A Voice in the Darkness

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jiujiu
view post Posted on 26/5/2008, 11:47 by: jiujiu




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Lesse la lettera più di una volta, le unghie quasi strappare il foglio bianco da cui aveva spezzato il sigillo in cera rossa, e adesso fissava quei caratteri porpora con un lieve brivido, misto di preoccupazione e sollievo.

E' vivo, Julienne Giry.
E' vivo, non occorre sapere altro.

La fioca luce dell'alba aleggiava intorno a lei nel piccolo appartamento dimenticato in città, non più considerato casa dal giorno in cui aveva iniziato a lavorare a tempo pieno come maestra di danza all'Opera Populaire.
La polizia le aveva " suggerito" di non restare in teatro, quella notte, affinchè nessuno corresse alcun rischio in un edificio devastato dall'incendio che aveva fatto seguito alla prima e unica rappresentazione del " Don Juan", musica e parole di un autore sconosciuto e geniale, un assassino ispirato dal angelo nell'inferno.
Julienne sospirò, rileggendo il post-scritto, e lanciando uno sguardo mesto alla finestra e poi alla porta innanzi a sè, dietro la quale la sua adorata Meg riposava, dormiva profondamente, scossa come lei dagli avvenimenti in cui si erano ritrovate coinvolte meno di dodici ore prima.

Le aveva disobbedito ed era scesa nei sotterranei, gli stessi che non visitava dal giorno del suo fidanzamento, ma non aveva avuto animo di sgridarla: la sua migliore amica era stata rapita dal Fantasma dell'Opera, era ovvio che avrebbe fatto di tutto per lei, la dolce, fragile Christine.
Nuovamente si guardò attorno: era tutto così vecchio e polveroso attorno a sè, mobili quasi ammuffiti e malmessi disposti senza cura e senza eleganza negli angoli della stanza, come un vecchio magazino abbandonato, ma quella notte non si diede alle pulizie, sistemando solo un giaciglio per la figlia e assicurandola al sonno prima di accomodarsi su una poltrona logora in stoffa marrone, la preferita del marito, il loro primo acquisto insieme.
Aveva vissuto così poco tempo in quella sua "casa", e dopo la morte di Emile Giry quel luogo era diventato così freddo, così distante dall'idea che una giovane ballerina avrebbe dovuto avere di quel termine, che aveva abbandonato quel rifugio tuttavia sicuro per ritornare nella sua "vera" casa, l'Opera Populaire, il suo nido, il suo vero rifugio..la sua amata prigione.

Fece scivolare lenta le due dita sulle brevi parole scritte con mano ferma, lucida, quasi meccanica sul foglio ruvido e insensibile, ed una lacrima allo stesso modo scivolò alla sua guancia, superando la barriera delle ciglia e dell'austerità che troppo a lungo aveva mantenuto intatta, quella sera...no, in quegli anni interi.

Erik...povero Erik...

Quanti anni erano passati da quel giorno, si domandò stringendo gli occhi e portandosi una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie per tenersi sveglia dopo la notte insonne.
Quanti anni dal momento in cui i loro destini si erano incrociati ed irrimediabilmente legati, uniti da un vincolo inspiegabile, non classificabile come amore, nè amicizia, ne affetto...rispetto, probabilmente.
E paura. Certamente.
Forse un tempo Erik l'aveva amata, si, le aveva voluto bene, e anche se non glielo aveva mai rivelato veramente, lei era stata capace di leggere nel suo cuore che era difatto amore puro, non attrazione, quella che lui aveva provato per la sua salvatrice, testimone del suo primo delitto e complice della sua fuga dagli zingari aguzzini.
Eppure quel sentimento si era incrinato quando Julienne si era fidanzata ufficialmente col suo futuro marito, un violinista discreto e un uomo onesto, ma che a sua insaputa aveva allontanato per sempre dal cuore di un giovane uomo la speranza di poter essere mai amato da una donna.
Chi, se non lei che aveva visto l'orrore e ne aveva avuto compassione, pietà e misericordia, avrebbe mai potuto amarlo, o almeno restargli accanto e corrispondere in parte quei sentimenti forti in un ragazzo così giovane, amplificati dalla solitudine e dal disprezzo subito.
Ogni cosa in lui era sempre stata grande: genialità, passione, forza, amore ed odio...tutto.

