardò intorno,alla ricerca di un’uscita,la più vicina…ma i suoi occhi si soffermarono piuttosto su un uomo:non era più giovane,ma non ancora vecchio;imponente nel fisico,ma al tempo stesso come attraversato da un dolore profondo;aveva appoggiato la testa sulla mano destra,chiusa a pugno e –toccando appena con la sinistra il drappeggio ai piedi di una statua d’argento,sembrava da quella statua trarre la forza,l’intensità per una preghiera silenziosa,continua,incessante. Gli occhi di Sindial corsero dalla mano dell’uomo ai piedi della statua,su,fino al volto:era il volto di una donna,un volto di una dolcezza quale solo una donna può saper effondere,anche nel dolore più grande;il volto di una madre…
Per un attimo gli occhi di Erik si rispecchiarono in quelli argentei della Vergine Maria,poi si abbassarono subito:un istintivo segno di umiltà,di rispetto… Ma in quello scambio di sguardi istantaneo forse era passata anche una muta,incerta richiesta.
A passi sicuri l’impresario guadagnò l’ingresso ed uscì,prendendo poi la strada del ritorno.


Frau Brandrupp aprì la porta a Sindial,invitandolo coi suoi modi secchi da prussiana a seguirla,all’interno della casa. Benché titubante,l’uomo la assecondò.Immaginò che lo avrebbe intrattenuto in un’anticamera,nell’attesa che Aurora si congedasse da Blanche e lo raggiungesse.
Aperta una porta laterale,infatti,la donna lo introdusse in un salottino,allontanandosi in fretta.
Di lì a poco Sindial fu raggiunto da madame Blanche Levigny.
-Buona sera,monsieur Sindial…-
Erik era di spalle;si volse con un movimento lento,un po’ studiato e la guardò in viso.
-Buona sera,madame Blanche…- le disse,con aria leggera di sfida.
La donna sostenne mite il suo sguardo,poi lo tranquillizzò:
-Aurora è quasi pronta…approfittavo di questi pochi momenti perché…avrei una supplica da rivolgervi…-
L’uomo si pose in ascolto,non più con atteggiamento sprezzante,ma sempre con una certa diffidenza.
-Ero indecisa se..parlarvi direttamente o scrivervi,visto che è così difficile incontrarvi…- una sfumatura di rimprovero mise di nuovo Erik sulla difensiva.
-Immagino mi considererete scortese,madame…la vita di società mi risulta piuttosto estranea…e talvolta sgradevole…-
-Vi capisco,monsieur…Non dimenticate che con Aurora ho condiviso a lungo un regime di vita molto simile…-
Sindial abbassò lo sguardo,annuendo.
-E’ appunto di questo che vorrei parlarvi…vedete…ho consultato uno specialista e…non vivrò abbastanza a lungo per starle ancora vicino,monsieur… Con Aurora non ho detto nulla,per non intristirla:era così radiosa oggi,e questo soprattutto per merito vostro…-
L’uomo s’inchinò appena,lusingato e grato di quel riconoscimento.Era chiaro che,vinta la diffidenza iniziale,Blanche si stava guadagnando la sua disponibilità.
-Vedete monsieur…la condizione di Aurora nasce dalla sua sensibilità,una sensibilità fuori del normale…la stessa che la faceva danzare come una silfide…che ora guida le sue mani sulla tastiera divinamente…I medici che abbiamo consultato mi hanno tutti sollecitato a spingerla verso la vita,perché solo la vita può restituirle quello che le è stato tolto…Ma Aurora ha a lungo preferito la quiete protettiva della clinica,sottraendosi agli stimoli della esistenza reale…Sono stata così felice quando ha finalmente varcato quel cancello per aderire all’iniziativa di madame Giry…ancor di più quando siamo tornati a Parigi…Sono sicura che Aurora tornerà a vedere,monsieur…anche se sento che quel giorno io non potrò gioirne con lei…-la anziana dama sospirò.
