A Voice in the Darkness

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jiujiu
view post Posted on 21/5/2008, 23:39




A voice in the darkness


Finito.
Era tutto finito.
Come doveva sentirsi adesso?
Ansimava per la corsa fatta e ancora correva, senza più aria nei polmoni mentre si lasciava alle spalle quello che per anni era stato il suo mondo, la sua casa, il suo regno.
Eccolo ora: un re senza più corona, un fuggitivo nell'oscurità.
Inseguito ancora da una folla inferocita: ma cosa importava?
L'aveva lasciata andare, era rimasto solo...solo davvero...solo per sempre.
Cosa l'aveva spinta a lasciarla andare?
Lei aveva deciso di restare, dopotutto...il suo corpo sarebbe stato suo, come l'anima già gli apparteneva dal momento in cui la sua voce aveva penetrato la sua mente, invaso i suoi pensieri, nutrito i suoi desideri...
Christine era sua, totalmente...ogni cosa di lei gli apparteneva.
La sua voce, il suo corpo, il suo spirito, la sua assoluta obbedienza e rispetto.

Eppure l'amore...

L'amore...

Poteva nascere dalla morte?

Scosse il capo, totalmente avvolto dalla cappa nera e dal mantello, correva alla ricerca di un riparo, un nascondiglio dove fermarsi per ricominciare a respirare.
Troppo aveva tardato, sentendo quegli ignominosi individui invadere e distruggere la sua casa e la sua vita, l'organo abbattuto...
Ogni canna era costata tanto sacrificio, lavoro e passione e paragonare la sua fine alla morte di un cigno ferito ed indifeso, massacrato dalle fiere disoneste, era poca cosa.
In lontananza sentiva ancora le fiamme bruciare la sua dimora, le urla del suo ultimo pubblico contorcersi e fuggire, unite al clamore dei suoi inseguitori.
Non l'avrebbero trovato.
Meglio darsi la morte che farsi schernire dai loro occhi pure nell'ultimo afflato di vita.
Salì lungo una gradinata che lo condusse ad una grande struttura architettonica, qualcosa che ricordava di aver già visto, in un altro luogo e in un altro, lontanissimo tempo.
Trovò un portone aperto e vi entrò, pronto ad uccidere chiunque si fosse messo sul suo cammino, quella notte.

Quella sera il fantasma dell'opera era morto.

****

Ne era certo.
Qualcuno aveva gridato.
Corse come un forsennato verso la tenda situata ai margini del fiume, laggiù dove il suo re dimorava con la propria sposa, lo spazio precluso a lui e ai suoi simili, ragazzo alla stregua di uno schiavo, un tempo bambino maledetto e orgoglioso, salvato dalla luce di una stella senza speranze, guidato da una voce ed istruito da un angelo.
E ora qualcuno aveva gridato in lontananza, lo aveva udito bene anche in mezzo al clamore della festa, una delle tante, tra gli uomini e le donne che si univano spontaneamente, senza inibizioni, senza trasporto alcuno se non l'istinto animale in quel campo che in un giorno o due sarebbe stato smantellato e li avrebbe visti di nuovo in viaggio verso chissà quale regione, non importava.
Si affrettò, graffiandosi contro i rami degli alberi e gli arbusti più solidi ed ostinati che intralciavano la sua corsa frapponendosi tra lui e la metà stabilità.
Vide infine la tenue luce, la fiaccola esterna del re che lo convinse di essere arrivato.
Con uno scatto piegò le ginocchia in un balzo, raggiungendo l'entrata del rifugio.
Era ampia, quella tenda...più delle altre...non poteva essere altrimenti, visto che il capo, il re, il padrone dimorava laggiù.
Rimase accovacciato, estraendo due piccoli pugnali affilati dalla cinta dei pantaloni e dalla manica destra dello straccio malmesso che indossava.
Con una delle lame scostò furtivamente un lembo di stoffa, temendo la reazione del sovrano degli zingari se lo avesse scoperto lì alla sua " porta".
Sgranò gli occhi, atterito.
Il re non lo avrebbe scoperto.
Il re era morto.
Immerso in una pozza di sangue scuro, intravedeva appena grazie alla fioca luce che traspariva dalla pesante stoffa il corpo grasso, flaccido ed immobile del suo signore, completamente nudo e sgraziato nella morte così come lo era stato in vita; era stato trafitto alla gola, pensò in principio...trafitto in profondità, impedendogli di urlare più di una volta.
Si avvicinò di soppiatto, muovendo e voltando il corpo: la ferita alla gola era solo la conclusione...
Era stato colpito in pieno petto, un colpo inferto alla cassa toracica da una lama che poi era scesa, infliggendo il danno più grave, la ferita mortale, divaricando la pelle del busto in un orribile squarcio.
Il ragazzo ringraziò Dio: lo ringraziò di non riuscire a vedere nell'oscurità più di quanto fosse concesso ad un ragazzo qualsiasi.
Ma subito il corse dei suoi pensieri si rivolse ad altro...
Alla voce femminile.

Dov'era lei?
Dov'era la sua regina?

Prima che potesse muoversi, percepì una lama fredda e sottile premere sulla giugulare senza tagliare, minacciare senza eseguire.
- Percepisci l'odore del sangue?-
sussurrò una voce, frase mista a respiro, ad affanno controllato e freddo.
- Rivelatemi la vostra identità o quel maiale non sarà l'unica vittima, stanotte-
Il ragazzo in tutto sè stesso ebbe un tremito di paura.
Era la prima volta che si sentiva così impotente.
Più volte si era trovato minacciato da una lama, e ancora più numerose le volte in cui aveva trafitto lui stesso, anche uccidendo, se necessario.
Ma sapeva che contro quella voce non avrebbe osato alzare i suoi pugnali, e la gola secca, incapace di parlare, gli fece temere la fine a breve.
Lasciò scivolare le armi ai suoi piedi, facendo ben attenzione che cadessero rumorosamente nell'oscurità.
- M-mia signora. Sono il vostro servo..Pierre-
La pressione della lama sulla gola diminuì cautamente quando la donna riconobbe la voce del ragazzo, di quel ragazzo.
-...Pierre...-
Lo abbracciò alle spalle, rassicurandolo come aveva sempre fatto ed egli percepì chiaramente la nudità della sua padrona contro la schiena, cosa che lo fece imbarazzare nel buio.
Imbarazzo che lasciò presto posto all'orrore quando sentì un umidore caldo sulle sue vesti, e prontamente si voltò, incontrando il fiato corto della donna nella invalicabile penombra.
Era giovane come lui, la medesima età, forse: fisicamente entrambi non avevano compiuto venti anni, ma tutti e due erano già adulti, nel loro mondo...già anziani.
Il loro rapporto non era mai stato amore, un sentimento ritenuto superficiale in quel contesto...il loro era un legame indissolubile, nato dal sangue della loro prima vittima, il loro primo padrone, uno dei tanti.

- Voi siete ferita!-

Premette con la mano all'altezza del petto di lei, poco sopra il seno destro una ferita aperta e sanguinante la stava indebolendo lentamente.
- Io sono ferita...ma lui è morto, Pierre. Un bilancio positivo...dopotutto - concluse lei, prendendogli la stessa mano e portandosela sul viso in modo che lui percepisse la ferità sul volto, in corrispondenza della tempia sinistra, che le aveva inondato il viso di sangue rosso e scuro, impedendogli anche solo di intravedere i lineamenti del suo volto.
- Si, mia signora! Basile è morto! E' finita!-esclamò lui, alzandosi e prendendo la donna tra le sue braccia magre, non riuscendo però a sollevarla per l'agitazione e dovendosi accontentare di sostenerla mentre la portava fuori dalla tenda e la stendeva a terra per vedere la situazione alla luce della fiaccola.
- No- sibilò lei, trattenendo la mano del giovane Pierre che con la propria veste tamponava la ferita aperta al torace e analizzava quella all'altezza della fronte, nascosta in parte dall'attaccatura dei capelli ormai bagnati dal sangue nero che ancora, debolmente scorreva.

- Non è finita. E' solo l'inizio...-

****

....Morto....

Sogghignò a quel pensiero, portandosi una mano al volto per trattenere la risata malata che sarebbe nata dalle profondità delle sue viscere.

Un fantasma poteva morire?
Impossibile.

Ebbene, l'uomo o quel che era rimasto di umano in lui era morto, sciolto insieme a quelle vane lacrime versate poche ore prima...scivolate sul volto e scomparse nel vento gelido, persecutore, di quella sera.
Ora gli serviva solo un rifugio per quella notte, poi sarebbe scomparso anche lui...lontano, si...sarebbe andato lontano, dove la sua fama era solo una leggenda e il suo volto era solo uno scherzo maligno che avrebbe potuto nascondere con una nuova maschera che si sarebbe fabbricato.
Sapeva già come agire, ancora poggiato contro il portone, l'udito teso a cogliere qualsiasi movimento sospetto.
Nulla...per ora.
Chiuse il portone, attento ad ogni sua azione.
Sollevò gli occhi quando fu al riparo in quella enorme struttura e barcollò, devastato ed irrimediabilmente atterrito dalla crudele ironia della situazione, e rimase quindi immobile, portandosi una mano al volto, alla sagoma deturpata che odiava quanto sè stesso.
Una chiesa.

- Così è questa, la casa di "Dio"- disse con aria di sfida, avanzando di lunghi passi uno dopo l'altro.
- Ti tratti bene...i tuoi servi ti sono fedeli- inarcò il sopracciglio, giungendo fino all'altare, fece un profondo inchino di scherno.
- Il figlio di colui che scagliasti giù dal paradiso ti porge i suoi omaggi...-
Sputò sul lucido marmo del pavimento benedetto, distogliendo lo sguardo quando vi vide riflessa la sua stessa figura.
Avrebbe approfittato dell'ospitalità di quel luogo, laggiù, ai piedi dell'altare avrebbe disprezzato quella divinità dimenticata, quel Dio vendicatore ed ingiusto.
- Avrei potuto costruire una cattedrale più maestosa e grandemente più elegante di questa...e l'avrei fatto in nome Tuo, se tu non mi avessi disprezzato al punto di scagliarmi all'inferno prima che potessi apprenderne il significato!-
sibilò, percorrendo con passi felpati la lunghezza della navata centrale, soffermandosi dinanzi ad un grande candelabro, posto a sua volta innanzi ad una imponente ed dolorosa ricostruzione del crocefisso.
La osservò a lungo, una mano celava ancora il proprio volto nella desolazione di quell'ambiente muto, mentre l'altra era tesa a quell'altro volto, immobile nel riposo eterno, a quelle mani perforate da brutali chiodi, a quelle ferite aperte nel costato ligneo.
- Se pure al tuo figlio prediletto hai riservato questa fine...- sussurrò, ritraendo il braccio teso, mordendosi l'interno della bocca, - quali speranze avrei dovuto nutrire io, che lo sono del tuo peggiore nemico...? Mi hai privato dell'amore di mia madre, della compassione del mondo, e stanotte mi hai sottratto Christine, la mia dolce, malinconica ed unica Christine...non sei ancora soddisfatto?-
I suoi occhi chiari, due braci nella penombra, parevano ardere di odio, intima rabbia che non aveva mai trovato sfogo simile in anni di semivita.
- RISPONDI!-
gridò infine, l'eco della sua voce risuonare in tutta l'arcata, riflessa dalle pareti alte ed imponenti, da ogni singola colonna listata di viola per la pasqua cristiana che si celebrava in quei giorni.
Non gli importava se i suoi aguzzini lo avessero trovato in quel preciso momento: se quel Dio ingiusto gli avesse dato una risposta, una qualunque, anche una maledizione...sarebbe morto senza alcuna remora; egli stesso avrebbe spalancato i cancelli dell'inferno dell'oscuro regno, soddisfatto di entrarvi come colui che dopo secoli, millenni di silenzio...aveva udito infine la voce di Dio.
Invece l'eco della propria splendida e funesta voce si spense nel vuoto, senza turbare oltrela pace apparente di quel tempio del dolore universale.

- Se mi senti e taci...sei più crudele del demonio stesso...e gli uomini che ti sono fedeli, vivono nella sofferenza e muoiono nell'illusione...-

Si allontanò dalla statua del Cristo in croce, dandogli le spalle, la testa alta, gli occhi fissi nella fioca luce di candele che brillava tenue dall'altra parte della arcata.
Era quasi giunto al centro, nuovamente a pochi passi dall'altare quando dei colpi improvvisi al portone laterale da lui stesso varcato meno di un'ora prima lo misero in allarme.
Corse furtivamente dietro la colonna portante ai piedi dell'altare, accanto ad una splendida raffigurazione della vergine Maria che cullava tra le braccia dolenti il corpo del figlio amato e perito per la salvezza dell'umana stirpe.
Rimase dunque in attento ascolto, traendo da una tasca interna del mantello che lo copriva un laccio, liscio e resistente, con cui si sarebbe sbarazzato di chiunque fosse entrato inseguendo l'ombra del fantasma.

***

Una figura scomposta si faceva largo tra i giochi d'ombre che le vetrate e la luna si divertivano a proiettare al suolo, ed ansimava come se avesse due polmoni e due bocche, quattro piedi e due teste.
Muovendo di poco il collo, trattenendo il respiro, il primo rifugiato potè così assistere alla scissione di quella creatura in due individui distinti man mano che la distanza tra di lui e i nuovi arrivati diminuiva, entrambi erano avvolti in una pesante cappa nera, la prima sostenere la seconda, bisbigliando parole di speranza, senza riceverne alcuna risposta, solo un sospiro indifferente.

- Aiuto!- urlò uno dei due, scivolando a terra sfinito e trascinando con sè l'altro.
Egli non si mosse, restando al riparo nel buio ed osservando l'individuo parlante, un ragazzo, rialzarsi e sollevare con tutte le sue forze il compagno e biascicare fino ai piedi dell'altare; lì cadde nuovamente, piangendo la propria debolezza in quella situazione.
Scostò la cappa dal volto del giovane ferito, liberando così le vie respiratorie e accertandosi delle sue attuali condizioni della salute.
Inginocchiato sul corpo immobile, il giovane tremò d'orrore per un attimo, levigando con le mani sporche di sangue e terra il volto schiarito dalla luce sfacettata e caleidoscopica che si insinuava dall'alto delle vetrate timidamente corteggiate dalla luce dell'astro delle notte e delle stelle sue figlie.
Doveva alzarsi, si diceva, si supplicava, senza però riuscire a comandare i propri muscoli e vincere la paura della morte che li aveva seguiti fin lì e ora reclamava la sua vittima.
Strinse i denti, chiudendo con forza gli occhi per un istante: non doveva lasciarsi vincere dalla disperazione: erano arrivati fin lì insieme e se ne sarebbero andati insieme, entrambi in piedi, entrambi in vita.

- Vado a cercare aiuto! Torno subito-

esclamò velocemente il ragazzo con le lacrime agli occhi, alzandosi e correndo verso la sagrestia, gridando ancora nella speranza che qualcuno lo udisse prima di ritrovarsi troppo distante.

Nell'ombra, il fantasma attese che le urla del giovane fossero lontane prima di sporgere impercettibilmente di più il capo verso il pavimento dell'altare, sui primi gradini, dove la carcassa giaceva inerte, non un respiro udibile...
Analizzò quella immagine immersa nella luce pallida della luna, quel fagotto nero e lungo disteso come l'agnello sacrificale all'altare di un Dio sopito ed assente alla propria tavola.
Il suo volto era ancora nascosto, in parte, dalla stoffa scura che già copriva il resto del suo corpo, ma credette di essere nel giusto ritenendo che chiunque fosse quel giovane, non aveva che l'età del compagno, e che fosse ferito in maniera molto grave, forse già morto.
Lo giudicò fortunato: morire e non soffrire oltre, immerso nella luce divina tra le mura della casa del suo dio...
Non avrebbe conosciuto altra cattiveria se non quella già inflittagli, e se davvero esisteva un altro mondo, era laggiù che sarebbe andata quella pecorella, confortata dal suo pastore dopo essere stata sbranata dai lupi.
Una fine accettabile, dopotutto...
Un fiato interruppe il suo meditare.
Il giovane era ancora vivo.