Non andare mai oltre questo punto, Julienne...non correrai pericoli, e io ti proteggerò se sarà necessario...ma tu non dovrai più scendere oltre questi gradini...


Ricordò quell'ultimo avvertimento, sibilato in una notte invernale e gelida ai piedi della grande scalinata, oscuro sentiero verso il mondo al di sotto delle botole, quando lei, ormai sposata ed in attesa della prima e unica figlia, aveva tentato di raggiungerlo nei sotterranei e parlargli, spiegargli che si era sposata ma non l'avrebbe abbandonato da solo, sarebbe sempre stata la sua Julienne, la sua amica, la sua complice, che il loro legame era oscuro ed ineffabile e per questo più forte di un amore alla luce del sole, quello che appunto nutriva per il gentile Emile.

Sapete che odio ripetermi, madame Giry...

Agghiacciante.
Il suo stesso nome, il suono del proprio nuovo nome l'aveva trafitta come una stalattite precipitata dai più lontani recessi del cielo, e la sua voce non le era mai parsa tanto minacciosa.
Non l'avrebbe più chiamata Julienne...
Madame Giry: tale era il suo nome e così si sarebbe sempre rivolto a lei, anche nelle note che le avrebbe mandato, o che lei avrebbe recuperato " per caso", sparse qua e là per i meandri dell'Opera.
Il loro legame si era spezzato, ma i due capi della corda erano ancora vicini, e tali erano stati loro due, anche dopo la nascita di Meg, e dopo la morte, rapida ed inattesa di Emile Giry.

Quante lacrime aveva versato durante quei mesi, pregando che qualcuno la consolasse, o che la allontanasse da tutto quel dolore, in un modo o nell'altro.
Ed era stata la voce di quell'angelo caduto a confortarla morbidamente, ad asciugare le sue lacrime, a cullare fino al sonno la piccola Meg dopo una notte di pianto rimasto inudito da una madre disperata e sola.

Come era giovane e gentile, Erik...ma tanto era generoso con chi amava e rispettava...tanto era crudele con i suoi nemici.

Come dimenticare gli avvenimenti insoliti, strani e misteriosi che in quegli anni si erano susseguiti tra le mura imponenti del teatro, le sparizioni improvvise e i macabri ritrovamenti.
Di certo madame Giry non era l'unica ad essere a conoscenza dell'esistenza del fantasma dell'opera, epiteto che Erik stesso aveva scelto, quando divenuto adolescente, aveva deciso di non rimanere segregato nel suo piccolo mondo di tenebre, ma aveva voluto conoscere la luce del palcoscenico, il profumo della noce levigata dei violini, l'avorio delicato del pianoforte, ricordi persi di un passato distante, inghiottito da un presente senza speranze e un futuro incerto.

Armand Lefevre, il precedente impresario dell'Opera populaire era come lei a conoscenza della presenza del misterioso inquilino del teatro, non semplice pettegolezzo dietro le quinte, ma aveva fatto la scelta giusta assecondandolo in ogni richiesta, dai ventimila franchi mensili che essa stessa aveva versato con regolarità su un conto privato alla Banca nazionale di Francia, al posto riservato ad suo uso esclusivo nel box numero 5, proprio ad un battito di ciglio dal palco.

Quanto aveva messo da parte, in tutti quegli anni?
Una fortuna, ne era certa; ma anche tutto il denaro del mondo non gli avrebbe potuto garantire l'unica cosa che desiderava, scontata e a volte umiliata dagli altri uomini: l'amore.

Eppure anche Erik aveva aperto il suo cuore ad una piccola speranza: Christine, la piccola fata del Nord, figlia del celebre musicista Gustave Daaè, ucciso dalla tubercolosi proprio alla vigilia del suo concerto all'Opera Populaire.

