A Voice in the Darkness

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jiujiu
view post Posted on 31/5/2008, 15:21 by: jiujiu




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- Maman, non puoi permetterlo! Christine-
- Christine e il Visconte hanno deciso così, bambina mia, e madame Valerius andrà con loro. C'è poco che io e te possiamo fare al riguardo-
- Però Marsiglia, maman...è così lontana...-
- Non così tanto, Meg...conosci solo il teatro e Parigi, ma fuori da qui il mondo è grande, esistono distanze maggiori...-
Meg chinò il capo, spogliandosi del mantello che aveva indossato fino a quel momento, lungo il tragitto dall'abitazione di Madame Valerius fino all'Opera Populaire.

Erano andate loro due per chiedere informazioni sul loro possibile ritorno in tempi brevi ai loro appartamenti, e la sola risposta che era stata loro data era stato uno sconfortante " le faremo sapere" che presagiva tempi lunghi al loro rientro nelle loro stanze all'Opéra.
Non ci sarebbero stati spettacoli in cartellone, quella primavera...
I restauri erano costosi e i due precedenti impresari disperavano di poter recuperare la cifra necessaria senza indebitarsi ulteriormente; il Visconte avrebbe certamente contribuito, ma senza eccedere, egli che comunque teneva più alla stella del canto che non al luogo dove essa soleva esibirsi; ed adesso che aveva quasi rischiato di perderla tra quelle mura, probabilmente non le avrebbe più permesso di cantare per un pubblico diverso da quello dei ricchi salotti dei nobili aristocratici con cui la famiglia De Chagny teneva saldi rapporti d'amicizia e di affari, sottraendo Christine Daaè agli applausi ed al suo pubblico vero, quello del teatro.
Sarebbe stato dunque necessario trovare un nuovo mecenate che finanziasse le spese di ricostruzione della struttura in sè, ed un impresario capace, dotato di buon gusto e di senso pratico per poter mandare avanti il più grande teatro di Parigi, nuovi artisti capaci e volenterosi, senza troppe pretese...
Quanto tempo sarebbe passato prima che tali miracoli, perchè di questi si trattava, accadessero?

Madame Giry inumidì le labbra seccate dal vento tiepido di quella mattina di marzo, e riflettè sulla propria situazione e su quella della figlia: avrebbero certo potuto lavorare per compagnie minori, ma la loro casa, la loro vita era L'Opera Populaire, nel bene e nel male.
- Perchè non andiamo via anche noi, maman? - la sorprese Meg, rientrando nella piccola casa che certamente avrebbero dovuto mettere in ordine, adesso che entrambe sapevano che avrebbero alloggiato laggiù a tempo indeterminato.
- Andiamo con Christine a Marsiglia, sicuramente c'è un teatro anche laggiù! Tu potrai insegnare e io danzerò, saremo sempre insieme. Tu, io e Christine-
- No, Meg cara-
La ragazza si impuntò, irritata da quell'atteggiamento così negativo della madre, da quella continua testardaggine che l'avrebbe allontanata dalla sua migliore amica e l'avrebbe costretta a vivere in una città che le aveva tolto tutto.

Maledetto Fantasma!

Era un mostro, e anche con la sua assenza, proseguiva a far loro del male: Meg Giry aveva quasi avuto pietà quando Christine le aveva raccontato, a lei sola e nessun altro di quella notte, di ciò che realmente era accaduto in quei sotterranei.

La bestia si era innamorato della bella e, come Icaro, aveva sfidato le leggi divine per avvicinarsi al sole, e da questo, meraviglioso e splendente, era stato tradito, sciolte le sue ali di cera e precipitato nell'oblio, nella disperazione e nella follia.
Un uomo solo...completamente solo nelle tenebre, in lui vivo l'amore più che in qualunque altro essere umano.

- L'ho ferito...è come se l'avessi ucciso, Meg...-
- Ma lui ti ha rapito, Christine! E ha quasi ucciso il visconte! E' un mostro!-
La ragazza, mordendosi le labbra carnose e piangendo calde lacrime, si era lasciata abbracciare, lontano il fidanzato di lei, a discutere coi poliziotti sulla strategia da adottare per arrestare il criminale e pericoloso assassino ancora in fuga, madame Giry intenta a discutere con la cordiale madame Valerius di quello che sarebbe stato l'avvenire della giovane Daaè.
- Mi ha lasciato andare via, amica mia...tu non hai visto il suo sguardo...potevo sentire la musica morire attorno a noi...la musica è morta, Meg...il mio angelo è morto. L'ho ucciso e una parte di me è morta con lui-
Meg si era stretta a lei e le aveva permesso di sfogarsi, ma come repentino era stato il suo cambiamento quando Raoul De Chagny aveva fatto il suo ingresso nella stanza, salutandola con un bacio soffice sulla fronte: sparite il pianto dalle sue guance, solo un lieve pallore sul volto e gonfi gli occhi, aveva mascherato la tristezza con presunte lacrime di sonnolenza, a cui nessuno avrebbe creduto mai.
Forse era stato proprio quel pomeriggio che il visconte aveva meditato la possibilità di portare via Christine con sè, lontano da Parigi, dal male e dalle illusioni passate, in un luogo dove il sole avrebbe illuminato i loro giorni di freschezza e di amore candido, innocente e puro, come quando da piccoli giocavano tra i prati, ascoltando il violino di papà Daaè che raccontava ai due giovani le avventure della piccola Lotte e la dolce leggenda dell'Angelo della musica.