- Chi...siete?- respirò la creatura esanime con voce arsa e appesantita dal torpore e dalla sete, non un cenno ma solo il lieve dischiudersi delle labbra, bagnate, così come tutto il viso, del suo stesso sangue.
Ma il suo presunto interlocutore non rispose, trattenendo il respiro, cosa in cui aveva imparato ad eccellere per non essere mai scoperto.

- Chi siete voi...che avvolto nella notte...non sospirate e non tremate...contemplando...la fine...?-

Allargò gli occhi, leggermente sorpreso, ma ancora non si mosse, nè le sue labbra proferirono parola o sussurro: quella persona fiatava appena, eppure la sua voce risuonava forte nella sua mente, simile ad eco.

- In questo silenzio...odo il rapido pulsare...del vostro cuore...quindi non appartiene ad uno spirito... la presenza che percepisco a pochi passi...da questa mia testa riversa al suolo...- balbettò questa frase tossendo, muovendo di poco il collo per respirare meglio, le spalle irrigidite.

- R-rispondete...-

L'uomo chinò la testa, analizzando ancora il profilo minuto, e ammettendo di essere stato scoperto ma di non dover temere nulla, mosse un passo, uscendo allo scoperto ma rimandendo comunque nell'anfratto più oscuro, di fianco alla colonna tornita.
- Sono ben lontano dall'essere uno spirito...-
- Oh...- sussultò di raccolta sorpresa l'interlocutore steso a terra, - la vostra voce...la vostra voce è come non ne ho mai udite prima...se credessi in un dio misericordioso...vi scambierei per un angelo...-
ed egli strinse i denti a quell'affermazione, ricacciando nel profondo del proprio petto il dolore che quelle parole sulla bocca di un moribondo gli provocavano.

- L'angelo della morte...-

parlò ancora, prima che un rigurgito di vomito misto a sangue sconvolgesse per qualche istante quel relitto umano, che cadde dal largo gradino su cui era stato deposto, riverso al suolo come morto, ma vivo e senza un singhiozzo, un accenno di pianto a turbare il corpo, che nuovamente prese a sanguinare, via via inumidendo e superando la sottile barriera della benda precedentemente utilizzata e del manto che indossava per coprirsi.

- Voi dunque non credete in Dio?- domandò amaramente lui, accigliandosi nel vedere una persona morire a quel modo.


Aveva sempre preferito strangolare le sue vittime, i suoi carnefici, e vederle morire guardandole negli occhi, assorbendo la loro paura e godendo del loro dolore, assaporando e inebriandosi di quel potere che la natura gli aveva dato, derubandolo in cambio di ciò che più desiderava e sapeva non avrebbe mai avuto.
Uno scambio iniquo, crudele, che lui non aveva voluto ma aveva subito, reagendo alla violenza con la violenza, all'odio con un odio ancora maggiore.

E ora quello scricciolo disteso all'altare dei perdenti, attendeva la fine senza piangere, discorrendo nei suoi ultimi istanti di vita con un'ombra nella notte, con un diavolo respinto dalla luce di Dio e dalle speranze del giorno.
Lui stesso avrebbe fatto quella fine se non fosse fuggito più di una volta dalla crudeltà del mondo.
Ma non si ritenne fortunato: quante sofferenze si sarebbe risparmiato se il suo istinto non l'avesse tenuto in vita in maniera quasi sadica, come un animale continuamente braccato e fuggiasco come un topo codardo?
Quanto male avrebbe e si sarebbe evitato se fosse morto in un tempo lontano, nella gabbia che aveva chiamato casa, senza riserve, per tre anni, colpito da una bastonata o da un calcio in più, colpi inferti con più violenza?

Invece fuggire era sempre stata la scelta giusta, quella ovvia, quella necessaria...

Fuggire dall'esistenza di una madre che come unico dono gli aveva mostrato il riflesso di uno specchio e lo aveva subito relegato dietro ad una maschera, la prima, per nascondere la mostruosità di un volto per metà non sano dietro un paramento che lo aveva solo esposto ancora più alla curiosità morbosa dei loro vicini, del villaggio bigotto e cattolico in cui era nato.

Fuggire dalle mire di un padrone vizioso e approfittatore, violento e malvagio, ma che era più umano del mostro che aveva catturato solo ed indifeso un giorno di settembre, durante l'itinerario che aveva condotto la carovana degli zingari al limite dell'estremo Nord, respirando in lontananza l'olezzo disgustoso delle taverne di porto in corrispondenza della sottile linea di oceano che era la Manica.

Era stato forse umano, costui, quando lo aveva smacherato innanzi a tutti gli zingari e lo aveva presentato come sua nuova attrazione?
O quando lo picchiava per indurlo a mangiare e non lasciarsi morire così d'inedia?
O quando lo picchiava per costringerlo a smascherarsi e mostrarsi come nudo di fronte a quella folla di estranei disgustosi, così tipicamente borghesi nel vestire quanto poveri, villani e aridi nell'atteggiamento, nelle risa sguaiate e nelle grida di orrore che essi stessi erano venuti cercando, comprando con una moneta di bronzo l'eccitazione di un momento e la dignità di una creatura per gli anni a seguire?
O quando lo picchiava per il semplice e snaturato gusto di farlo e nient'altro?

Nuovamente, anche quella notte era scappato, sconfitto e rifiutato, abbandonando in una lacrima scesa dal volto addolorato dell'unica donna mai amata tutte le sue speranze e le sue illusioni.
Perchè di illusioni si era trattato...
Vane speranze, quelle che si era creato in tutti quegli anni...
Lo aveva sempre sospettato, forse anche saputo..ma aveva zittito quella voce insistente che gli gridava i suoi errori, convincedosi che quella bellezza non poteva essere sbagliata, non poteva fargli del male...
Quanto aveva sbagliato, si rimproverava adesso.
Non esisteva l'amore...quello che aveva provato per la sua Christine era solo un' illusione, riflesso incantevole allo specchio di un cuore incrinato che si era spezzato colpito dalla dura realtà e le cui scheggie si erano sciolte in pianto negli occhi, sospiri nei polmoni, singhiozzi nelle viscere.
Che cruda illusione, così vicina al vero da entrarvi e violentare l'animo, sezionare la mente alla ricerca del suo punto più fragile e lì agire, distruggere senza compassione apparente...

E quale duro scherzo del destino scoprire di essere il solo artefice della propria disfatta...

Avrebbe dovuto rassegnarsi da anni all'idea di essere solo un animale...e gli animali non avevano Dio.

Non hanno Amore.
Solo desideri realizzabili ed una vita breve e senza scopo, in cui il potere e la forza sono sufficienti ed indispensabili.
Non c'era altro.
Nessun Dio.
L'amore di Dio era solo una bugia.
L'amore...era solo una bugia.

Ed ora l'amore e le sue seduzioni lo avevano abbandonato.
Era solo.

Completamente solo: neanche la musica, l'unica compagna in tanti anni di solitudine, avrebbe allietato il risveglio dai suoi incubi, i suoi giorni sempre uguali immerso nelle tenebre di un rifugio distrutto.

Quella notte, la musica l'aveva lasciato orfano disperato dell'unica madre amorevole che tanto aveva amato e venerato in anni di oscura esistenza.
Sarebbe più riuscito a suonare qualcosa che non fosse simile ad un pianto disperato, o ad un grido di totale odio e disprezzo?
L'ispirazione che il riflesso d'amore gli aveva donato gli avrebbe nuovamente fatto visita?

Non dubitava.

Quella notte, nelle profondità della sua dimora...gli angeli avevano pianto...e la musica era morta.
Ora regnava solo il silenzio dentro lui, attorno a lui, spezzato solamente dagli ansiti di un moribondo ai piedi dell'altare.

-------------

- Oh si...- rispose alla sua domanda, sforzandosi di rimettersi nuovamente in posizione supina dopo che la caduta aveva costretto il suo volto a contatto diretto col marmo,
- Anzi...sicuramente Egli esiste e mi sta osservando, sperando che io muoia adesso-

Fece un altro passo e riuscì a cogliere meglio il profilo di parte del suo volto: erano lineamenti dolci per un uomo, morbidi e delicati, seppur tinti di rosso e di nero sangue.
- Perchè mai il tuo Dio vorrebbe vederti morto?- domandò con simulata indifferenza, celatamente interessato.
Si sorprese quando si accorse che il lento ansimare del ferito si era trasformato in una risata fredda e roca, appena udibile, gli occhi per la prima volta socchiudersi, nonostante egli non avvertisse altro che il fugace muoversi delle palpebre.

- Perchè la mia anima appartiene al Diavolo...e brucia già tra le fiamme dell' Inferno...lontana dall' illusione degli angeli e del paradiso-

***
 
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view post Posted on 22/5/2008, 08:06
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Grazie Jiu....finalmente ti prometto che la leggerò...

 
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jiujiu
view post Posted on 22/5/2008, 15:10




grazie a te, mia somma :occhilucidi:

*****

La voce era divenuta più acuta nel proferire quelle ultime parole, ed avvicinandosi abbastanza comprese che si trattava di una donna, una giovane donna, la cui voce era arsa e soffocata dal sangue e dall'ombra della morte che si stagliava innanzi a lei inghiottendo quei delicati barlumi di luce che la notte donava agli esseri umani anche nelle ore più profonde di essa.

Compì ancora qualche passo, desideroso di vederla in viso.
Contemplare quel volto e trarne soddisfazione, sì, riscatto: perchè lei giaceva sconfitta e lui in qualche modo era vivo e poteva trionfare ancora.

Trionfare...

La mano corse alla propria deformità, che quasi graffiò, dolorosamente, stringendo gli occhi opachi e spenti dal recente sconforto, la fronte corrugata, come appensantita dalla pena.
Avrebbe potuto trionfare mai, lui?
Conosceva la risposta, eppure proseguiva nella propria menzogna, nel proprio elevarsi all'illusione, all'inganno supremo.

Nessun trionfo, solo patimenti e sofferenze.
E nessuno aveva sofferto come lui.
Certamente non quel bozzolo di farfalla sanguinolenta, quella larva immobile che vomitando sangue affermava di essere dannata.

Quei giovani che per una sconfitta meditavano il suicidio...cosa ne sapevano loro di cosa significasse rialzarsi dopo essere stato battuto, dopo essere stato visto e deriso, dopo aver ucciso e compreso di essere condannato alla dannazione?
Come concepivano la sconfitta totale?
Solo un baratro in cui si gettavano senza vederne il fondo...mentre lui era nato laggiù, nelle profondità più recondite di quel pozzo di nera pece, lui che distruggendosi le mani e i piedi, sfiancato nell'animo e nel corpo, aveva visto uomini precipitare affianco a lui tra grida e gemiti mentre coi denti stessi egli si aggrappava agli aspri spuntoni di sale e roccia, risalendo per poi precipitare sempre più in fondo, sempre più in basso, fin nel cuore dell'inferno.

Quella donna non sapeva di cosa stesse parlando, ne era certo.

- Ma sappiate...che anche senza anima...il mio corpo non morirà...- ribattè lei, tossendo un poco,
- Non stanotte...non fino a quando non avrò mantenuto la mia promessa...- reclinò il capo, respirando sommessamente, le forze abbandonarla.

- La vostra promessa...- ripetè lui distaccato, uscendo del tutto dal suo nascondiglio e ritrovandosi a pochi metri da lei, gli occhi bassi sulla desolazione di quel corpo e sulla macchia di sangue che si allargava momento dopo momento,
- Quale voto può sanare le vostre ferite?- domandò, avvicinandosi inesorabilmente attratto da quell'anima affine eppure lontana.
Quale voto può ridarvi quelle forze che strisciano evaporando da voi come fumo nella nebbia gelida...?

- Un voto di...sangue-

sussurrò lei dopo una lunga pausa, durante la quale il suo interlocutore dubito della sua esistenza in vita.

Tacque, riflettendo sulla crudeltà del destino che aveva condotto due anime dannate in un luogo come quello, in un momento come quello...
Ma prima che potesse parlarle, senza ancora sapere cosa le avrebbe detto, udirono entrambi delle voci in lontananza, echi indistinti e flebili.

- Il vostro amico sta ritornando...forse avete ragione e non morirete stanotte - e si voltò, deciso a nascondersi per poi allontanarsi una volta portata la donna altrove, probabilmente in un luogo più adatto alle sue cure.

- E...voi?-
- Non ha importanza...-
- Avete...bisogno di...aiuto... -
- Nessuno può aiutarmi-
- Allora siamo...uguali...-
Lei raccolse con tutte le sue forze, tentando di sollevare il capo, senza riuscirvi.

- A-avvicinatevi- ansimò infine, l'odore dell'incenso la stordiva e la teveva lucida al tempo stesso, e con uno sforzo supremo tese il braccio destro verso l'alto.
Lui si bloccò, atterrito dalla prospettiva di mostrare il proprio volto, nonostante sapesse di essere appena visibile in quella fioca oscurità.
Se lei avesse visto, cosa avrebbe pensato, come avrebbe reagito all'orrore della visione?
Si sarebbe scagliata con supremo terrore e ritrovando le forze per alzarsi e morire a pochi passi da lui; avrebbe gridato il suo disprezzo per il figlio del diavolo e avrebbe cancellato con un gesto quei brevi momenti in cui l'ombra del fantasma aveva aveva avuto la sensazione di parlare senza essere odiato, senza venire schernito, senza provocare timore e terrore...
Per qualche breve attimo, seppur nascosto, seppur nel buio del mondo e lontano dalla luce, egli aveva parlato e aveva udito come un uomo, solo un uomo e come tale era stato trattato da quella donna, che non doveva vederlo, non doveva conoscere la sua anima tradita dal suo sguardo.

- Non credo sia quello che desiderate davvero, mademoiselle...-
- Se è così...allora...per me... rimarrete sempre solo... una voce nell'oscurità...-
Il fantasma chinò il capo, socchiudendo i propri bellissimi occhi verdi e in quel momento lucenti e ricchi di riflessi come le gocce di rugiada sulle foglie abbracciate dal sole freddo di un mattino d'inverno.

Una voce nell'oscurità...

- Lo sono stato per molto tempo, mademoiselle. Probabilmente lo sarò ancora...forse per sempre...-

La testa di lei ricadde nuovamente al suolo, il braccio perdere totalmente sensibilità, e comprese che non sarebbe riuscita a muoversi definitivamente.

****

- Dolce...bellissima voce...posso chiedervi di rivelarmi...almeno il vostro...nome?- sussurrò dopo qualche istante, non un battito di ciglio o altro, solo il lento ed unisono battere dei loro cuori e il fluire rapido del pensiero smarrito tra le venature del marmo lucido che rifletteva la loro immobilità.

Erik...

Nella sua mente il proprio nome risuonò mille volte, e mille volte aveva pensato di dirlo, e altrettante quelle poche lettere si erano soffermate sul palato, spingendosi sulle labbra e poi venire inghiottite da un rigurgito di amarezza.

Non voleva che sulle labbra di quella creatura, il proprio nome fosse legato all'ultimo afflato di vita calda e calorosa.
Quel nome l'avrebbe maledetta: presentandosi ai cancelli del paradiso quel fagotto sarebbe stato rifiutato se preceduta da tale passaporto, e nell'inferno, dove chiunque era ben accetto, quella minuta figura avrebbe gridato quell'appellativo gelando le lande imfiammate, regno del padre traditore.

- Il mio nome non è più importante della mio volto, mademoiselle...ma se li rivelassi a voi...entrambi perderemmo noi stessi-

La ragazza sospirò, rassegnata eppure comprensiva.
Ella stessa custodiva dei segreti...e se non era necessario il contrario, aveva sempre permesso agli altri di mantenere i loro.
Che fosse, dunque...che rimanesse presenza evanescente, quel simulacro di carne e sangue che avvolto dalle tenebre la teneva sveglia, evitandole di precipitare nel sonno che le spalancava innanzi i cancelli dell'oscuro regno.

***
 
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jiujiu
view post Posted on 23/5/2008, 12:46





***

- Voi mi siete...amico, monsieur...e se il destino...vi avesse posto sulla mia strada prima...forse entrambi non saremmo qui...-

Egli fece un passo, catturando il lieve movimento delle sue labbra tumefatte e riflettendo sulle sue parole.
Forse aveva ragione: forse, nel mondo tutto, quella moribonda sola avrebbe potuto capirlo così come l'aveva ascoltato.

No, esclamò a sè stesso, ringhiando.