Madame Giry si era presa cura di lei, accogliendola nel suo mondo come una seconda figlia, lei, appena qualche mese più piccola della sua adorata Marguerite, era un piccolo fagotto dal volto grazioso e dalla voce incantevole, carente solo della tecnica e della motivazione adatta che nessun insegnante di questo mondo avrebbe potuto infondere in lei se non il suo Angelo della Musica.
Ah, come ne parlava! Coi suoi grandi occhi scuri e lucidi, ogni sera dopo gli allenamenti si ritirava nella piccola cappella, lì dove si incontravano gli estinti, si accendevano per loro flebili luci e si innalzavano preghiere silenziose.
Ed ogni sera, solo una era la preghiera della piccola Christine Daaè...

Angelo della Musica...
Mio Angelo...
Mostrati a me...
Non lasciarmi sola nella notte...


E non fu stupore quello che la colse quando una voce attraverso le pareti decorate intonò un dolce canto per rispoderle, ma gratitudine...gratitudine infinita e gioia, immensa felicità, perchè non era un inganno quello che il padre le aveva promesso prima di morire.
Il suo angelo esisteva, e cantava per lei, le insegnava l'arte del musica e le schiudeva un mondo di sogni senza fine.

Julienne aveva visto quella strana relazione crescere senza maturare, compreso che ormai nella vita di Erik il suo ruolo era ormai secondario, ma al tempo stesso viveva la prospettiva del futuro con ansia: Christine era una bambina, aveva la stessa età di Meg, mentre Erik era un uomo, a suo modo immaturo, ma comunque un adulto temprato da sofferenze indicibili.
Come avrebbe potuto funzionare un rapporto del genere, quando ancora l'ingenua Christine credeva che la voce che la accarezzava nel sonno appartenesse al suo Angelo della Musica, essere immateriale nato dalla fantasia superba di papà Daaè, e lui era una vittima del destino divenuta carnefice, pronto a tutto per ottenere ciò che desiderava?
Sapeva che non le avrebbe mai fatto del male...ma un giorno cantare per lei non le sarebbe bastato più, questo era certo.
Come sempre aveva compreso per prima che Erik, il giovane Erik, si era innamorato di Christine Daaè, e che da quel momento la tragedia era iniziata, senza che lei non potesse fare altro che scegliere...
Si, scegliere da quale parte stare.

Erik...

Lui non l'aveva mai tradita, e lei non sarebbe stata da meno, forte del suo carattere fiero e controllato in ogni circostanza.
Erik aveva ucciso, aveva compiuto reati orribili, ma di chi era la colpa?
Era davvero folle, come le aveva assicurato quello sprovvedduto del Visconte de Chagny?
Probabilmente...
E lei lo era altrettanto, perchè la sua lealtà al Fantasma dell'Opera non sarebbe mai venuta meno, neanche dopo gli omicidi e il rapimento di Christine...

Christine non aveva mai corso alcun pericolo con lui: lei stessa glielo aveva rivelato qualche ora prima quella stessa sera, sbucando quasi per magia da una delle botole dietro le quinte dello stage, accompagnata da un Raoul acciaccato ma non ferito.

Aveva sofferto,Christine, moltissimo...a quale crudele scelta l'aveva obbligata Erik...

Quanto dolore si era inflitto con le proprie mani, credendo che una bambina potesse amarlo davvero e condannarsi così ad un mondo di tenebre con un angelo senza ali nè santità quando fuori da quella tomba, ad un passo, l'amore e la luce le spiegavano le braccia e la stringevano già, lontano il cuore da quella tana sotterranea, ormai maceria disfatta.
Solo lacrime e speranze infrante, mute promesse e tristi addii, questo il bagaglio che entrambi si sarebbero portati dietro per il resto della vita, ma Christine si sarebbe presto sposata, avrebbe vissuto una vita felice al fianco dell'uomo per cui provava certamente affetto, forse amore...
Ma Erik?
Un animo dilaniato dal dolore adesso vagava lontano dall'unica casa mai conosciuta, alle spalle solo sofferenze e un futuro tetro, dove difficilmemte la luce del sole, così fredda e distaccata, quasi gelida sulla nuda pelle avrebbe mai potuto accoglierlo e offrirgli conforto.