Si erano seduti finalmente,una di fronte all’altro;continuavano a misurarsi,ma era chiaro che l’uno riconosceva l’abnegazione dell’altra.
-La supplica che volevo muovervi è appunto questa:voi che le siete così vicino,non commettete l’errore di tenerla sotto una campana di vetro…Non la aiutereste:Aurora deve vivere,deve conoscere…deve vedere!-
Sindial scrutò Blanche negli occhi,interrogativo,senza risponderle.Di nuovo la donna sostenne il suo sguardo,poi però iniziò a tossire:una tosse cattiva,che non lasciava dubbi…
Erik provò una strana sensazione nel suo cuore.Si ricordò le parole di Aurora ‘Le voglio molto bene’ e per un attimo gli sembrò di riconoscere in sé quello stesso sentimento,di poterlo condividere…Istintivamente mise una mano sulla spalla della donna,come per sostenerla,poi chiamò frau Brandrupp,ordinandole di portare al più presto dell’acqua o del latte caldo,per dare sollievo all’anziana dama.
Lei col gesto e con un sorriso indulgente lo trattenne.
-E’ già passato…non allarmiamo Aurora…Posso sperare che..darete ascolto alle mie parole,monsieur?- gli chiese,appena un poco ansiosa.
- Vi ho ascoltato con attenzione,madame…non dimenticherò quello che mi avete detto…-la rassicurò lui.
-Ma…vi prego…- sempre col gesto,sentendo sopravvenire la sua pupilla,Blanche fece capire che tutto doveva rimanere un segreto tra loro.
Aurora entrò accompagnata da frau Brandrupp:abbracciò teneramente la madrina,accomiatandosi:
-Tornerò a trovarvi anche domani pomeriggio…e dopo domani,Blanche…-
-Non vi preoccupate,mia cara….Preferisco sapervi in giro per Parigi…- disse la donna,ammiccando verso Sindial.
Questi diede il braccio alla fanciulla e congedandosi con poche parole,ma con uno sguardo eloquente,dalla padrona di casa,condusse Aurora via con sé.Li attendeva la carrozza nera,ma Sindial licenziò il vetturino e stringendo la fanciulla a sé,attraversò con lei la ville lumiere che si accendeva piano nell’ebbrezza della sera di festa.


Ilia era steso sul suo letto,vestito per la cena,ma assolutamente poco desideroso di riimmergersi in quell’atmosfera gelida che lo aveva accolto al pasto precedente.Pensò ai natali vissuti nela sua famiglia con un rimpianto nostalgico e sospirò,alzandosi stancamente dal giaciglio. Doveva scendere…non poteva permettersi di tardare anche alla cena di Natale…
Giunto nella sala da pranzo,si accorse subito che qualcosa di nuovo si profilava nell’aria.Il maggiordomo,introducendolo,comunicò alla famiglia che attendeva piuttosto preoccupata il capo di casa in ritardo:
-Monsieur Segnier ha appena fatto sapere che non sarà presente alla cena di Natale:vi prega di procedere anche senza di lui…-
All’ospite sfuggì un sospiro di sollievo,che gli sembrò condiviso dagli altri presenti.Gli sembrò giusto,tuttavia domandarsi se c’era da preoccuparsi per questa assenza.
-Niente di grave,Ilia..- lo rassicurò Alphonsine – non è la prima volta che mio padre si comporta così,a Natale:quando si sente in minoranza,preferisce defilarsi…-
Questa volta il pasto si svolse con serenità,accompagnato da chiacchiere leggere e persino madame Segnier si rivelò una amabile ospite,che conversava piacevolmente con i suoi commensali vecchi e nuovi.