Nuovamente si traeva in inganno con le proprie mani: Christine non l'aveva forse ascoltato?
Non aveva colto le sfaccettature del suo essere ed elevato la sua musica all'empireo del suo animo dilaniato solo per poi scaraventarlo giù, più in basso del baratro che già lo aveva ospitato durante la sua vita?

Addio, falsi idoli caduti ed infranti...quelle erano solo le parole di una vittima del mondo prossima alla fine, che cercava conforto in una voce qualunque, in un relitto umano qualsiasi.

Ma allora perchè quelle parole e quella voce così debole...erano balsamo sulle ferite aperte, quiete e rimpianto nel cuore ancora spezzato?
Perchè non poteva smettere di sperare che lei si salvasse, in qualche modo?
Non rispose alle sue constatazioni, nè ai ragionamenti che avevano riempito la sua coscienza, alimentate dai respiri via via più radi di quella ragazza, fragili germogli di vita destinati a spegnersi presto, inghiottiti dal'oblio.

- ...Sono contenta...di avervi conosciuto, cara voce...- sussultò lei, tossendo nuovamente, - ...pregate solamente...di non incontrarmi...mai più...sul vostro cammino..- e non disse più nulla.

E lui le fu ad un passo, osservando il volto ferito, l'odore pungente e disgustoso del sangue rappreso sul mantello e sulla pelle mischiarsi all'aroma degli incensi e degli oli sacri spersi nell'aria.
Sarebbe stata graziosa, forse...i suoi lineamenti era inghiottiti dall'orrore e dalla violenza, e non erano riconoscibili.
Era attratto dalla perfezione dei suoi tratti nonostante la gravità dei danni infertali, ed inginocchiandosi, allungò la mano fino a poter sfiorare con un dito il contorno della ferita che sulla tempia aveva smesso di sanguinare.
Fu in quel momento che accadde l'imprevisto: la ragazza inalò un profondo respiro, quasi fosse l'ultimo, e socchiuse gli occhi, contrastando l'appiccicume del fluido rappreso sulla pelle con la flebile forza di un animale ferito ed inerte.
Ed egli rimase fermo, intrappolato nella rete delle sue pupille dilatate e dal chiarore innaturale delle sue iridi azzurre.

Quegli occhi erano fissi, fermi su di lui, e riflettevano la morte che dall'alto la fissava, chiamandola a sè.

Eppure lei non gridò, nè si mosse in un ultimo disperato tentativo di sfuggire alla deformità che le si era piazzata davanti, a pochi centimetri dal viso.
Rimase immobile, priva di sensi, ed egli ebbe il tempo di portare la propria mano al volto ed allontanarsi repentinamente, quasi scacciato via come una volpe sorpresa dal pastore in mezzo al suo gregge.

Fece appena in tempo: le voci udite minuti prima si erano fatte sempre più vicine, spingendolo a nascondersi dietro la colonna che gli aveva dato iniziale riparo.
Vide il ragazzo che aveva trasportato la sua compagna correre ed inginocchiarsi a lei, scuotendola e richiamandola, rivolgendosi a lei con un appellativo insolito per una ragazza così giovane.

- Mia signora! Svegliatevi, vi prego!Vi prego! -

Dopo pochi secondi, giunserò un uomo abbastanza anziano e robusto, il pigiama bianco e stropicciato, seguito da due donne, una più giovane, sulla trentina e l'altra più adulta, forse una parente o una insegnate di quest'ultima, entrambe in vestaglia e cuffia nera, che inorridirono senza avanzare oltre nel vedere la scia di sangue che dal portone d'ingresso proseguiva fino all'altare.
La più giovane gridò d'orrore, portandosi le mani alla bocca subito dopo.
Il vecchio, probabilmente il sacerdote di quella chiesa, si chinò sulla ragazza che aveva chiuso nuovamente gli occhi e ora era silenziosa nella sua immobilità.
Premette una mano sul collo, e poggiò l'orecchio sul suo cuore, sollevando repentinamente la testa e chiamando alla calma le due signore.

- E' ancora viva! Aiutatemi a trasportarla!-

ma le due non si mossero, tremando nell'incontrare il volto del loro sacerdote per metà macchiato di rosso.
- Madame Ledoux!Yvette!- si spazientì dunque, mentre il giovane ormai piangeva calde lacrime, tentando di sollevarla da solo e fallendo.

Non era ferito, Pierre...solo stanco...molto stanco.

- Si, Padre Remus!- esclamò la più giovane, e corsero al suo fianco, sollevando la donna inerme, che sembrava non percepire più nulla.
Erano in tre a sostenerla, e da dietro la colonna Erik, questo il nome del Fantasma dell'opera prima che diventasse tale e dopo la sua morte, riflettè che se avesse voluto, lui sarebbe riuscito a sollevarla da solo, con un rapido scatto dei suoi muscoli agili, abituati a ben altro sforzo, a più sfiancanti fatiche.

Padre Remus osservò la ragazza una volta in piedi, tremolante sulle proprie gambe, il volto reclinato ed impassibile nella sofferenza.
Era svenuta, ma bisognava svegliarla, perchè il sonno era l'anticamera della morte se feriti in quel modo, e se non si fosse più svegliata, almeno le avrebbe concesso l'ultimo sacramento.

- Come si chiama, ragazzo?-
- Cosa?!-
- Il suo nome, figliolo, dimmi il suo nome!-
- Perchè?!-
Pierre rimase turbato, incapace in un primo momento di rispodere altro.

Non poteva rispondere a quella domanda, concluse inorridito, in quanto non conosceva, ignorava quale fosse il nome di quella creatura dannata, della sua regina senza corona e mai aveva osato chiederlo, terrorizzato all'idea di poterla offendere in qualche maniera, lei che gli aveva sempre detto quanto bastasse sapere e nient'altro.
Aveva sempre usato l'appellativo "signora" per rivolgersi a lei...

- N-non conosco il nome della mia signora- ansimò con rinnovato dolore, osservando la donna aprire e richiudere gli occhi, l'inerzia appensatire il suo corpo.
Avrebbe dovuto inventarne uno, si rese subito conto...magari il nome della madre tanto disprezzata, Clarisse, o quello della sorella amata e perduta anni addietro, Estelle, ma il suo primo impulso aveva vinto, condannandolo a dire la verità, la più incredibile di tutte.

- Non mentite! E' necessario che io sappia il suo nome, se Iddio vorrà condurla nel Suo regno questa notte -
Il sacerdote lo aveva ascoltato, spazientendosi nell'udire quella risposta, aggrottando le sopraciglia cespugliose e piegando le labbra nascoste dalla barba, ora in parte insanguinata, in una piega contrita.
Come poteva non saperlo?
Sicuramente mentiva per proteggerla, ignorando che non c'era più alcun pericolo laggiù, e che era necessario agire, non perdere tempo, e almeno darle l'estrema unzione se Dio non gli avesse permesso di curare le sue ferite per tempo.

Non doveva proteggerla da nulla, in quel momento, ed esplose infervorandosi più di quanto concedesse a sè stesso in situazioni simili, ma incontrando lo sguardo di quel giovane e le sue lacrime...comprese che non mentiva, che non nascondeva ciò che non aveva mai saputo davvero.
Osservò il volto della ragazza, dalle labbra dischiuse qualche goccia di sangue ancora scivolava rappresa e pesante, e si domandò quale fosse il suo nome, il suo passato, e quale sarebbe stato il suo futuro se fosse sopravvissuta: se pure chi l'amava a tal punto da salvarla e condurla nella casa di Dio non conosceva nulla di lei, chi mai allora?
Che segreti custodiva quella creatura avvolta nel sangue e nel silenzio della notte?
Povera ragazza, si disse, la casa del Signore l'avrebbe accolta tra le sue mura, avrebbe accolto entrambi, si promise il sacerdote osservando la pena negli occhi del giovane mentre si muoveva per sollevarla e condurla in altre stanze più appartate con l'aiuto delle due donne che ancora tremavano, preparandosi mentalmente al peggio, al momento in cui l'avrebbero spogliata e avrebbero affrontato le sue ferite, in cui avrebbero combattuto per trattenere la sua anima nel corpo.

- Vi prego...non lasciatela morire, vi prego...-

supplicò il giovane che adesso reggeva la sua signora per la vita magra, mentre le due donne si erano divise i lati opposti delle spalle e la stavano trasportando in una camera situata giusto dietro l'altare, un sito atto a custodire vecchie lenzuola smesse e i paramenti per i giorni di festa.
Dovettero comunque riattraversare il corridoio da cui erano giunti, cosa che li costrinse ad abbandonare la grande navata centrale dove i due zingari si erano inizialmente fermati, e il più in salute aveva lasciato la ferita per chiedere aiuto.
Erik seguì tutta la scena con lo sguardo, in totale silenzio aveva appreso il mistero che avvolgeva come le tenebre la sua interlocutrice, e provò uno strano sentimento stringerlo allo stomaco, privarlo per un attimo di ogni sicurezza.

Ecco come in mezzo all'intera stirpe degli uomini, l'unica creatura che avrebbe potuto comprenderlo ed ascoltarlo senza giudicarlo era condannata a spegnersi nella notte della disfatta totale, del dolore supremo.

...Voi mi siete amico, monsieur...

...amico...


Una parola inutilizzata e vuota, disprezzata dal suo scibile, ora risuonava così maliconica.
Alzò gli occhi alle vetrate variopinte che brillavano di un' unica luce, quella notte in cui la luna sorrideva, quasi malvagia e sprezzante, e trattenne un sospiro, che inghiottì del tutto quando udì per la seconda volta qualcuno colpire il pesante portone ed entrare senza attendere risposta.
Si nascose furtivamente dietro la colonna prescelta, lanciando uno sguardo bieco ai nuovi arrivati armati di torce, che avanzavano prima intimiditi dal silenzio e poi via via più sicuri ad ogni lastra di marmo che superavano coi loro piedi impuri.


Con un balzo felino e necessario raggiunse la nicchia che in sè accoglieva la scultura della pietà cristiana , il lutto supremo, quello della vergine madre per il figlio dell'uomo, raccogliendo i lembi del mantello e rimanendo in attento ascolto, spiando attentamente quegli uomini entrare, gridando ora senza alcun rispetto e chiamando il prete che corse trafilato, incontrandoli prima di quanto si aspettassero, le mani sporche, il volto ed il pigiama bianco completamente imbrattati di sangue vivo.

- Siamo qui per il fantasma, padre!-
- Figlioli, di cosa state parlando?-

Gli uomini, una cappella di una trentina di persone, superarono l'uomo, proseguendo senza alcuna remora verso l'interno della sagrestia, penetrando attraverso la porta lasciata aperta da Padre Remus, che si era affrettato alla navata, sconcertato dall' improvviso caos che aveva udito, provocato dagli inseguitori del presunto " Fantasma".
Quegli stessi inseguitori scansarono le due donne che si erano quasi gettate sul ferito che giaceva inerte e dovettero abbassare gli occhi, colmi di sorpresa quando videro distesa tra le coperte ingiallite una donna, giovane e coperta di sangue, accanto a lei un ragazzo della medesima età, spaventato dai tizzoni e dalle grida, temute per ben altro motivo.

Pierre si era precipitato sulla padrona percependo quelle urla distanti, e quando aveva visto le fiaccole, si era gettato con le spalle a difesa della sua signora, i loro volti vicini, e si era stupito quando aveva percepito un sussurro della sua signora alla presenza di quella massa furiosa e successivamente sorpresa.
- Sai...cosa fare, Pierre...penserò io...al resto...non avere...paura-
e in uno stesso respiro, mosse a malapena le labbra guardando tutti quegli uomini negli occhi, e aveva risposto alla sua signora:
- Non ne avrò, mia signora...-

Il sacerdote, che li aveva seguiti il più velocemente possibile, aveva aperto in due grandi ali la folla inferocita e si era piazzato innanzi a loro, le braccia larghe per coprire la nudità della sua nuova protetta, sulle labbra pronto un anatema a chiunque non avesse ascoltato le sue parole.

- Questa è la casa di Dio, villani! Fuori da qui!-

e li sospinse via da quella stanza, lasciando le donne e cauterizzare le ferite ed il giovane ad alzarsi prontamente e seguire il prete, osservando gli uomini che avevano fatto irruzione uno ad uno.
Ma non raggiunse la navata come il prete e gli altri popolani, preferendo assistere alla conversazione al riparo, dietro alla porta lignea che conduceva alla sagrestia e agli appartamenti privati del sacerdote.
Da quella posizione privilegiata sarebbe stato più facile udire senza essere udito, vedere senza essere visto, raccogliere informazioni e memorizzare quei volti colpevoli.


***

- Cos'è questo scandalo, figlioli?! Perchè, armati di torce e bastoni, profanate il tempio della pace?-
- Chi era quella donna, padre?- domandò uno dei tanti, nelle file posteriori, mentre altri già uscivano, agguerriti più di prima a trovare l'uomo, l'assassino e consegnarlo alla giustizia.
Alla loro giustizia.

- Una vittima della violenza, figli miei. Ma voi, abbiate la volontà di spiegarmi, per favore-

- Stanotte un uomo è stato ucciso all'Opera Populaire, padre!-
sputò uno dei più feroci inseguitori con disprezzo, asciugandosi la bocca bavosa con la manica, gli occhi brucianti d'ira.
- E prima di lui, la vittima è stata mio fratello!-
Padre Remus si fece il segno della croce nel sentire la parola omicidio, ma ancora più nell'incontrare quello sguardo, quei volti carichi di odio, di furia.

- E' stato il fantasma dell'opera, padre!-
- E quegli stupidi impresari l'hanno sempre sottovalutato!Non credevano neppure alla sua esistenza, quei ricchi bagordi!-
- Un mostro orribile-
- Il diavolo in persona!-
- Ha rapito la Diva, trascinandola nella sua tana, quel figlio di cagna!-
- E quando siamo arrivati noi, è scappato come un verme! Nei buchi scavati sotto terra!-

Erik ascoltò ogni parola, ogni ringhio, ogni insulto, stringendo i denti ed osservando con la coda dell'occhio, mentre il sacerdote li osservava, facendosi il segno della croce ad ogni frase, ad ogni descrizione cruda e irreale che gli davano di sè.

Mostro!
Diavolo!
Assassino!

Voi!
Voi tutti, maledetti!


Voi mi avete reso quello che sono!
Non siete migliori di me, nei vostri occhi la mia stessa furia rifulge chiara ed imbattibile, gridavano i suoi occhi, che avrebbero potuto ardere tutti quei demoni dalle sembianze umane se avesse davvero posseduto quei poteri di cui lo accusavano proprietario.

Eppure se io uccido voi, sono un assassino...
Se voi uccidete me...siete eroi!
Quale contorto meccanismo ci distingue in questo modo?
Chi ha scritto questa legge, dove e perchè?
Perchè?!

Trattato alla stregua di un animale, come tale si era comportato, uccidendo chi minacciava il suo segreto, la sua vita stessa.

Trattenne il respiro, pensando che se solo fosse stato più forte, avrebbe potuto uccidere quel damerino, quel conte tanto odiato, che ogni cosa gli aveva sottratto solo con la sua presenza.
Perchè la bellezza esteriore doveva attrarre tanto?
Perchè la vera bellezza restava invece celata agli occhi degli uomini?
Oppure era solo lui a presumere?
Lui il solo a credere che la vera bellezza non dimorasse in un corpo, in un volto, in una voce, ma nell'animo, nei sentimenti che era capace di provare un cuore ed uno spirito guidati dalla poesia, dalla musica e dall'amore?

Ma anche così...il suo animo non era ormai nero, sporco e carico di peccati tali da far gridare il diavolo per la gioia e il trionfo della propria dottrina?

E se quegli uomini fossero sempre stati nel giusto?
Se lui fosse davvero niente altro che un mostro, un demone, un assassino senza anima?
Che egli avesse torto e loro...ragione?

Strinse gli occhi, sollevato nel udire il sacerdote interrompere quelle discussioni e le sue riflessioni e confermare che no, il fantasma dell'opera non era nascosto nella casa del Signore, e che i due ragazzi erano solo due poveri orfani vittime della malignità del diavolo.