E ora quella lettera...

- Maman?-

Madame Giry sollevo appena il volto, incontrando lo sguardo assonnato e pensoso di sua figlia, una bellissima ragazza, i cui lunghi capelli biondi e lisci ricadevano spettinati sulle spalle e sulla schiena, mentre si stroppiciava gli occhi, cercando di svegliarsi completamente.
Si avvicinò alla madre e le diede un bacio soffice sulla guancia, osservando l'espressione preoccupata della donna e inginocchiandosi, poggiando il capo sul suo grembo.
- Perchè non riposi un poco, Maman? Sei rimasta sempre qui...-
- Non ho sonno, cara- sussurrò teneramente, accarezzandole con una mano la testa accoccolata, intrecciando una piccola ciocca di seta color grano tra le dita, sorridendo alla figlia che sembrava sul punto di addormentarsi nuovamente tra le sue braccia, come quando era una bambina e non aveva paura di nulla se non delle ombre scure che la notte sarebbero dovute venire a portarla via: era così che Meg e Christine si rintanavano nell'appartamento privato di madame Giry, rannichiandosi insieme a lei nel lettone per tutta la notte.

Quei tempi erano lontani...un giorno sua figlia avrebbe avuto un uomo nel letto, e un marito al suo fianco, e tutti l'avrebbero chiamata madame e avrebbero nutrito rispetto per lei.
Poteva solo godere di quei momenti di innocente adolescenza e quieto tepore prima che la vita facesse il suo corso e le portasse via il suo gioiello più prezioso.
- Più tardi potremo tornare a casa?-
- Questa è casa nostra, Meg-
- Io parlavo del teatro, maman...potremo tornarci?-
Madame Giry sospirò, socchiudendo gli occhi, e levigando la guancia della figlia che ora scrutava quel volto amato e famigliare, in attesa di una risposta.
- Non lo so, bambina...dovremo restare qui finche la polizia non avrà constatato se i nostri appartamenti sono agibili. C'è stato un incendio, Meg cara..anche se forse non te ne sei accorta, visto che eri ben lontana da dove ti avevo detto di rimanere...-
Meg sussultò, raddrizzando la schiena e incontrando l'espressione pacata della madre: credeva l'avrebbe sgridata, dopo esserle sfuggita la sera prima per l'emozione del momento, invece sembrava essere giunta l'ora del supplizio e lei non era pronta.
- Mi dispiace, Maman..non volevo disubbidire, ma-
- Nessun ma, Marguerite Giry. Comprendo il motivo del tuo comportamento, ma sappi che ho temuto tantissimo per la tua incolumità..-
- E di Christine non dici nulla?Lei era più in pericolo di me!- sbottò Meg alzandosi in piedi e rimanendo vicina alla donna ancora seduta ed assorta.
- Sapevo che non avrebbe corso alcun rischio...- concluse Julienne seria, riponendo la lettera che aveva ancora in mano in una delle tasche laterali della veste nera che indossava dalla sera precedente, senza essersi ancora cambiata, tanta era l'agitazione che interiormente la scuoteva e che solo a quel'ora del mattino iniziava a quietarsi in lei.
- Come lo sapevi?-
- Torna a riposare, bambina mia...-
- Ma maman...-
- Credo di essere stata chiara, Meg-
- Si...-
e la fanciulla fece un inchino rapido, incamminandosi mestamente verso la propria stanza e il povero giaciglio a cui avrebbe dato una sistemata in giornata, se il destino e la polizia avessero stabilito l'inagibilità dell'Opera Populaire a tempo indeterminato.
- Aspetta un momento, mia cara...-
Meg non si voltò nemmeno, immobile in attesa di qualche rimprovero o, più fortunatamente, di un saluto, ma non era nulla di tutto questo, solo poche parole che la fecero rabbrividire.