-In Russia come si passa la notte di Natale,Ilia?-
-Bè…posso dirvi come la passavamo a casa,Alphonsine…Intanto la cena era ricca,ma solo rispetto agli altri giorni…poi,in attesa della messa,ognuno di noi si esibiva in canzoni,poesie,balli,intervallati da brindisi…spesso si finiva per cantare tutti insieme fino a quando la campana non cominciava a chiamare i fedeli..Tutto il paesino si ritrovava davanti all’altare,poi e il pope –che fino a poco prima aveva cantato e bevuto con gli altri- tornava al suo ruolo di ministro di Dio…sollevandoci dalle gioie del corpo ai misteri gioiosi dello spirito…-
Alphonsine si scambiò sguardi eloquenti con la madre e il fratello:Ilia raccontava con passione,coinvolgendoli col calore del ricordo del suo vissuto.
-Ma…a proposito:noi non andiamo a messa?- chiese il giovanotto,rivolgendosi alla ballerina e a Philippe.
I due fratelli si guardarono in faccia:non sapevano cosa fare,cosa rispondere…
-Mi pare di sentire una campana..- chiese ancora Ilia.
-Si…è la chiesa cattedrale…è proprio in centro…-
-Bene:andiamo!...Venite anche voi,madame?-
Ilia sembrava non dar peso al disorientamento dei presenti.Anzi:prese l’iniziativa di chiamare il maggiordomo perché procurasse al più presto il soprabito a Philippe ed Alphonsine.Madame Segnier aveva declinato gentilmente l’invito:
-Se torna mio marito…non trova nessuno ad attenderlo.Andate voi,però…- era visibilmente lieta di quella iniziativa.Monsieur Segnier aveva quasi segregato suo figlio Philippe nella villa,per una sorta di ingiustificata remora a mostrarne in giro la debole costituzione.Ma così gli aveva anche tarpato le ali,mortificato ogni spinta a sollevarsi da quella condizione segnata dalla malattia.
Il giovanotto era eccitato dalla proposta di Ilia.Finalmente pronti, i tre uscirono nel viale.
-La carrozza sarà subito pronta…-
-Che carrozza? La notte è piena di stelle e noi siamo giovani e forti:andremo a piedi…il vento del mare ci spazzerà via i cattivi pensieri:vero,Philippe?- si impose Ilia che,collocatosi alle spalle del fratello minore di Alphonsine iniziò a spingere la sua sedia,intonando l’’Adeste fideles’.Lo seguì subito la giovane donna;e finalmente anche Philippe unì la sua voce al coro.
Era passata l’una quando i tre varcarono di nuovo il cancello della villa.Il repertorio dei loro canti ora era molto più profano:Alphonsine aveva tirato fuori una vecchia canzonetta da chanteuse,alla quale Ilia e Philippe facevano un coro malizioso,procedendo tra risate e sussulti lungo il viale appena rischiarato dalla luce della notte.
-Non ho mai passato un Natale così…- confessò Alphonsine.
-Nemmeno io…- le fece eco Philippe.
-Se è per questo neanche io…ma che canzoni mi fate cantare,Alphonsine?Mi inducete nel peccato,nella notte santa?-
Risero ancora,con una spensieratezza che li assomigliava a dei bambini cresciuti.A un tratto,però,la ballerina si accorse che il fratello rabbrividiva.
-Hai freddo Philippe?- gli chiese,apprensiva.
Il giovanotto non rispose.Seguendo il suo sguardo,la sorella individuò nell’oscurità,ritta sul portico di casa la sagoma nera di Arthur Segnier che sembrava attenderli minacciosa.
Ilia si scambiò un’occhiata con la ragazza,a cui le canzoni erano morte nella gola.Poi,con aria di sfida,si parò davanti al suo ospite ed esclamò:
-Buon Natale,papà Segnier!-
L’uomo lo guardò con ira a stento repressa,poi si rivolse ai figli,rimproverandoli:
-Da dove rientrate,dunque…in queste condizioni vergognose?da una locanda di angiporto?-
-No,papà…dalla messa di Natale..-rispose Philippe,conciliante.
-Tu rientra subito:Joseph ti aspetta nel salone,per portarti in camera…-
Philippe abbassò la testa,remissivo e rientrò.
-Aspettate,Philippe…posso accompagnarvi io?- gli chiese Ilia.
-No…non ha importanza…anzi,non mi seguite…- rispose quello,con una strana malagrazia.