- Probabilmente quella ragazza è stata ridotta così dal fantasma!-
esclamò Simon Buquet con gli occhi scuri fiammeggiare di ira, e subito aizzò il gruppo rimasto alle sue spalle alzando la torcia all'altezza del petto villoso, visibile dallo strappo alla camicia ottenuto mentre scendeva e raggiungeva i livelli più profondi del sotteraneo dell'opera, alla caccia del demone che li abitava.
- Dobbiamo trovarlo!- gridò un altro, un tizio magro, pelle e ossa, sdentato, così fiero nel parlare quanto disgustoso nell'aspetto trasandato e nella caducità della voce ubriaca di vino.

- Se quel mostro dovesse venire qui, padre-
- Sarete i primi a saperlo, siatene certi- concluse il prete per il tecnico del teatro, sconvolto e folle d'ira.
La morte del fratello, per quanto disprezzato in quanto ubriacone e invadente lo aveva segnato intimamente, aveva passato i mesi successivi a meditare vendetta, e ora che l'occasione si era presentata...non se la sarebbe lasciata scivolare così dalle dita: l'avrebbe cercato tutta la notte, se necessario.

Gli uomini lasciarono quindi la chiesa, ma ancora le loro voci si rincorrevano furiose sul sagrato e sulla strada, ed il sacerdote raggiunse il portone, affacciandosi verso l'esterno e vedendoli scomparire lentamente.
Quella furia negli stessi fedeli che ogni domenica venivano a celebrare il corpo di Cristo era così fuori luogo, così estranea eppure naturale, ovvia, insita nella natura dell'essere umano più della bontà stessa predicata dall'altare con preghiere incomprensibili recitate in un idioma antico e deceduto.
Scosse il capo, sollevando gli occhi al cielo stellato di diamanti in cui la luna sembrava scomparsa talmente in alto, dietro il campanile, che non la cercò, affidandosi a quelle lucciole brillanti intrappolate della ragnatela del cielo.

- Chi è davvero il mostro, Mio Signore? Questi tuoi figli così assetati del sangue del loro nemico...sono dunque più innocenti di colui che commette il delitto e fugge nella notte?- domandò in un sussurrò, rientrando e chiudendo il portone dietro di sè, incamminandosi lentamente attraverso la navata laterale della chiesa, la testa china sotto lo sguardo delle sculture sante che posavano i loro occhi misericordiosi su di lui e sull'ambiente circostante.
 
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jiujiu
view post Posted on 24/5/2008, 17:31




****

Il giovane che prima spiava quegli uomini si era ritirato al fianco della sua signora o chiunque essa fosse, ed entrando nella stanza in cui era ricoverata, madame Ledoux gli lanciò uno sguardo incerto, diverse stoffe un tempo bianche erano adesso tinte di porpora e cadevano al suolo, lanciate via lontano e sostituite da nuove e più pulite.
- Ho fatto come volevate, mia signora...- sussurrò alla ragazza, ma si accorse dopo qualche momento, che essa aveva perso nuovamente i sensi e sospirò, chiudendo gli occhi.
- Come ti chiami, ragazzo..?-
Il giovane recuperò presto l'attenzione e rivolse uno sguardo distratto all'anziana donna che lo scrutava interrogativa.

- Pierre...-
- Pierre...e?-
- Solamente Pierre, madame-

La donna annuì silenziosa, strizzando in un catino un panno ormai rosso, e pulendo dal sangue rimasto la sutura della ferita al petto che avrebbe bendato subito dopo, per quindi dedicarsi a quella alla testa e alle altre, più leggere sparse sul resto del corpo indebolito della paziente.

- E' un bel nome per un giovane come te...-

Il ragazzo le sorrise appena senza muovere le labbra, gli occhi scuri erano opachi alla luce della piccola lanterna a petrolio che illuminava distintamente ogni squarcio più o meno profondo sulla carne della ragazza venerata, e la anziana signora si ritrovò a fissarlo per un attimo: era sicuramente più grande, più adulto fisicamente della sua compagna, ma in ogni suo atteggiamento non era amore quello che traspariva per la sua amica, ma rispetto, reverenza e forse affetto, ma misto ad un recondito celato timore.
Era un bel giovane, nonostante fosse sporco di terra e sangue; non era ferito, tranne pochi leggeri graffi sul volto, nulla che richiedesse altra medicazione che non una profonda detersione.
I capelli erano lunghi fino alla nuca, neri, così come gli occhi che si erano posati sulla ferita suturata e non si erano mossi, assorti e pietrificati dalla preoccupazione.
In quel profilo elegante nei lineamenti virili eppure ancora immaturi, madame Ledoux riuscì a cogliere solo un accenno della sofferenza reale che quel ragazzo aveva provato e che probabilmente aveva a che fare con la donna che adesso proteggeva.
- Grazie...-
sfiorò il viso della donna inerte con un panno pulito e bagnato, inumidendole le labbra livide, in modo che potesse bere qualche goccia d'acqua e ristorarsi.
- L'amate molto, non è vero?- chiese madame Ledoux, prendendo con le dita il panno rimasto immobile e stretto tra le mani di Pierre, che tremava nel percepire il respiro irregolare e appena accennato dalla sua signora, e si voltò agile e sorpreso nel sentire la propria guancia accarezzata da una mano ruvida ed umida, quella della gentile anziana.
- Si- rispose il ragazzo, ritornando con lo sguardo sulla sua regina.
- E' come una madre per me, madame...-

****

- Padre Remus...- lo accolse Yvette nella stanza poco dopo, sospirando pesantemente senza allontanarsi dal letto della giovane donna, che non reagiva ai continui movimenti che si susseguivano sulla sua pelle ad opera della donna più anziana e più esperta, che aveva ricucito la ferita da taglio con perizia, costringendo il giovane a voltarsi per tutto il tempo e a sedersi solo per aiutarla a bendare la fanciulla.

- Chi erano costoro? Cosa volevano da noi?-
- Nulla, figliola...il male che cercano è lontano da questa dimora. Piuttosto, quali sono le condizioni della nostra...ospite?-

Isabelle Ledoux si alzò dal proprio posto con quieta rassegnazione ma nei profondi occhi grigi la volontà di combattere fino in fondo per salvare la propria assistita, ed avviandosi verso il cassettone chiuso all'estremità opposta della saletta quadrata in cui erano tutti accolti, recuperò nuove bende e asciugamani, la fronte tesa e preoccupata, volta a combattere la morte e la propria repulsione per il sangue fin troppe volte colato fra le sue mani di infermiera.
- Sta morendo, padre...- sentenziò Yvette ai piedi del giaciglio, scuotendo impercettibilmente il capo e continuando ad avvolgere con una benda pulita una escoriazione leggera al piede, straziato per aver percordo un lungo cammino senza calzature, al contrario del compagno, che indossava dei miserevoli sandali da viandante.
- Ha perso molto sangue, e se non morirà per questo...sarà per il dolore...stanotte è successo qualcosa di terribile, questo è certo...-
- Non è stata l'unica vittima, mademoiselle Yvette. Ve lo posso assicurare-
Il sacerdote si portò una mano alla fronte, asciugandosi il sudore e successivamente guardando il ragazzo che impallidiva notevolmente davanti a loro, ascoltatore ignorato dai due e che ora era il centro dell'attenzione dei presenti.

- N-non può morire...- disse Pierre alzandosi dal proprio posto e muovendo un passo verso i piedi del letto, lì dove la donna più giovane aveva distolto lo sguardo, pentita di non aver saputo tacere o almeno essere più delicata, inconveniente di cui era spesso protagonista, ed il prete si era voltato completamente verso di lui, posandogli una mano gentile sulla spalla.
- Ragazzo mio, ci sono cose che-
- Non deve morire!- ripetè più forte, inginocchiandosi scansando la sedia al capezzale della donna, cui la ferita al petto era stata bendata e ora si apprestava a ricevere cure al volto, alla tempia tumefatta.
- Mia signora...svegliatevi...vi porto via da qui...in un posto sicuro, lontano da tutti...- iniziò a piangere silenziosamente, stringendo la mano della ragazza forse appena più giovane del compagno, che si ridestò appena, non una parola, non un cenno, ma una lieve pressione sulla mano ancora sporca di sangue e terra ma improvvisamente più ferma di prima.
- ...non potete morire così...non ora che siamo liberi...-
- Ragazzo...- il sacerdote gli mise una mano sulla spalla, senza ricevere risposta, - prega il Signore per la salvezza della tua giovane amica...-
- E' stato lo stesso Dio a permettere che lei venisse ridotta in queste condizioni...- replicò freddo tra le lacrime Pierre, gli occhi vagavano tra i lineamenti appena più puliti della sua signora, il sangue poco a poco ripulito dal suo viso le restituiva sembianza umana, sembianza di donna.
- Pierre, ascolta...-
Madame Isabelle gli fu accanto, sussurrando qualcosa di impercettibile ad orecchie estranee e poco dopo il giovane parve calmarsi, piegare il capo in un assenso velato, i singhiozzi placarsi e lasciare posto ad un respiro stanco, greve.

- Pater Noster...qui es in caelis...- iniziò a sussurrare il giovane, accarezzando il volto della ragazza con lo sguardo dei suoi occhi scuri, e terminata la preghiera si alzò, raggiunse un angolo della stanza, e lì si sdraiò, addormentandosi tristemente, senza coperte, senza riparo, abituato a ben più perigliosi giacigli.

***

- Cosa gli avete detto, madame?-

domandò quindi il prete recuperando una coperta dopo qualche minuto e coprendovi gentilmente l'ospite, la voce tenue insinuarsi tra le pieghe delle bende che ora ricoprivano quasi per metà il volto della giovane sconosciuta: la fronte, le tempie, parte della guancia e di conseguenza gli occhi totalmente rivestiti di bianco, per rendere stabile la fasciatura che già abbondava sul corpo di lei: su entrambe le mani, sul busto magro, sui piedi, graffiati e sporchi, ovunque, più morta che viva, pronta ad essere seppellita nel suo sarcofago senza nome, eppure ancora dotata del soffio vitale, teso ad animare insistentemente i polmoni oppressi.

- Quello che voleva sentirsi dire, padre...che la sua amica si salverà...se avrà fede-

Yvette non parlò, ricontrollando la stabilità delle ultime fasciature e coprendo con una coperta calda, di panno marrone e ruvido la loro assistita e sbadigliò, rendendosi conto dell'ora tarda, offrendosi di rimanere sveglia per assistere la giovane e invitando il sacerdote e la tutrice a riposare.

- No, Yvette...riposa stanotte. Resterò io qui- disse semplicemente l'anziana donna, congedandola con un bacio sulla guancia ed una carezza.
Sapeva che Yvette non sarebbe stata mai una buona infermiera, così suscettibile al sangue e così sincera da non mascherare le verità dolorose con un atteggiamento pacato, ma era una brava donna, ammise, una che si sarebbe sacrificata per lei e sarebbe davvero rimasta in piedi ad accudire quella piccola anima smarrita.
- Come desidera, madame...-
e si allontanò dalla stanza, stiracchiandosi e sbadigliando sonoramente, credendo di non essere udita.
- Credete che si salverà, madame Ledoux?
- Avete detto voi, di pregare...padre Remus...- la donna chinò il capo, accompagnandolo alla porta e una volta chiusa la stanza, si diresse presso l'antico mobile di legno pregiato contenente coperte e lenzuola, abiti dismessi e quanto altro.

Piegò con cura una camicia, della biancheria da uomo, e dei pantaloni, sospettando che tutto sarebbe stato alquanto largo su quel giovanotto dall'aspetto gracile quanto agile e scattante, ma che comunque Pierre si sarebbe accontentato di cambiarsi e pose gli abiti ai suoi piedi, gettandogli con materna premura un'altra coperta addosso, rimboccandogliele in modo che solo il capo restasse libero.
Si soffermò su di lui, analizzando quel volto giovane in cui una ruga di apprensione scolpiva la piega del labbro sottile, gli occhi chiusi e le lunghe ciglia nere che lo facevano sembrare più piccolo dei possibili diciotto, diciannove anni che la struttura fisica di quel ragazzo tradiva; era davvero un bel giovane, si disse Isabelle, assomigliava molto a Samuel..al suo bambino ormai grande che ormai lavorava a tempo pieno preso il corpo speciale della polizia di Parigi.

Quanto tempo era passato dall'ultima volta che lo aveva visto, si domandò, guardandosi attorno e fuggendo il ricordo di un figlio perennemente in pericolo in quanto agente.
Non doveva pensare a lui, gli aveva promesso e si era promessa più di una volta.
Quante volte aveva spezzato quel giuramento!
Era pur sempre suo figlio, il suo bambino...
Non poteva non preoccuparsi, sapendolo alla caccia di un pericoloso ricercato, o inviato per l'Europa a fare ricerche su criminali di qualunque sorta e classe.
Chiuse gli occhi, avvicinandosi al giaciglio della sua assistita ed osservandola.
Respirava appena, ma sembrava tranquilla in quell'oblio che il torpore le aveva instillato.
Se fosse vissuta fino al mattino, solo allora avrebbe iniziato a pregare sul serio: perchè in quel silenzio dei sensi il dolore non era percepibile, e la morte sarebbe l'ultimo naturale sollievo, ma se si fosse risvegliata...
Avrebbe gridato e pianto tutte le sue lacrime per ogni ferita aperta sul suo corpo e curata dalla anziana donna con grande esperienza.
In quelle condizioni sarebbe stato meglio per la ragazza morire, smettere di soffrire a quel modo, meditò per un attimo, ricacciando quel pensiero improvviso con un rigurgito di orrore: da quando era diventata così fatalista, lei, Isabelle Ledoux, madre del commissario Samuel Ledoux in forza alla polizia di Parigi da ben quindici anni, che aveva assistito malati in condizioni grademente peggiori?

Si sedette e trasse da una tasca interna della propria vestaglia il rosario in legno che custodiva gelosamente dal giorno in cui era diventata vedova e madre sola di un ufficiale troppo impegnato nel lavoro per peroccuparsi di un genitore dal carattere forte come lei.
Prese tra le dita i grani rotondi e perfettamente lisci e cominciò a pregare nella penombra della lampada a petrolio quasi consumata e della sola candela accesa accanto al letto.

Che si riprenda, per carità divina...
- Ave Maria, Gratia plena... -

Che non muoia, lasciando questo ragazzo solo al mondo...
- Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus..-

Che viva, Mio Signore...
- Amen-


***

Padre Remus non rimase a lungo dinanzi alla porta della stanza adibita a ricovero improvvisato, ma con la mente ben lucida e lontano dall'abbraccio del sonno, si diresse presso la grande navata, camminando lentamente ed inginocchiandosi ai piedi dell'altare, in meditazione.
Solo la preghiera poteva salvare quella ragazza dalla morte, la preghiera e la speranza risposta in un Dio sempre più relegato alle strutture ecclesiastiche, abbandonato dal suo popolo, dai suoi figli.
- Voluntas Dei fiat...hodie et semper...-
- Non pregate a quest'ora della notte, prete...il vostro Dio dorme...-
Padre Remus si voltò di scatto nell'udire una voce melodiosa e al tempo stesso raggelante varcare i confini della sua mente ed interrompere il flusso del suo pensiero.
- Chi siete? Che maleficio è mai questo?-
- Maleficio...- sussurrò l'ombra scura che incedeva a passo lento, immobile fino ad un attimo prima ai piedi della Pietà cristiana.
- Mai termine fu più adatto a definire ciò che sono...-
Il sacerdote arretrò di un passo, ma non tento la fuga, impietrito ed affascinato al tempo stesso dalla melodiosa tristezza della voce di quell'individuo, di quel sogno dotato della parola che si faceva via via più vicino.
Era un uomo, comprese, molto alto ed avvolto in una pesante cappa nera, un mantello ampio e tessuto con cura, sgualcito da chissà quale disavventura; nulla era visibile in lui, tranne, una volta a pochi metri da lui, i suoi occhi, i suoi profondisimi, bellissimi e maledetti occhi, iridi chiare e trasparenti, nonostante l'animo fosse avvelenato dal dolore.

- Chi siete voi?- ripetè dunque padre Remus, portandosi un braccio in posizione di difesa, vicino al cuore, gli occhi ben aperti tentavano di catturare da quella sagoma ora immobile qualcosa di più di un vano profilo, un simulacro nelle tenebre.
- ...Sapete bene chi sono...sono venuti a cercarmi meno di un'ora prima, armati della forza del loro risentimento...-

Il fantasma dell'opera: gli fu talmente chiara la sua identità, rivelatasi come un lampo netto che attraversò la coscienza, che non espresse, nei tratti del suo volto, la minima sorpresa nè un cenno di brivido od ansia.