- Ho saputo che ieri notte hai preso dai sotterranei qualcosa che non ti appartiene...-

La giovane smise di respirare, le spalle irrigidite, come una volpe sorpresa dal cacciatore e colpita prima di poter fuggire al duro colpo.

- Sarei lieta se tu potessi consegnarmi questo " qualcosa" adesso...-
- Maman, io...-
- Non voglio assolutamente che egli venga da te a recuperare ciò che gli appartiene...-

sussurrò Julienne con voce greve, sollevandosi dalla poltrona che l'aveva ospitata in quelle ore e appropinquandosi alla figlia, prendendole la mano e costringendola a voltarsi e ad incontrare il proprio sguardo, preoccupato e rassegnato ad un tempo.
Meg annuì, timorosa, e svicolò la presa della madre per ritirarsi in camera sua, salvo poi riuscirne un attimo dopo con un panno rosso tra le mani; lo consegnò con referenza alla donna e attese un cenno da parte sua che per tutta risposta le donò un bacio gentile ed affettuoso sulla fronte, carezzandole la guancia levigata prima di raccomandarle di riposare bene.
- Maman, mi dispiace, io...-
- Non ti preoccupare oltre, bambina mia...ora è una questione fra me...e lui-
Meg chinò il capo, agitata e remissiva: col suo agire aveva messo in pericolo sua madre, come aveva potuto?
- Più tardi andremo a Teatro e poi da Christine. So che alloggia presso Madame Valerius. Sarà felice di vederti...-
- Si, maman...-
e Meg si ritirò nelle sue stanze chiudendo la porta dietro di sè, lasciando madame Giry sola coi propri pensieri.

Nuovamente si sedette, assorta nel contemplare qel panno rosso scuro, e con un gesto lieve e rispettoso scostò entrambi i lembi di tessuto che occultavano alla vista l'oggetto del contendere, il soggetto del poscritto: la maschera.

Levigata e lucida alla vista, Julienne la analizzò per lunghi secondi, tracciandone col dito il contorno esterno, scivolando con il polpastrello tra gli zigomi artificiali, lo sguardo imperscrutabile, quasi straniato.
Dopo lungo, silenzioso meditare, prese la maschera tra le mani, e la sollevò appena, continuando ad analizzarla come un bambino osserva la fiamma, guizzante e danzante innanzi a sè, rendendosi conto solo troppo tardi che il fuoco arde gli sciocchi che osano sfidarlo, eterna sfinge dai muti enigmi.
Lentamente la portò più vicina a sè, al proprio volto e per un istante udì il richiamo di essa farsi intenso, guidare le sue mani, i suoi movimenti, le sue emozioni.

Cosa provava quando la indossava...?
Quali sentimenti...

Con gli occhi chiusi e tremanti, provò un brivido freddo e subito un immenso, terribile calore nel percepire la maschera premuta contro il proprio viso, mortificando la bellezza corrosa dall'età con quel accessorio orribile.
Aprì gli occhi repentinamente, terrorizzata dalle sensazioni che provava, la mano ancora calcava la maschera bianca e liscia sugli zigomi alti e con un gesto rapido se la strappò dal volto inorridita, ritrovandosi in lacrime, il respiro affannato e strozzato da un gemito che le era salito alle labbra senza che potesse accorgersene.

Quella maschera...non era solo mero accessorio: esso viveva, carne e spirito, cuore palpitante che rispondeva agli stessi sentimenti del suo originario padrone.
Dolore...vergogna...rabbia...odio...disperazione...e il perenne anelito ad una umanità negata.

La ripose con malcelata agitazione nel drappo rosso come il sangue e si alzò, aprendo un cassetto nel mobile di faggio vicino, lì dove aveva deciso di custodire quell'oscuro ornamento.

Erik sarebbe tornato, un giorno.
Questo le era stato scritto; e quel medesimo giorno, avrebbe preteso ciò che gli era stato sottratto.
La maschera, il teatro stesso...tutto...
Non poteva sapere con certezza, ma forse...anche Christine.
 
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7 replies since 21/5/2008, 23:39   215 views
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