Ilia guardò interrogativamente Alphonsine,il cui sguardo era tornato torvo e accigliato.
-Mio padre lo sottopone a questa mortificazione da anni…- sussurrò. –Sarebbe bastato concedergli una stanza al piano di sotto…ma no,le stanze da letto sono sopra…e lui lo fa portare in braccio su,da Joseph…-
-Scusate,Alphonsine…ma Philippe può camminare?-
-Si…è debole,ma non invalido…Ma mio padre lo umilia con quelle scale,per sottolineargli la sua dipendenza…-
Ilia annuì,con tristezza.Alphonsine lo guardò negli occhi,con una espressione grata.
-Grazie Ilia!-
-Di cosa?- chiese lui,stupito.
-Del regalo di Natale…E’ il più bello che potevate farmi!-
-Non vi ho fatto nessun regalo…Non ancora almeno…-
-Non fingete di non capire…Stasera mi avete regalato delle ore di serenità come non provavo da anni…-
Ilia assentì,sorridendo modesto.
-Ed io…cosa posso fare per voi?ho l’impressione che coviate una segreta malinconia?Vi sentite solo?...Non è che sentirete la mancanza di monsieur Maschera d’Argento?-
Ilia sorrise,senza rispondere. Poi le mise una mano nei capelli e la attirò a sé,abbracciandola.Lei avvertì in quell’abbraccio un bisogno di calore,di affetto.Un bisogno di comprensione.Allora,ricambiando la stretta,sollevò la sua mano e carezzò la sua folta capigliatura,con tenerezza familiare.
-Sono stata desiderata,Ilia… con passione…Ma non credevo di poter essere voluta bene,semplicemente...o di poter semplicemente volere bene…-
-Da quando avete smesso di fare la prima donna,siete una cara ragazza,Alphonsine…-
-Allora,Ilia…non durerà a lungo:io non smetterò mai di aspirare ad essere una primadonna…E’ più forte di me:un’ambizione che mi divora,una forza che mi spinge sempre avanti…Io non ho rinunciato ad essere l’etoile dell’Opera,sappiatelo!...io non rinuncio Mai!è una promessa che ho fatto a me stessa…-
L’uomo si sciolse dall’abbraccio,la osservò,ascoltando l’inatteso rimprovero che la fanciulla gli mosse:
-Voi invece siete triste,perché avete rinunciato a qualcosa a cui tenevate…a qualcuno,vero?Avete fatto male… Quella persona dovrebbe almeno conoscere i vostri sentimenti…-
Il giovane abbassò la testa,riflettè,poi rispose:
-Non cambierebbe nulla…Lei ama un altro:le creerei solo un inutile turbamento…-
-Volete tenervi tutto dentro?fingere indifferenza?...è questa la soluzione?-
Ilia si staccò da lei,con un gesto di fierezza e chiusura.
-Non sapete neppure di cosa state parlando,Alphonsine…Basta così.Credo sia meglio ritirarsi,ora…-
Anche la giovane donna tornò sulle sue.
-Come volete…Joseph vi accompagnerà in camera,buona notte monsieur Ilia Semonov!-



Avevano passeggiato con lenta indolenza lungo le vie della città,poi Sindial aveva sentito Aurora tremare un po’ dal freddo di un vento che si era sollevato improvvisamente gelido lungo i viali e aveva creduto opportuno rientrare a teatro.Per la strada avevano incrociato una schiera di adolescenti in divisa;forse collegiali chiamate a cantare presso qualche coro natalizio.
-Fermiamoci un attimo…altrimenti spezziamo la fila…Sono ragazzine in divisa scura,educande…-le disse,stringendola teneramente e sfiorandole i capelli con un bacio.