Era un uomo.

- Avete ucciso davvero, monsieur?- domandò il prete, rilassandosi appena nel accorgersi che l'incedere dell'ombra si era interrotto.

Se avesse voluto ucciderlo, ci sarebbe riuscito perfettamente, riflettè il prete riprendendo coraggio dalla consapevolezza di non poter sfuggire, segnato com'era dall'età, ad un uomo giovane, a maggior ragione se costui era davvero un demonio come gli era stato descritto.
Mentalmente garantì l'anima al suo dio e poi fece un passo avanti, ripetendo la domanda.

- Lo avete fatto?-
- Si-
- Perchè?-
- Loro avrebbero fatto lo stesso se non avessi agito prima io...-

Erik inarcò in una smorfia amara il labbro, socchiudendo gli occhi e alzandoli al cielo e subito diretti al uomo in vestaglia color latte.
- Non sono qui per chiedere perdono, se è questo che pensate-
- E allora cosa vi ha spinto qui?-
L'uomo avvolto dal manto scuro fece un passo avanti, gli smeraldi conficcati nelle pupilli scrutavano come fari il sacerdote che si sorprese del sentimento che provò in quel momento: paura, sì...supremo terrore...e grande pietà.

- Volevo sentire la voce di Dio...ma Egli non si degna nemmeno di scagliare le sue maledizioni contro il figlio del diavolo...-
- Forse perchè non lo siete, Monsieur...- ribatte il prete, voltandosi e osservando l'altare , le leggere pieghe delle tende muoversi ed agitarsi al tenue bagliore della luce filtrata dalle vetrate.
- Avete mai udito voi, prete, la voce del vostro dio?- domandò freddamente, i pugni stretti, irritato da quell'atteggiamento non più timoroso nel suo avversario, nella sua vittima.
- Si, monsieur...-
Il prete fece un passo avanti, voltandosi verso il suo interlocutore,
- E' la voce di Dio che mi ispirò il sentimento religioso. E mi ha svegliato questa notte, permettendomi di soccorrere quella povera ragazza che adesso combatte per la vita...- gli lanciò uno sguardo penetrante, forte della sua fede, -...anche adesso, attraverso voi, io sento la voce di Dio parlarmi...e dirmi di aiutarvi...-
- Non ho bisogno di aiuto- rispose secco l'uomo, una nota gelida e minacciosa nella voce.
- Tutti abbiamo bisogno di aiuto...- replicò altrettanto secco il sacerdote, avanzando ancora di un passo, ma voltandogli le spalle e sedendosi in una panca di legno massiccio alla sua destra, una delle tante che in file parallele riempivano la navata centrale dell'edificio.
- Molti uomini fuggono questa semplice realtà...invece io l'ho abbracciata e fatta mia...-
- E siete felice della vostra miserabile esistenza, prete?-
Padre Remus non disse nulla per qualche istante, chinando il capo, per poi risollevarsi e alzare gli occhi al grande affresco raffigurante gli angeli del paradiso volare serafici in un cielo dipinto da uomini mortali.
- Non sono io l'ombra che fugge nella notte...-
Si alzò in piedi repentinamente, costretto da una forza brutale che lo stringeva al collo , strappandogli il respiro.

- Voi non sapete nulla di me...- sibilò l'ombra che lo teneva in pugno, gli occhi fiammeggianti e al tempo stesso colmi di dolore e rabbia, e quello stesso sguardo incontrò gli occhi fermi dell'anziano sacerdote quando in un impeto di furiosa rassegnazione, si liberò della cappa che occultava il proprio volto, rivelando per la seconda volta, quella notte, la forma della sua sofferenza.

- Cosa potete sapere voi, di cosa significa essere disprezzati da tutti a causa di questo volto?-

Cercò nel suo sguardo qualche traccia di paura, di terrore innanzi alla morte negli occhi stanchi di quel vecchio, ma non vide nulla, niente altro che..compassione, e di quella non aveva bisogno.
Non più.

- Cosa potete sapere voi, di cosa significa incutere orrore e pietà nell'unica donna che ho mai amato..?-

La sua stretta divenne infine meno decisa, ed il vecchio sacerdote ricadde a terra con un tonfo ingolfato, quasi per niente rumoroso, ed egli si portò la mano alla gola, tossendo appena.

- Voi non sapete nulla...- e ricompose l'antica immagine, coprendo totalmente il volto ed avviandosi a passo lento verso il portone principale che lo aveva accolto e che a breve lo avrebbe visto partire da sè.
- A-aspettate!- lo richiamò padre Remus, le mani ancora sulla gola, massaggiandola per permettere all'aria di raggiungere i polmoni.

- Non lasciatela morire, prete...-

Il sacerdote rimase interdetto a quelle parole, scutando quel profilo scuro ed impenetrabile avanzare inghiottito dalle tenebre.
- Quella ragazza...la conoscete! Conoscete il suo nome?! Cosa sapete di lei?!-
Il fantasma si voltò lentamente, respirando profondamente e udendo nella mente le ultime parole di quella giovane anima sola.

- ...pregate solamente di non incontrarmi mai più sul vostro cammino...-

Non l'avrebbe incontrata più, ne era certo.
Lei sarebbe morta quella notte, forse...ma se si fosse salvata, avrebbe vissuto il resto della sua vita con la consapevolezza dolceamara che qualcuno simile a lui esisteva e lo considerava amico.

Amico...

- Non la conosco. Per me lei...è solo una voce nell'oscurità -

E uscendo dal recinto ligneo della sacra casa di Dio, il fantasma dell'Opera scomparve nella notte, dissolvendosi nel buio di una città ostile su cui presto si sarebbe abbattuta, oltre ad eventi disastrosi scritti nella storia dell' uomo quali la Commune e le rivolte, anche la sua rivincita implacabile.

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jiujiu
view post Posted on 26/5/2008, 11:47




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Lesse la lettera più di una volta, le unghie quasi strappare il foglio bianco da cui aveva spezzato il sigillo in cera rossa, e adesso fissava quei caratteri porpora con un lieve brivido, misto di preoccupazione e sollievo.

E' vivo, Julienne Giry.
E' vivo, non occorre sapere altro.

La fioca luce dell'alba aleggiava intorno a lei nel piccolo appartamento dimenticato in città, non più considerato casa dal giorno in cui aveva iniziato a lavorare a tempo pieno come maestra di danza all'Opera Populaire.
La polizia le aveva " suggerito" di non restare in teatro, quella notte, affinchè nessuno corresse alcun rischio in un edificio devastato dall'incendio che aveva fatto seguito alla prima e unica rappresentazione del " Don Juan", musica e parole di un autore sconosciuto e geniale, un assassino ispirato dal angelo nell'inferno.
Julienne sospirò, rileggendo il post-scritto, e lanciando uno sguardo mesto alla finestra e poi alla porta innanzi a sè, dietro la quale la sua adorata Meg riposava, dormiva profondamente, scossa come lei dagli avvenimenti in cui si erano ritrovate coinvolte meno di dodici ore prima.

Le aveva disobbedito ed era scesa nei sotterranei, gli stessi che non visitava dal giorno del suo fidanzamento, ma non aveva avuto animo di sgridarla: la sua migliore amica era stata rapita dal Fantasma dell'Opera, era ovvio che avrebbe fatto di tutto per lei, la dolce, fragile Christine.
Nuovamente si guardò attorno: era tutto così vecchio e polveroso attorno a sè, mobili quasi ammuffiti e malmessi disposti senza cura e senza eleganza negli angoli della stanza, come un vecchio magazino abbandonato, ma quella notte non si diede alle pulizie, sistemando solo un giaciglio per la figlia e assicurandola al sonno prima di accomodarsi su una poltrona logora in stoffa marrone, la preferita del marito, il loro primo acquisto insieme.
Aveva vissuto così poco tempo in quella sua "casa", e dopo la morte di Emile Giry quel luogo era diventato così freddo, così distante dall'idea che una giovane ballerina avrebbe dovuto avere di quel termine, che aveva abbandonato quel rifugio tuttavia sicuro per ritornare nella sua "vera" casa, l'Opera Populaire, il suo nido, il suo vero rifugio..la sua amata prigione.

Fece scivolare lenta le due dita sulle brevi parole scritte con mano ferma, lucida, quasi meccanica sul foglio ruvido e insensibile, ed una lacrima allo stesso modo scivolò alla sua guancia, superando la barriera delle ciglia e dell'austerità che troppo a lungo aveva mantenuto intatta, quella sera...no, in quegli anni interi.

Erik...povero Erik...

Quanti anni erano passati da quel giorno, si domandò stringendo gli occhi e portandosi una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie per tenersi sveglia dopo la notte insonne.
Quanti anni dal momento in cui i loro destini si erano incrociati ed irrimediabilmente legati, uniti da un vincolo inspiegabile, non classificabile come amore, nè amicizia, ne affetto...rispetto, probabilmente.
E paura. Certamente.
Forse un tempo Erik l'aveva amata, si, le aveva voluto bene, e anche se non glielo aveva mai rivelato veramente, lei era stata capace di leggere nel suo cuore che era difatto amore puro, non attrazione, quella che lui aveva provato per la sua salvatrice, testimone del suo primo delitto e complice della sua fuga dagli zingari aguzzini.
Eppure quel sentimento si era incrinato quando Julienne si era fidanzata ufficialmente col suo futuro marito, un violinista discreto e un uomo onesto, ma che a sua insaputa aveva allontanato per sempre dal cuore di un giovane uomo la speranza di poter essere mai amato da una donna.
Chi, se non lei che aveva visto l'orrore e ne aveva avuto compassione, pietà e misericordia, avrebbe mai potuto amarlo, o almeno restargli accanto e corrispondere in parte quei sentimenti forti in un ragazzo così giovane, amplificati dalla solitudine e dal disprezzo subito.
Ogni cosa in lui era sempre stata grande: genialità, passione, forza, amore ed odio...tutto.

Non andare mai oltre questo punto, Julienne...non correrai pericoli, e io ti proteggerò se sarà necessario...ma tu non dovrai più scendere oltre questi gradini...


Ricordò quell'ultimo avvertimento, sibilato in una notte invernale e gelida ai piedi della grande scalinata, oscuro sentiero verso il mondo al di sotto delle botole, quando lei, ormai sposata ed in attesa della prima e unica figlia, aveva tentato di raggiungerlo nei sotterranei e parlargli, spiegargli che si era sposata ma non l'avrebbe abbandonato da solo, sarebbe sempre stata la sua Julienne, la sua amica, la sua complice, che il loro legame era oscuro ed ineffabile e per questo più forte di un amore alla luce del sole, quello che appunto nutriva per il gentile Emile.

Sapete che odio ripetermi, madame Giry...

Agghiacciante.
Il suo stesso nome, il suono del proprio nuovo nome l'aveva trafitta come una stalattite precipitata dai più lontani recessi del cielo, e la sua voce non le era mai parsa tanto minacciosa.
Non l'avrebbe più chiamata Julienne...
Madame Giry: tale era il suo nome e così si sarebbe sempre rivolto a lei, anche nelle note che le avrebbe mandato, o che lei avrebbe recuperato " per caso", sparse qua e là per i meandri dell'Opera.
Il loro legame si era spezzato, ma i due capi della corda erano ancora vicini, e tali erano stati loro due, anche dopo la nascita di Meg, e dopo la morte, rapida ed inattesa di Emile Giry.

Quante lacrime aveva versato durante quei mesi, pregando che qualcuno la consolasse, o che la allontanasse da tutto quel dolore, in un modo o nell'altro.
Ed era stata la voce di quell'angelo caduto a confortarla morbidamente, ad asciugare le sue lacrime, a cullare fino al sonno la piccola Meg dopo una notte di pianto rimasto inudito da una madre disperata e sola.

Come era giovane e gentile, Erik...ma tanto era generoso con chi amava e rispettava...tanto era crudele con i suoi nemici.

Come dimenticare gli avvenimenti insoliti, strani e misteriosi che in quegli anni si erano susseguiti tra le mura imponenti del teatro, le sparizioni improvvise e i macabri ritrovamenti.
Di certo madame Giry non era l'unica ad essere a conoscenza dell'esistenza del fantasma dell'opera, epiteto che Erik stesso aveva scelto, quando divenuto adolescente, aveva deciso di non rimanere segregato nel suo piccolo mondo di tenebre, ma aveva voluto conoscere la luce del palcoscenico, il profumo della noce levigata dei violini, l'avorio delicato del pianoforte, ricordi persi di un passato distante, inghiottito da un presente senza speranze e un futuro incerto.

Armand Lefevre, il precedente impresario dell'Opera populaire era come lei a conoscenza della presenza del misterioso inquilino del teatro, non semplice pettegolezzo dietro le quinte, ma aveva fatto la scelta giusta assecondandolo in ogni richiesta, dai ventimila franchi mensili che essa stessa aveva versato con regolarità su un conto privato alla Banca nazionale di Francia, al posto riservato ad suo uso esclusivo nel box numero 5, proprio ad un battito di ciglio dal palco.

Quanto aveva messo da parte, in tutti quegli anni?
Una fortuna, ne era certa; ma anche tutto il denaro del mondo non gli avrebbe potuto garantire l'unica cosa che desiderava, scontata e a volte umiliata dagli altri uomini: l'amore.

Eppure anche Erik aveva aperto il suo cuore ad una piccola speranza: Christine, la piccola fata del Nord, figlia del celebre musicista Gustave Daaè, ucciso dalla tubercolosi proprio alla vigilia del suo concerto all'Opera Populaire.

Madame Giry si era presa cura di lei, accogliendola nel suo mondo come una seconda figlia, lei, appena qualche mese più piccola della sua adorata Marguerite, era un piccolo fagotto dal volto grazioso e dalla voce incantevole, carente solo della tecnica e della motivazione adatta che nessun insegnante di questo mondo avrebbe potuto infondere in lei se non il suo Angelo della Musica.
Ah, come ne parlava! Coi suoi grandi occhi scuri e lucidi, ogni sera dopo gli allenamenti si ritirava nella piccola cappella, lì dove si incontravano gli estinti, si accendevano per loro flebili luci e si innalzavano preghiere silenziose.
Ed ogni sera, solo una era la preghiera della piccola Christine Daaè...

Angelo della Musica...
Mio Angelo...
Mostrati a me...
Non lasciarmi sola nella notte...


E non fu stupore quello che la colse quando una voce attraverso le pareti decorate intonò un dolce canto per rispoderle, ma gratitudine...gratitudine infinita e gioia, immensa felicità, perchè non era un inganno quello che il padre le aveva promesso prima di morire.
Il suo angelo esisteva, e cantava per lei, le insegnava l'arte del musica e le schiudeva un mondo di sogni senza fine.

Julienne aveva visto quella strana relazione crescere senza maturare, compreso che ormai nella vita di Erik il suo ruolo era ormai secondario, ma al tempo stesso viveva la prospettiva del futuro con ansia: Christine era una bambina, aveva la stessa età di Meg, mentre Erik era un uomo, a suo modo immaturo, ma comunque un adulto temprato da sofferenze indicibili.
Come avrebbe potuto funzionare un rapporto del genere, quando ancora l'ingenua Christine credeva che la voce che la accarezzava nel sonno appartenesse al suo Angelo della Musica, essere immateriale nato dalla fantasia superba di papà Daaè, e lui era una vittima del destino divenuta carnefice, pronto a tutto per ottenere ciò che desiderava?
Sapeva che non le avrebbe mai fatto del male...ma un giorno cantare per lei non le sarebbe bastato più, questo era certo.
Come sempre aveva compreso per prima che Erik, il giovane Erik, si era innamorato di Christine Daaè, e che da quel momento la tragedia era iniziata, senza che lei non potesse fare altro che scegliere...
Si, scegliere da quale parte stare.

Erik...

Lui non l'aveva mai tradita, e lei non sarebbe stata da meno, forte del suo carattere fiero e controllato in ogni circostanza.
Erik aveva ucciso, aveva compiuto reati orribili, ma di chi era la colpa?
Era davvero folle, come le aveva assicurato quello sprovvedduto del Visconte de Chagny?
Probabilmente...
E lei lo era altrettanto, perchè la sua lealtà al Fantasma dell'Opera non sarebbe mai venuta meno, neanche dopo gli omicidi e il rapimento di Christine...

Christine non aveva mai corso alcun pericolo con lui: lei stessa glielo aveva rivelato qualche ora prima quella stessa sera, sbucando quasi per magia da una delle botole dietro le quinte dello stage, accompagnata da un Raoul acciaccato ma non ferito.

Aveva sofferto,Christine, moltissimo...a quale crudele scelta l'aveva obbligata Erik...

Quanto dolore si era inflitto con le proprie mani, credendo che una bambina potesse amarlo davvero e condannarsi così ad un mondo di tenebre con un angelo senza ali nè santità quando fuori da quella tomba, ad un passo, l'amore e la luce le spiegavano le braccia e la stringevano già, lontano il cuore da quella tana sotterranea, ormai maceria disfatta.
Solo lacrime e speranze infrante, mute promesse e tristi addii, questo il bagaglio che entrambi si sarebbero portati dietro per il resto della vita, ma Christine si sarebbe presto sposata, avrebbe vissuto una vita felice al fianco dell'uomo per cui provava certamente affetto, forse amore...
Ma Erik?
Un animo dilaniato dal dolore adesso vagava lontano dall'unica casa mai conosciuta, alle spalle solo sofferenze e un futuro tetro, dove difficilmemte la luce del sole, così fredda e distaccata, quasi gelida sulla nuda pelle avrebbe mai potuto accoglierlo e offrirgli conforto.

E ora quella lettera...

- Maman?-

Madame Giry sollevo appena il volto, incontrando lo sguardo assonnato e pensoso di sua figlia, una bellissima ragazza, i cui lunghi capelli biondi e lisci ricadevano spettinati sulle spalle e sulla schiena, mentre si stroppiciava gli occhi, cercando di svegliarsi completamente.
Si avvicinò alla madre e le diede un bacio soffice sulla guancia, osservando l'espressione preoccupata della donna e inginocchiandosi, poggiando il capo sul suo grembo.
- Perchè non riposi un poco, Maman? Sei rimasta sempre qui...-
- Non ho sonno, cara- sussurrò teneramente, accarezzandole con una mano la testa accoccolata, intrecciando una piccola ciocca di seta color grano tra le dita, sorridendo alla figlia che sembrava sul punto di addormentarsi nuovamente tra le sue braccia, come quando era una bambina e non aveva paura di nulla se non delle ombre scure che la notte sarebbero dovute venire a portarla via: era così che Meg e Christine si rintanavano nell'appartamento privato di madame Giry, rannichiandosi insieme a lei nel lettone per tutta la notte.

Quei tempi erano lontani...un giorno sua figlia avrebbe avuto un uomo nel letto, e un marito al suo fianco, e tutti l'avrebbero chiamata madame e avrebbero nutrito rispetto per lei.
Poteva solo godere di quei momenti di innocente adolescenza e quieto tepore prima che la vita facesse il suo corso e le portasse via il suo gioiello più prezioso.
- Più tardi potremo tornare a casa?-
- Questa è casa nostra, Meg-
- Io parlavo del teatro, maman...potremo tornarci?-
Madame Giry sospirò, socchiudendo gli occhi, e levigando la guancia della figlia che ora scrutava quel volto amato e famigliare, in attesa di una risposta.
- Non lo so, bambina...dovremo restare qui finche la polizia non avrà constatato se i nostri appartamenti sono agibili. C'è stato un incendio, Meg cara..anche se forse non te ne sei accorta, visto che eri ben lontana da dove ti avevo detto di rimanere...-
Meg sussultò, raddrizzando la schiena e incontrando l'espressione pacata della madre: credeva l'avrebbe sgridata, dopo esserle sfuggita la sera prima per l'emozione del momento, invece sembrava essere giunta l'ora del supplizio e lei non era pronta.
- Mi dispiace, Maman..non volevo disubbidire, ma-
- Nessun ma, Marguerite Giry. Comprendo il motivo del tuo comportamento, ma sappi che ho temuto tantissimo per la tua incolumità..-
- E di Christine non dici nulla?Lei era più in pericolo di me!- sbottò Meg alzandosi in piedi e rimanendo vicina alla donna ancora seduta ed assorta.
- Sapevo che non avrebbe corso alcun rischio...- concluse Julienne seria, riponendo la lettera che aveva ancora in mano in una delle tasche laterali della veste nera che indossava dalla sera precedente, senza essersi ancora cambiata, tanta era l'agitazione che interiormente la scuoteva e che solo a quel'ora del mattino iniziava a quietarsi in lei.
- Come lo sapevi?-
- Torna a riposare, bambina mia...-
- Ma maman...-
- Credo di essere stata chiara, Meg-
- Si...-
e la fanciulla fece un inchino rapido, incamminandosi mestamente verso la propria stanza e il povero giaciglio a cui avrebbe dato una sistemata in giornata, se il destino e la polizia avessero stabilito l'inagibilità dell'Opera Populaire a tempo indeterminato.
- Aspetta un momento, mia cara...-
Meg non si voltò nemmeno, immobile in attesa di qualche rimprovero o, più fortunatamente, di un saluto, ma non era nulla di tutto questo, solo poche parole che la fecero rabbrividire.

- Ho saputo che ieri notte hai preso dai sotterranei qualcosa che non ti appartiene...-

La giovane smise di respirare, le spalle irrigidite, come una volpe sorpresa dal cacciatore e colpita prima di poter fuggire al duro colpo.

- Sarei lieta se tu potessi consegnarmi questo " qualcosa" adesso...-
- Maman, io...-
- Non voglio assolutamente che egli venga da te a recuperare ciò che gli appartiene...-

sussurrò Julienne con voce greve, sollevandosi dalla poltrona che l'aveva ospitata in quelle ore e appropinquandosi alla figlia, prendendole la mano e costringendola a voltarsi e ad incontrare il proprio sguardo, preoccupato e rassegnato ad un tempo.
Meg annuì, timorosa, e svicolò la presa della madre per ritirarsi in camera sua, salvo poi riuscirne un attimo dopo con un panno rosso tra le mani; lo consegnò con referenza alla donna e attese un cenno da parte sua che per tutta risposta le donò un bacio gentile ed affettuoso sulla fronte, carezzandole la guancia levigata prima di raccomandarle di riposare bene.
- Maman, mi dispiace, io...-
- Non ti preoccupare oltre, bambina mia...ora è una questione fra me...e lui-
Meg chinò il capo, agitata e remissiva: col suo agire aveva messo in pericolo sua madre, come aveva potuto?
- Più tardi andremo a Teatro e poi da Christine. So che alloggia presso Madame Valerius. Sarà felice di vederti...-
- Si, maman...-
e Meg si ritirò nelle sue stanze chiudendo la porta dietro di sè, lasciando madame Giry sola coi propri pensieri.

Nuovamente si sedette, assorta nel contemplare qel panno rosso scuro, e con un gesto lieve e rispettoso scostò entrambi i lembi di tessuto che occultavano alla vista l'oggetto del contendere, il soggetto del poscritto: la maschera.

Levigata e lucida alla vista, Julienne la analizzò per lunghi secondi, tracciandone col dito il contorno esterno, scivolando con il polpastrello tra gli zigomi artificiali, lo sguardo imperscrutabile, quasi straniato.
Dopo lungo, silenzioso meditare, prese la maschera tra le mani, e la sollevò appena, continuando ad analizzarla come un bambino osserva la fiamma, guizzante e danzante innanzi a sè, rendendosi conto solo troppo tardi che il fuoco arde gli sciocchi che osano sfidarlo, eterna sfinge dai muti enigmi.
Lentamente la portò più vicina a sè, al proprio volto e per un istante udì il richiamo di essa farsi intenso, guidare le sue mani, i suoi movimenti, le sue emozioni.

Cosa provava quando la indossava...?
Quali sentimenti...

Con gli occhi chiusi e tremanti, provò un brivido freddo e subito un immenso, terribile calore nel percepire la maschera premuta contro il proprio viso, mortificando la bellezza corrosa dall'età con quel accessorio orribile.
Aprì gli occhi repentinamente, terrorizzata dalle sensazioni che provava, la mano ancora calcava la maschera bianca e liscia sugli zigomi alti e con un gesto rapido se la strappò dal volto inorridita, ritrovandosi in lacrime, il respiro affannato e strozzato da un gemito che le era salito alle labbra senza che potesse accorgersene.

Quella maschera...non era solo mero accessorio: esso viveva, carne e spirito, cuore palpitante che rispondeva agli stessi sentimenti del suo originario padrone.
Dolore...vergogna...rabbia...odio...disperazione...e il perenne anelito ad una umanità negata.

La ripose con malcelata agitazione nel drappo rosso come il sangue e si alzò, aprendo un cassetto nel mobile di faggio vicino, lì dove aveva deciso di custodire quell'oscuro ornamento.

Erik sarebbe tornato, un giorno.
Questo le era stato scritto; e quel medesimo giorno, avrebbe preteso ciò che gli era stato sottratto.
La maschera, il teatro stesso...tutto...
Non poteva sapere con certezza, ma forse...anche Christine.
 
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jiujiu
view post Posted on 27/5/2008, 13:27




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Nell'oscurità si udì un colpo di pistola che squarciò l'aria, spezzando l'atmosfera onirica che si era creata nella mente della giovane, che si portò una mano al ventre colpito, cadendo poi in ginocchio, ma forte in lei la volontà di rialzarzi al chè un pianto disperato la invocava dal fondo di un pozzo di pietra e calce.
Strisciando coi gomiti insanguinati e le ginocchia sbucciate giunse in corrispondenza del bordo del buco e vi si affacciò, cercando con occhi esasperati l'origine di quelle grida assordanti.
Ed ecco che in fondo, col suo volto chiaro e colmi di lacrime un'altra sè stessa la fissava tendendo la mano sporca di sangue e fango, negli occhi una grande deteminazione.

...Uccidili...

...Uccidili tutti...

Tese ancora più la mano verso l'alto e contemporaneamente dalla sommità del pozzo essa si chinava verso quell'immagine.
Era solo mero riflesso o realtà?
Eppure sentiva dolore, passato e presente, sulla propria carne.
Con un movimento impreciso si sporse troppo e vi cadde malamente dentro, solo per venire accolta dall'altra sè stessa che dopo averla elevata sopra le acque putride e fredde di quella sorta di cisterna le carezzò il viso, scostandole una ciocca di capelli dagli occhi chiari e specchiandosi nel proprio sguardo.

...Vendicaci...

Ferita, la veste bianca macchiata di rosso, debole e semi-incosciente, la ragazza accarezzò il volto di quell'oscuro riflesso, di quel miraggio così realistico e pianse una lacrima scura e densa, sangue anche esso, comunicando la sua risposta.

- Si -

Dopo aver pronunciato questa parola, il simulacro che la sosteneva si dissolse, perdendo prima i colori epoi la forma umana, ritornando all'acqua , suo primo e mutevole elemento.


Completamente sola, immersa nel gelo delle acque e nelle tenebre della notte, emise un grido di dolore terribile, spaventoso ed acuto, che si smorzò in un breve gemito nel dormiveglia e quando, aprendo gli occhi non vide nulla, si portò lentamente la mano al volto, constatando di avere delle bende su di essi e si acquietò, rimanendo in attento ascolto: solo un flebile respiro, un altro battito di vita oltre il proprio si celava al suo sguardo, e chiunque fosse questa persona, essa dormiva.

Aveva sete, la gola arsa e la testa pesante per il lungo ristoro forzato.
Con infinita pazienza, facendo perno sui gomiti si mise seduta, e con la stessa mano bendata della prima volta, la sinistra, tastò le fasciature sul petto e quelle sul capo, con un sospiro cupo, e mosse, senza fiatare il braccio destro, incurante del dolore che provava, e sollevò la benda che pigiava sugli occhi chiari, ritrovandosi in una penombra congeniale al suo stato, che le permise di recuperare con calma l'uso della vista senza sottoporla subito e senza preavviso al trauma della luce diretta.
Ecco che nelle tenebre essa riusciva a scorgere lo spazio attorno a sè ampliarsi: prima solo il letto e le sue coperte marroni e vecchie, il pavimento di legno liscio che la accecava coi brevi riflessi dei raggi solari filtrati dalle polverose tende alla sua destra ed infine la porta a pochi metri di distanza, apparentemente chiusa a chiave.
Quanto tempo era rimasta incosciente, si domandò, senza trovare punti di riferimento affidabili.

Era prigioniera?

Aveva dunque affrontato ed ucciso il suo padrone, solo per finire intrappolata tra quattro mura di pietra?
No, riflettè, guardandosi ancora intorno: proprio alla sua destra una grande finestra le offriva una via di fuga sicura ed certa, e ne avrebbe approfittato, se necessario.
Rimosse del tutto le bende dalle mani, sciogliendo i nodi coi denti e completata la prima operazione, liberò il proprio capo ed analizzò col tocco delle dita la ferita alla tempia, ormai chiusa e cicatrizzata.
Tre giorni, al massimo.
Era stata curata bene, e il taglio si era quasi rimarginato del tutto, lasciando il posto ad una cicatrice ancora aperta e sporca di sangue secco, ma nel complesso guarita e soddisfacente.
Ma era rimasta tre giorni immobile, in balia delle cure di quegli estranei a cui Pierre aveva affidato la sua vita, sconvolto dall'emozione del momento: se avesse avuto pazienza e avesse recuperato ago, filo e bende pulite, essa stessa avrebbe pensato alle proprie cure...e forse sarebbe morta.

Doveva essergli grata, ed avrebbe espresso la sua gratitudine un giorno: Pierre le aveva permesso di restare in vita per compiere ciò che si era prefissa e lei lo avrebbe fatto, più decisa che mai.
Adesso il giovane dormiva profondamente sul pavimento di fianco al letto, l'espressione corrucciata della fronte tradiva la sua stanchezza e la preoccupazione.

Seduta dunque, lanciò uno sguardo assorto al giovane servitore e subito alla finestra a meno di due metri da sè, realizzando che la sera era ormai prossima a calare, e che avrebbe avuto almeno altre cinque o sei ore per risvegliare i propri arti dal lieve torpore che avvertiva e fuggire da quel luogo col favore della notte, ancora meno se Pierre l'avesse sostenuta nella fuga.

- Pierre...svegliati-

Non dovette ripetersi: il ragazzo udì la voce e si destò repentino, come travolto da un getto d'acqua improvviso, e volgendosi alla donna che aveva parlato con gola spezzata dall'arsura e prontamente si era portato in posizione eretta ed avvicinato al suo capezzale, sorridendo di entusiasmo nel vederla viva e padrona di sè.
- Sono qui, mia signora! - esclamò a voce alta il giovane, mentre la ragazza chiedeva poche gocce d'acqua per inumidire le labbra, cosa che ottenne subito attraverso un panno bagnato piegato morbidamente e premuto sulla bocca.
- Siete viva, viva!- le prese le mani nelle proprie e la guardò negli occhi, sorridendole commosso e raggiante come non mai.
- Quanto tempo...è passato, Pierre? Dove siamo adesso..?-
- Tre giorni, mia signora. Siamo in chiesa-
- Non possiamo restare qui, Pierre...- sussurrò lei, volgendo di scatto lo sguardo alla porta, il volto serio mentre con un gesto furtivo aveva raggiunto uno dei pugnali che il ragazzo soleva custodire in corrispondenza della cinta dei pantaloni e l'aveva portata dietro la schiena, pronta ad un assalto.
- Cosa? Perchè, mia signora?-ebbe il tempo di chiedere, prima che una voce alle sue spalle lo facesse sussultare di sorpresa.
- Pierre, cosa è accaduto? Oh, Marie si è svegliata! -
Una donna anziana si trovava adesso sul ciglio della porta aperta e probabilmente era rimasta in ascolto per poco, entrando nella stanza con un fagotto contenente della frutta e una lampada a petrolio ancora spenta.

Era venuta a svegliare il ragazzo e portargli un pò di cibo, ma udendo la voce del Pierre parlare senza ricevere risposta si era insospettita: avvicinandosi aveva compreso che non era follia che lo spingeva a interloquire con il vento fugace, come quei parenti che mai si rassegnano al sonno eterno dei propri cari e dialogano con loro nella speranza che odano e rispondano: essa era ben viva.