Aurora ebbe una folgorazione:divisa…divisa grigia! Ecco cosa l’aveva colpita qualche notte prima:come faceva Sindial a conoscere il colore della sua divisa? Aveva tirato a indovinare?...sembrava così sicuro…No:lui quella divisa l’aveva vista,la conosceva…
La giovane era turbata. Avrebbe desiderato capire,conoscere…ma lui sembrava così ostinatamente chiuso e riservato…Però anche quel gesto di tenerezza,come se avesse sottolineato un ricordo preciso,la induceva a credere che era in quella direzione che avrebbe dovuto indagare.
Indagare? Rabbrividì,pensando a Psiche…Indagare significava rischiare di conoscere un segreto che forse avrebbe sconvolto i loro rapporti…Gli si strinse istintivamente addosso:lei non avrebbe potuto più vivere,senza il suo amore.
-Siamo quasi arrivati,amor mio…- la rassicurò intanto lui,credendo tremasse per il freddo.Aurora gli sorrise:come rinunciare alla sua dolcezza?e alla passione?alla stretta sicura delle sue grandi mani?al fuoco dei suoi baci?...
Salirono le scale ed entrarono nell’appartamento di lui.
-Sai? Blanche mi ha regalato un abito…Vuoi vederlo?-
-Perché no?...Probabilmente lo avranno lasciato nella tua stanza,sul letto…-
Così l’accompagnò.La introdusse nella stanza e attese sulla soglia.
Aurora cercò il vestito,ma sul letto trovò una piccola cesta di vimini,dalla quale emergeva impercettibile il trillo di un campanellino.Sollevò il coperchio e da un timido miagolio,intuì che Sindial le aveva regalato un gattino,quel micino che lei aveva atteso invano un Natale di tanti anni prima.
Lo cercò con le mani:era piccolo e morbido.Accostò la guancia al suo musetto e lo sentì miagolare ancora.
Esclamò di gioia,stringendolo a sé:
-Sindial!...che pensiero che hai avuto…- gli disse allungando una mano verso di lui,che sapeva fermo in attesa.
-Ti terrà compagnia,quando io non ci sarò…Ma devi dargli un nome…-
-Posso dargli quello che avevo pensato per lui da bambina?-
Lui la guardava compiaciuto.Le mise le mani sulle spalle,le baciò delicatamente la fronte e disse:
-Hai bisogno di chiedermelo?...-
-Allora…lo chiamerò Leporello…- e iniziò a fargli mille moine vezzose.
Lui sogghignò,piano.Poi soggiunse:
-Credo che… Leporello abbia qualcosa da darti…-
-Cosa?- chiese lei,incredula.Poi tastando il collarino del micetto si accorse che oltre al campanello portava una piccola chiave. –Che cos’è?...- era eccitata come una bambina;a Sindial brillavano gli occhi,guardandola mentre cercava nella cesta e tirava fuori una custodia di cuoio e velluto rosso.Le sue mani sfiorarono l’astuccio delicatamente,ansiose.Allora lui la aiutò a infilare la piccola chiave nella toppa,lasciando che fosse lei a far scattare la serratura ed aprire:era una parure di zaffiri e oro bianco filigranato,completa di due orecchini a goccia di un azzurro purissimo.Ed Aurora la vide…vide risplendere per un attimo le pietre davanti a sé,sullo sfondo scuro del raso.Fu una doppia emozione,che le tolse il fiato:
-Oh…è bellissima…-e subito si volse a lui,ma il buio era già tornato nei suoi occhi.Erik si accorse di quanto era successo e la strinse con calore a sé.
-…Tu sei bellissima…- quindi la baciò. –Ora vieni…vuoi indossarla? …-
Aurora sfiorò le pietre,con un sorriso leggermente enigmatico,ma scosse il capo.
-La indosserò per te…ma per un’occasione speciale…- quindi richiuse l’astuccio e lo depose sul letto.
Lui la osservò,interrogativamente,senza capire bene a cosa alludesse.Ma ingoiò la momentanea delusione.
-Torniamo da te?- gli chiese,porgendogli la mano.Lui scosse il capo,incantato dalla grazia dei suoi gesti.Le baciò la mano e la affiancò,guidandola verso la sua stanza.
Leporello li seguì col suo tintinnio.

 
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