- Si, madame Ledoux-
Pierre si mosse senza spostarsi dal capezzale del letto, ancora inginocchiato, ma con uno sguardo implorante alla ragazza, sussurrò una semplice preghiera.

- Non fatele del male, mia signora...qui sono amici...possiamo fidarci-
- Lo deciderò io, Pierre- sussurrò lei, facendolo rabbrividire col suo sussurro impercettibile.

La ragazza dunque ripose con relativa agilità il pugnale sotto il cuscino e rimase seduta con espressione impassibile sul volto, scrutando la donna a cui tanto teneva il suo compagno e servitore.

Isabelle Ledoux la fssò con un misto di sorpresa e stupore sul volto: si era tolta le bende dalle mani e dal capo, rivelando la capigliatura ancora sporca di sangue e fango, cosa a cui con la fretta delle cure non aveva potuto rimediare, ma il viso era liscio, pallido, un languore particolare rendeva la sua espressione distante e sofferta ad un tempo.
Ma ciò che più la impressionò, lasciandola per un momento sospesa sul limitare dell'ingresso fu il suo sguardo glaciale: le parve di venire respinta con violenza da quegli occhi azzurri, innaturalmente chiari eppure così attenti e acuti nell'osservarla a sua volta, due diamanti incastonati in un volto umano di rara perfezione.
I suoi lineamenti erano eleganti e graziosi, e certamente, una volta lavata e vestita a dovere, sarebbe stata una delle dame più affascinanti che i suoi occhi avrebbero mai potuto incontrare; peccato davvero per quelle ferite e le cicatrici che abbondavano sul suo corpo e quella sgradevole alla tempia.
Entrambi, sia lei che Pierre, erano stati vittime di sopprusi di cui forse non avrebbero mai fatto parola, e che lei, in quanto madre e donna non avrebbe mai voluto udire raccontati.

- Perchè mi avete chiamato Marie?- chiese senza molto interesse la ragazza, cosa che fece comprendere alla signora più matura che quello non era il suo nome, nè vi si avvicinava.
- Un nome, mia signora...lo ha scelto padre Remus per voi, ispirandosi alla Nostra Signora di Parigi...-
- Non voleva che continuassimo a riferirci a voi solo come " mademoiselle". Vogliate perdonarci-
La ragazza annuì quieta, respirando profondamente, portandosi una mano al petto e inarcando appena il sopracciglio nel non trovare ciò che cercava, il suo tesoro più caro.
- Pierre, la mia collana...dov'è la mia collana?- sibilò, tentando di muoversi ed alzarsi dal giaciglio, solo per finire tra le braccia della signora, che la rimise a letto, constatando per l'ennesima volta la muscolatura scattante e la magrezza della sua assistita.
- Non ti preoccupare, bambina...- e trasse dalla tasca della gonna che indossava un monile, una sottile lista d'argento, incastonata di piccole gemme chiare, sparse senza un apparente ordine lungo il ciondolo, forse diamanti, forse semplici fondi di bottiglia, non importava.
Gliela restituì con un tremito, nel scorgere lo sguardo di lei lambire il proprio volto mentre Marie si sedeva nuovamente, con più controllo.

- Ma voi, mademoiselle...siete certa di stare bene?-
- Meglio di ieri. E peggio di domani.Perchè lo domandate?- replicò la ragazza chiudendo gli occhi e assaporando la gelida sensazione del metallo sulla pelle, passando il pollice sulle gemme con un movimento verticale e traendone un sottile piacere e conforto.
La donna analizzò la sua figura con rinnovato stupore: quella dama spettrale, sicuramente figlia delle lande più desolate del Nord, sembrava una splendida scultura di ghiaccio, priva di qualsivoglia emozione a scuoterla ed agitarla.
Anche durante il precedente calvario prima del risveglio Marie non aveva gridato, nè pianto, più volte simile ad un simulacro inerte di carne e sangue, creduta viva solo per le terribili febbri che avevano bagnato di sudore bende e lenzuola e per il respiro che sollevava il suo seno sotto le fasciature; erano stati i tre giorni d'agonia più silenziosi che avesse mai vissuto nella propria carriera di infermiera.

- I vostri occhi sono così vacui...sembrano malati-
- Non lo sono, madame-
rispose pacata lei, portandosi le mani sul grembo con fare distensivo: quella anziana non era un nemico e non le avrebbe fatto del male, soprattutto perchè non ne aveva le capacità.
- Vedo perfettamente ciò che devo vedere...-
- Oh...capisco-
La donna si sedette al suo capezzale, scambiando con lei uno sguardo reso cupo dall'atmosfera carica di tensione che si era venuta a creare.

- E quale è il vostro nome, mademoiselle, se è dato sapere?...neanche il vostro amico ha saputo darci risposta - domandò Isabelle, senza accorgersi che l'espressione di Pierre era cambiata, lontano il sorriso di qualche minuto prima, ora era teso: se madame Ledoux avesse commesso qualche errore...

- Avete buon gusto. Marie è un bel nome...-

Pierre sospirò di sollievo, lanciandole uno sguardo grato e sorridendo non visto all'anziana dama, che annuì, accettando la risposta sibillina della ragazza che non si era lasciata andare a confidenze, i suoi segreti sempre nascosti nel più profondo delle sue iridi trasparenti.

- Come desiderate, mademoiselle Marie. Pierre, vai a chiamare Yvette-
- Si, madame-
e il ragazzo corse rapido verso l'esterno, superando l'uscio e il corridoio che lo avrebbe condotto negli appartamenti delle due dame.

- Marie- si rivolse a lei madame Ledoux, una volta rimasta sola con la paziente che insisteva nell'osservarla con attenzione, quasi memorizzando i suoi lineamenti e leggendo la storia della sua vita tra le rughe del volto, - cosa è successo quella notte?-
Marie, supponendo che questo fosse il suo nome, tacque, fissandola con maggiore intensità.
- Voglio dire...chi può avervi ferita a quel modo?-
Silenzio.
- Non volete rispondere, vero?-
- Pierre..mi ha chiesto di non farle del male, madame...-
La donna si irrigidì al proprio posto, avvertendo una strana sgradevole sensazione di gelo invaderle il ventre.
- Sapere troppo vi metterebbe in pericolo...e io verrei meno alla richiesta del mio adorato Pierre-
Il gelo sembrava aumentare, notando la voce della ragazza risuonare nelle proprie orecchie simile a mistica melodia di minaccia.
- L' ignoranza vi terrà al sicuro, madame...-
- Madame Ledoux, mi ha fatto chiamare?-
Le ultime parole della giovane ragazza parvero dissolversi nel richiamo di Yvette, che si sorprese a sua volta nell'incontrare lo sguardo distaccato di Marie, sorpresa a tal punto da non fare caso alle brevi gocce di sudore che imperlavano la fronte della sua insegnante e tutrice.

Il ragazzo però, giunto un attimo dopo, si accorse del pallore sul volto della gentile signora, e si morse il labbro, dirigendosi in silenzio verso la sua signora e restando immobile in piedi di fianco al letto, l'attenzione sul pavimento.

- S-si, Yvette...vorrei che tu portassi qui una bacinella d'acqua calda e una camicia da notte pulita per la nostra Marie-
- Marie, eh?-
- Si, Marie- degluttì l'anziana signora, fulminandola con lo sguardo per quella lieve inflessione interrogativa che Yvette aveva dato alla propria voce nel pronunciare quel nome: non capiva come fosse possibile ma sentiva che era pericoloso sfidare quella giovane, o contrariarla.
- Come desidera, madame Ledoux-
e uscì, ritornando qualche minuto dopo con tutto l'occorrente, chiedendo aiuto al giovane per trasportare la bacinella mentre Yvette si preoccupava di recuperare asciugamani e panni puliti dal cassettone situato all'interno della stanza.

- Potresti uscire per qualche minuto, caro?-
domandò Madame Ledoux al giovane, riprendendosi dal senso di angoscia che l'aveva stretta nella sua morsa minuti prima, e sorridendo al ragazzo di un sorriso tenero che egli contraccambiò, rivolgendo un ultimo, silenzioso sorriso anche alla sua signora, che lo osservava, anzi, osservava entrambi con espressione interessata.
- Si, madame...sarò qui fuori- e chiuse la porta dietro di sè, mettendosi a sedere con malcelata impazienza ed agitazione a pochi passi dall'uscio, sul piccolo muretto di pietra che divideva il cortile esterno da quello interno.

La sua signora si era ripresa quasi del tutto, e ne era contento, anche se uno strano sentimento gli aveva occluso la gola, impendendogli di respirare per un istante.
Madame Ledoux era una donna così gentile, pacata e affettuosa con lui, e Pierre accettava sempre ogni cosa gli venisse offerta dalle mani di lei, tentando di ricambiare anche con lavoretti umili in chiesa...e adesso che aveva conosciuto la sua regina, era in pericolo.
E se invece di riaprire gli occhi non si fosse svegliata più...?
Se l'oblio l'avesse accolta tra le sue braccia, un eterno sonno senza sogni a cullarla?
Forse...avrebbe potuto vivere dietro la chiesa con madame Ledoux; lei lo avrebbe accolto laggiù con Yvette e padre Remus sarebbe stato d'accordo, ne era certo, e magari avrebbe potuto chiamare quel luogo casa, quelle persone famiglia...
Una piacevole fantasticheria in cui si ritrovava immerso quando incrociava quei sorrisi gentili, quegli sguardi generosi e comprensivi.
No.
A cosa stava pensando, sbottò tra sè e sè, mordendosi il labbro e picchiando i pugni contro la pietra per la stizza: la sua signora era la sua famiglia, lei la sola che si sia mai curata di lui, che lo abbia difeso realmente; l'aveva protetto sin dall'infanzia corrotta dei campi zingari, condannando la propria anima all'inferno anche a causa sua e lui meditava su cosa avrebbe fatto se fosse scomparsa per sempre?

Che razza di animale ingrato era mai?

Finchè la sua regina avesse avuto bisogno di lui, Pierre non l'avrebbe mai abbandonata, e se ciò significava vivere per sempre nelle tenebre, in fuga dalla luce, che fosse tale il suo destino: l'avrebbe seguita all'inferno, sfidando briganti e i diavoli per combattere al suo fianco.
Il sole era tramontato del tutto quando la porta alle sue spalle si riaprì e Yvette gli concesse di rientrare con uno sguardo enigmatico impresso sui suoi occhietti da cerbiatta, ed egli varcò quel limite deglutendo impercettibilmente, visibilmente stupita la sua espressione nel guardare per la prima volta la sua signora libera da vesti sgargianti e sporche, da armi e altri impedimenti che occultassero la sua bellezza.
Un angelo sceso sulla terra con ali d'argento e vesti infuocate avrebbe forse colpito meno l'immaginario del ragazzo in confronto a ciò che aveva innanzi: la completa figura, esile e magra di lei era totalmente avvolta dal bianco della camicia da notte, lasciando intravedere in trasparente evidenza le forme sinuose e le bende che avvolgevano ancora piedi e busto, il volto pallido sembrava illuminato dagli occhi simili a zaffiri di rara lucentezza e ogni suo lineamento era accentuato dalla folta e bellissima chioma rossa e freneticamente ondulata che incorniciava il volto di lei come nastri intrecciati di seta porpora, lunghi fino alle spalle lasciate scoperte dalla vestaglia color latte.

- State benissimo, mia signora...- espresse Pierre ammirato, avvicinandosi al suo muto richiamo e aiutandola a rimettersi a letto una volta lavata e cambiate le bende.
- Vado a preparare la cena, madame- si defilò Yvette, portando via la bacinella colma di acqua impura, in cui il rosso del sangue e lo sporco della polvere di mescolavano in un' unica sostanza.
- Si, Yvette- e subito si rivolse ai due giovani, che scambiandosi uno sguardo d'intesa, avevano deciso di restare insieme a discutere,
- Più tardi vi porterò qualcosa per cena, miei cari...-
- A dopo, Madame...-
la congedò Pierre con un cenno del capo, i suoi occhi scuri brillare di gratitudine, e si sorprese quando anche la sua regina richiamò la premurosa infermiera, ancora sulla soglia d'ingresso.
- Grazie, madame- sussurrò Marie con voce cordiale sulle labbra delicate, la fronte distesa e le guance quasi rosee.
Isabelle restò sospesa, senza rispondere immediatamente, ma contemplando quel viso così bello, reso ancora più dolce da un breve momento di gentilezza che le sue parole avevano rievocato.
Adesso capiva percè Pierre l'amava tanto da restarle accanto senza neppure conoscere il suo nome: quello spirito tormentato era capace di un fascino ambiguo, crudele e carismatico che respingeva e attraeva allo stesso tempo, con la medesima espressione.
Non era amore, quello che l'uno provava per l'altra: piuttosto ognuno era parte dell'altro, un legame fragile ma indissolubile.

- Di nulla...- e si allontanò diretta alle cucine, accennando un sorriso di soddisfazione e sollievo.

***

- Sono felice che voi stiate bene, mia signora. Siete bellissima-
- E' solo apparenza, Pierre- sibilò lei, respirando profondamente e stendendosi sul letto comodo, ed invitando il giovane a fare altrettanto, accanto al proprio corpo.
Lui accettò l'invito imbarazzato, lasciandosi avvolgere da quelle calore, quando uno più prepotente gli imporporava le guance e la superficie delle braccia e del petto.
La ragazza finalmente percepì un pò di vero calore sulla propria pelle e carezzò il viso del ragazzo di cui adesso incontrava lo sguardo, stesi entrambi di fianco, uno di fronte all'altra, come avevano sempre fatto nelle notti più fredde, quando il gelo si sorprendeva lontani da un vero rifugio.
- La bellezza è solo una bugia...non lasciarti trarre in inganno, mai...persino il più deforme degli uomini può custodire in sè l'essenza del paradiso perduto...-
- Si -
- E il volto stesso dell'amore spesso nasconde dietro la facciata di perfezione la putretudine di un cadavere in decomposizione...-
- Si, mia signora...-
- Bravo, mio caro Pierre...e adesso parlami di quegli uomini-
Pierre si accucciò, adagiando il capo sul suo seno velato di bianco, attento a non opprimere la benda, e chiudendo gli occhi iniziò a parlarle delle informazioni raccolte la sera del loro arrivo e i tre giorni successivi.



- Lavorano tutti all'Opera populaire di Parigi, mia signora...anche se adesso il teatro è chiuso per lavori...tre giorni fa la sala principale è stata parzialmente distrutta da un incendio...ho sentito dire che un uomo mostruoso che viveva nei sotterranei del teatro, il...fantasma dell'opera, ha rapito la diva e ha fatto crollare il lampadario sul palcoscenico. Ora cercano manovali per i lavori di ricostruzione...-
- Sembri interessato, Pierre...-
- No...è solo che madame Ledoux ha detto che potrebbe farmi trovare lavoro laggiù...potrei lavorare...e cercare una casa per noi, mia signora...una vera casa...-
- Sarebbe bello- sussurrò lei, avvolgendolo con il profumo del suo respiro caldo e della pelle lavata di recente.
- Si...-
- Hai fatto un buon lavoro- disse Marie, e gli carezzò la chioma nera, levigando la sua fronte con la punta delle dita, i loro corpi più vicini nel silenzio che seguì.

- Puoi riposare adesso...- lo cullò delicatamente con voce languida e particolarmente dolce, memorizzando ogni minimo particolare riferitogli, soprattutto quelli relativi al teatro e al fantasma che si supponeva vi avesse abitato.
Si sarebbe occupata di quegli uomini, prima...e in un secondo momento avrebbe portato a termine la sua missione, a qualunque costo: ma il suo amico adorato, costui che anelava ad una vita normale e ora ne aveva la possibilità in un luogo sicuro, dopo tanto vagare e tanto dolore...
- Presto verrà il momento di agire, Pierre...-
- Sarò con voi per aiutarvi, mia signora...- sussurrò lui, sprofondando a poco a poco nel sonno reale per la prima volta dopo tanta veglia, grato di essere tra le braccia della ragazza che adorava e che non avrebbe mai osato violare, neppure col pensiero.

La sua regina era guida e guardiano...

- E tu, mio fidato amico...-

...angelo e carceriere...

-...non dovrai essere coinvolto.-

Vita e morte.
 
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jiujiu
view post Posted on 31/5/2008, 15:21




****

- Maman, non puoi permetterlo! Christine-
- Christine e il Visconte hanno deciso così, bambina mia, e madame Valerius andrà con loro. C'è poco che io e te possiamo fare al riguardo-
- Però Marsiglia, maman...è così lontana...-
- Non così tanto, Meg...conosci solo il teatro e Parigi, ma fuori da qui il mondo è grande, esistono distanze maggiori...-
Meg chinò il capo, spogliandosi del mantello che aveva indossato fino a quel momento, lungo il tragitto dall'abitazione di Madame Valerius fino all'Opera Populaire.

Erano andate loro due per chiedere informazioni sul loro possibile ritorno in tempi brevi ai loro appartamenti, e la sola risposta che era stata loro data era stato uno sconfortante " le faremo sapere" che presagiva tempi lunghi al loro rientro nelle loro stanze all'Opéra.
Non ci sarebbero stati spettacoli in cartellone, quella primavera...
I restauri erano costosi e i due precedenti impresari disperavano di poter recuperare la cifra necessaria senza indebitarsi ulteriormente; il Visconte avrebbe certamente contribuito, ma senza eccedere, egli che comunque teneva più alla stella del canto che non al luogo dove essa soleva esibirsi; ed adesso che aveva quasi rischiato di perderla tra quelle mura, probabilmente non le avrebbe più permesso di cantare per un pubblico diverso da quello dei ricchi salotti dei nobili aristocratici con cui la famiglia De Chagny teneva saldi rapporti d'amicizia e di affari, sottraendo Christine Daaè agli applausi ed al suo pubblico vero, quello del teatro.
Sarebbe stato dunque necessario trovare un nuovo mecenate che finanziasse le spese di ricostruzione della struttura in sè, ed un impresario capace, dotato di buon gusto e di senso pratico per poter mandare avanti il più grande teatro di Parigi, nuovi artisti capaci e volenterosi, senza troppe pretese...
Quanto tempo sarebbe passato prima che tali miracoli, perchè di questi si trattava, accadessero?

Madame Giry inumidì le labbra seccate dal vento tiepido di quella mattina di marzo, e riflettè sulla propria situazione e su quella della figlia: avrebbero certo potuto lavorare per compagnie minori, ma la loro casa, la loro vita era L'Opera Populaire, nel bene e nel male.
- Perchè non andiamo via anche noi, maman? - la sorprese Meg, rientrando nella piccola casa che certamente avrebbero dovuto mettere in ordine, adesso che entrambe sapevano che avrebbero alloggiato laggiù a tempo indeterminato.
- Andiamo con Christine a Marsiglia, sicuramente c'è un teatro anche laggiù! Tu potrai insegnare e io danzerò, saremo sempre insieme. Tu, io e Christine-
- No, Meg cara-
La ragazza si impuntò, irritata da quell'atteggiamento così negativo della madre, da quella continua testardaggine che l'avrebbe allontanata dalla sua migliore amica e l'avrebbe costretta a vivere in una città che le aveva tolto tutto.

Maledetto Fantasma!

Era un mostro, e anche con la sua assenza, proseguiva a far loro del male: Meg Giry aveva quasi avuto pietà quando Christine le aveva raccontato, a lei sola e nessun altro di quella notte, di ciò che realmente era accaduto in quei sotterranei.

La bestia si era innamorato della bella e, come Icaro, aveva sfidato le leggi divine per avvicinarsi al sole, e da questo, meraviglioso e splendente, era stato tradito, sciolte le sue ali di cera e precipitato nell'oblio, nella disperazione e nella follia.
Un uomo solo...completamente solo nelle tenebre, in lui vivo l'amore più che in qualunque altro essere umano.

- L'ho ferito...è come se l'avessi ucciso, Meg...-
- Ma lui ti ha rapito, Christine! E ha quasi ucciso il visconte! E' un mostro!-
La ragazza, mordendosi le labbra carnose e piangendo calde lacrime, si era lasciata abbracciare, lontano il fidanzato di lei, a discutere coi poliziotti sulla strategia da adottare per arrestare il criminale e pericoloso assassino ancora in fuga, madame Giry intenta a discutere con la cordiale madame Valerius di quello che sarebbe stato l'avvenire della giovane Daaè.
- Mi ha lasciato andare via, amica mia...tu non hai visto il suo sguardo...potevo sentire la musica morire attorno a noi...la musica è morta, Meg...il mio angelo è morto. L'ho ucciso e una parte di me è morta con lui-
Meg si era stretta a lei e le aveva permesso di sfogarsi, ma come repentino era stato il suo cambiamento quando Raoul De Chagny aveva fatto il suo ingresso nella stanza, salutandola con un bacio soffice sulla fronte: sparite il pianto dalle sue guance, solo un lieve pallore sul volto e gonfi gli occhi, aveva mascherato la tristezza con presunte lacrime di sonnolenza, a cui nessuno avrebbe creduto mai.
Forse era stato proprio quel pomeriggio che il visconte aveva meditato la possibilità di portare via Christine con sè, lontano da Parigi, dal male e dalle illusioni passate, in un luogo dove il sole avrebbe illuminato i loro giorni di freschezza e di amore candido, innocente e puro, come quando da piccoli giocavano tra i prati, ascoltando il violino di papà Daaè che raccontava ai due giovani le avventure della piccola Lotte e la dolce leggenda dell'Angelo della musica.

Angelo bugiardo!
Imbroglione ed approfittatore, dietro la propria voce aveva occultato sè stesso, sua prima, invisibile maschera.

- Oh Christine...-

L'avrebbe più rivista...?

Era colpa sua e sua soltanto, di quell'uomo maledetto!
Implorava pietà, quell' uomo distrutto dalla passione e dal rifiuto?
Non la meritava...
Non meritava nulla.


- Questa è la nostra casa, qui proseguiranno le nostre vite. L'accademia di ballo è ancora aperta, non posso abbandonare il mio lavoro-
- Ma Christine-
- Christine è fidanzata, Marguerite Giry. Quando anche tu lo sarai, potrai andare dove riterrai giusto-
Madame Giry si pentì immediatamente delle proprie parole e certamente avrebbe cercato parole più adatte per scusarsi, se la figlia non l'avesse guardata con rancore e delusione nello sguardo, e non si fosse rinchiusa subito in camera propria, rifiutandosi per l'intera giornata di rivolgere anche solo un sospiro alla madre.
- Cerca di capirmi, Meg...non voglio perdere anche te. Non potrei davvero sopportarlo- disse rivolgendosi alla porta dietro la quale si apriva la camera della ragazza, la voce salda, quasi fredda, ma intrisa di una malinconia tipica della madre che vede la figlia allontanarsi da sè, allontanarsi per sempre, cedere la manina adorata della propria bambina ad un uomo che l'avrebbe resa donna e madre a sua volta.
Christine sarebbe partita presto, insieme al suo promesso sposo e madame Valerius, e loro sarebbero rimaste a Parigi...aveva deciso e non avrebbe cambiato idea.

- Cerca di capire...-

*****

Una settimana era passata dal loro arrivo tra le mura della santa chiesa di Nostra Signora, e ancora Padre Remus, Yvette e madame Ledoux non erano riusciti a farsi rivelara alcun particolare dalla loro giovane ospite, presenza silenziosa rinchiusa di propria volontà nella stanza che divideva con il giovane Pierre, che invece era sempre stato incline al dialogo e all'ascolto, nonostante non avesse molto da dire, e molte altre cose le tenesse per sè nel timore di svelare più di quanto non avrebbe dovuto.

- Da dove venite?-
- Da tanti posti...-

- Dove siete diretti?-
- Non lo so...-

- Chi ha ferito la tua amica?-
- Non posso dirlo...ci troverebbero-

Lunghi silenzi scandivano domande e risposte del genere, anche se sembrava che il giovane Pierre si fidasse molto più della generosa madame Ledoux che non dell'arguto sacerdote e della giovane novizia.
Proprio due giorni dopo il risveglio di Marie, Isabelle Ledoux ricevette una visita inaspettata che nel modo peggiore rivelò le vicissitudini dei due giovani, soprattutto sulla ragazza a cui Pierre era tanto devoto.

Samuel Ledoux fece il proprio ingresso attraversando il portone laterale, trovandosi solo di fronte all'altare: era un bell'uomo non giovanissimo ma ancora affascinante, il volto perfettamente rasato a parte le brevi basette ai lati del viso, che lo rendevano simile al padre scomparso in servizio anni prima.
Indossava degli abiti da civile, ma ciò non significava che fosse laggiù per una semplice visita di cortesia, tanto che ben celata ad occhi indiscreti ecco la sua arma, una pistola abbastanza pesante che aveva imparato a maneggiare con precisione dopo due anni di utilizzo, ritrovandosi più di una volta a rimpiangere le armi bianche, il suo amato stiletto e le lezioni di scherma sacrificate al crudo piombo e alla polvere da sparo.
Si inginocchiò all'altare e si avviò con passo sicuro verso la porta laterale che l'avrebbe condotto agli appartamenti abitati dalla madre, quando una voce sconosciuta lo richiamò sui suoi passi, la voce di un giovane ragazzo dai capelli corvini e l'espressione sospettosa, sulle spalle alcuni fagotti e un pesante secchio d'acqua tra le mani.

- Chi siete?-

Samuel Ledoux si tolse il cappello, rivelando una pettinatura regolare e stabile, la stessa chioma nera del ragazzo, e un sorrisetto fintamente ironico sulle labbra.
- Polizia di Parigi, ragazzo. Cerco madame Ledoux-
Il poliziotto si stupì non poco quando si accorse dell'improvviso pallore nel giovane, che si avvicinò con passo incerto, scrutandolo e memorizzando ogni linea, ogni ombra del proprio volto, un artista col proprio modello.
- E tu sei..?- domandò con voce squillante e tono disponibile.
Pierre non rispose, lo sguardo adesso fissava il pavimento in pietra e l'ispettore non potè fare a meno di provare comprensione per quel giovinetto probabilmente imbarazzato come tutti dall'idea di avere innanzi a sè un poliziotto.
- Senti ragazzo, non sono qui per arrestarti- rise, posandogli una mano amichevole sulla spalla,
- Voglio solo parlare con madame Ledoux e padre Remus, quindi se sai dove essi-
- Pierre? con chi stai parlando?-
La voce della donna veniva dal cortile esterno e presto ne fu visibile l'origine, Isabelle Ledoux in grembiule, le mani sporche di terra e fertilizzante.
- Hai preso l'acqua come ti ho..Samuel!!- gridò istintivamente, portandosi le mani al petto ed incamminandosi più velocemente possibile verso l'uomo che le aveva sorriso e chiamata madre sotto lo sguardo infinitamente più rilassato di Pierre che aveva seguito la scena in cui l'ufficiale raggiungeva l'anziana signora e la sollevava oltre la sua testa e il cappello nero e piumato, baciandole entrambe le guance e abbracciandola con affetto.
Pierre osservò i due con uno sguardo assorto, malinconico...un breve sorriso di struggimento.
Erano così lontani i tempi in cui si era sentito parte di una famiglia vera, e quella che celebrava il proprio vincolo di parentela pochi metri più in là, incuranti che il fango macchiasse i vestiti o la pelle, era ciò che il ragazzo aveva perso quando era stato abbandonato e aveva smarrito la sorella e ora rimpiangeva apertamente, senza accorgersi che in disparte, da uno spiraglio della porta di legno insospettabilmente socchiusa, due occhi celesti e seri fossero puntati su di lui.

*****

- Pierre!Questo è mio figlio Samuel, te ne avevo parlato, no?-
- Si, madame-
- Samuel Ledoux. Lieto di conoscerti, Pierre..?-
- Solo Pierre, monsieur. Piacere mio...e se ora volete scusarmi...- si congedò dai due famigliari, svolgendo il resto delle sue mansioni e subito si rinchiuse nella stanza dove alloggiava la sua signora, vedendola seduta di fianco alla finestra, le tende ritirate mentre un pallido tepore illuminava il suo volto.
Era lei la sua famiglia, non aveva bisogni di madri, padri, fratelli o sorelle fintanto che le rimaneva accanto e si proteggevano a vicenda.
Non ne aveva bisogno...
- Pierre...fai silenzio...lasciami ascoltare...- la ragazza si era alzata e lo aveva raggiunto per un istante, accarezzandogli il volto e indicandogli il letto dove sedersi o stendersi e riposare dalle fatiche quotidiane.
Le baciò il dorso della mano e raggiunse il letto, seduto ed assorto, udiva appena i mormorii in fondo al cortile esterno, lì dove madre e figlio passeggiavano l'uno affianco all'altra, parlando di un argomento probabilmente di una certa gravità.

*****

La donna stringeva con forza eccessiva la mano al figlio, la gola secca per le notizie riferitele.

- Mon Dieu, Samuel caro!Parigi accerchiata?-
- Oh, madre...non urlate...ebbene, sapete bene che abbiamo perso la guerra con la Prussia, e nei mesi passati le loro truppe hano soggiornato qui in città...-
Madame Ledoux annuì, asciugandosi quindi la fronte con un fazzolettino ricamato, un antico dono, che soleva custodire nella tasca del grembiule, e rimase in attento ascolto, venendo a conoscenza del proseguimento dell'assedio da parte dell'esercito prussiano, della ancora irrisolta questione dell'indennità di guerra, e del malcontento popolare, dei cannoni custoditi dai cittadini a Montmartre...quali e quante sciagure si stavano abbattendo sulla bella Parigi?
- Ieri il generale Lecomte è stato fucilato per aver ordinato di sparare sulla folla, madre...ucciso dai suoi stessi soldati...-
- Santo cielo...è per questo che sei venuto qui?-
- Non solo...prima che questi avvenimenti giungessero alla mia attenzione, ero stato incaricato di indagare su altri due delitti: il primo, l'omicidio di Ubaldo Piangi, e il rapimento di mademoiselle Daaè, ad opera di un individuo spregevole e orribilmente deformato che pare abitasse i sotterranei e che testimoni affermano di aver visto quella notte nei pressi del sagrato...-
- Non dirai sul serio, figlio mio! Anche gli uomini che sono entrati in chiesa cercavano questa persona, ma non l'abbiamo vista, ed eravamo tutti in piedi-

Il poliziotto chiese il motivo della loro veglia a quell'ora della notte e venne così a conoscenza della pietosa storia di Pierre e Marie, aggredita e ferita da chissà quale brigante scellerato.
- Comunque sia, madre, adesso le indagini sono sospese, e il presidente Thiers ha ordinato che tutti coloro che ancora gli sono fedeli evaquino la città al più presto.-
- Devi lasciare Parigi, figlio mio...- sussurrò lei, tentando di trattenere le lacrime che minacciavano di scivolare sulle sue guance impolverate.
- Si, madre, e voglio che voi veniate con me-

Isabelle lo guardò con occhi larghi, già viva in lei la prospettiva di lasciare Parigi, la sua città, la sua culla, per seguire il figlio poliziotto. e scosse subito il capo, negando quella possibilità.
- No, io non posso partire con te, bambino mio...questa è la mia casa-
- Ma- proruppe lui, subito interrotto dall'anziana donna, che lanciò un'occhiata alla porta di legno dietro alla quale era scomparso il giovane Pierre,
- Samuel, sono vecchia, ho già affrontato le mie battaglie, non ho paura di questa che deve venire...eppoi tu sei grande, so che te la caverai benissimo anche senza di me-
L'ufficiale tentò di replicare, ma nuovamente venne zittito dalla amorevole madre, che posò il dito indice sulle labbra di lui, come quando era piccolo e molto più loquace, totalmente identico a suo padre.

- Ho delle persone a cui voglio bene qui, Samuel...non posso abbandonarle...-

- Capisco...abbiate cura di voi, madre...-
- Chiamami mamma, bambino mio..mi manca il suono di quella parola sullasulle tue labbra- sorrise la donna, che parve agli occhi del figlio pari ad un obelisco, una struttura in pietra, indistruttibile e solo in parte scalfita dalle intemperie; la abbracciò con forza, scacciando dalla mente la fugace e crudele idea che quello potesse essere l'ultimo gesto affettuoso, l'estremo addio.

- Vi voglio bene, maman...-
 
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