Angelo bugiardo!
Imbroglione ed approfittatore, dietro la propria voce aveva occultato sè stesso, sua prima, invisibile maschera.

- Oh Christine...-

L'avrebbe più rivista...?

Era colpa sua e sua soltanto, di quell'uomo maledetto!
Implorava pietà, quell' uomo distrutto dalla passione e dal rifiuto?
Non la meritava...
Non meritava nulla.


- Questa è la nostra casa, qui proseguiranno le nostre vite. L'accademia di ballo è ancora aperta, non posso abbandonare il mio lavoro-
- Ma Christine-
- Christine è fidanzata, Marguerite Giry. Quando anche tu lo sarai, potrai andare dove riterrai giusto-
Madame Giry si pentì immediatamente delle proprie parole e certamente avrebbe cercato parole più adatte per scusarsi, se la figlia non l'avesse guardata con rancore e delusione nello sguardo, e non si fosse rinchiusa subito in camera propria, rifiutandosi per l'intera giornata di rivolgere anche solo un sospiro alla madre.
- Cerca di capirmi, Meg...non voglio perdere anche te. Non potrei davvero sopportarlo- disse rivolgendosi alla porta dietro la quale si apriva la camera della ragazza, la voce salda, quasi fredda, ma intrisa di una malinconia tipica della madre che vede la figlia allontanarsi da sè, allontanarsi per sempre, cedere la manina adorata della propria bambina ad un uomo che l'avrebbe resa donna e madre a sua volta.
Christine sarebbe partita presto, insieme al suo promesso sposo e madame Valerius, e loro sarebbero rimaste a Parigi...aveva deciso e non avrebbe cambiato idea.

- Cerca di capire...-

*****

Una settimana era passata dal loro arrivo tra le mura della santa chiesa di Nostra Signora, e ancora Padre Remus, Yvette e madame Ledoux non erano riusciti a farsi rivelara alcun particolare dalla loro giovane ospite, presenza silenziosa rinchiusa di propria volontà nella stanza che divideva con il giovane Pierre, che invece era sempre stato incline al dialogo e all'ascolto, nonostante non avesse molto da dire, e molte altre cose le tenesse per sè nel timore di svelare più di quanto non avrebbe dovuto.

- Da dove venite?-
- Da tanti posti...-

- Dove siete diretti?-
- Non lo so...-

- Chi ha ferito la tua amica?-
- Non posso dirlo...ci troverebbero-

Lunghi silenzi scandivano domande e risposte del genere, anche se sembrava che il giovane Pierre si fidasse molto più della generosa madame Ledoux che non dell'arguto sacerdote e della giovane novizia.
Proprio due giorni dopo il risveglio di Marie, Isabelle Ledoux ricevette una visita inaspettata che nel modo peggiore rivelò le vicissitudini dei due giovani, soprattutto sulla ragazza a cui Pierre era tanto devoto.

Samuel Ledoux fece il proprio ingresso attraversando il portone laterale, trovandosi solo di fronte all'altare: era un bell'uomo non giovanissimo ma ancora affascinante, il volto perfettamente rasato a parte le brevi basette ai lati del viso, che lo rendevano simile al padre scomparso in servizio anni prima.
Indossava degli abiti da civile, ma ciò non significava che fosse laggiù per una semplice visita di cortesia, tanto che ben celata ad occhi indiscreti ecco la sua arma, una pistola abbastanza pesante che aveva imparato a maneggiare con precisione dopo due anni di utilizzo, ritrovandosi più di una volta a rimpiangere le armi bianche, il suo amato stiletto e le lezioni di scherma sacrificate al crudo piombo e alla polvere da sparo.
Si inginocchiò all'altare e si avviò con passo sicuro verso la porta laterale che l'avrebbe condotto agli appartamenti abitati dalla madre, quando una voce sconosciuta lo richiamò sui suoi passi, la voce di un giovane ragazzo dai capelli corvini e l'espressione sospettosa, sulle spalle alcuni fagotti e un pesante secchio d'acqua tra le mani.

- Chi siete?-

Samuel Ledoux si tolse il cappello, rivelando una pettinatura regolare e stabile, la stessa chioma nera del ragazzo, e un sorrisetto fintamente ironico sulle labbra.
- Polizia di Parigi, ragazzo. Cerco madame Ledoux-
Il poliziotto si stupì non poco quando si accorse dell'improvviso pallore nel giovane, che si avvicinò con passo incerto, scrutandolo e memorizzando ogni linea, ogni ombra del proprio volto, un artista col proprio modello.
- E tu sei..?- domandò con voce squillante e tono disponibile.
Pierre non rispose, lo sguardo adesso fissava il pavimento in pietra e l'ispettore non potè fare a meno di provare comprensione per quel giovinetto probabilmente imbarazzato come tutti dall'idea di avere innanzi a sè un poliziotto.
- Senti ragazzo, non sono qui per arrestarti- rise, posandogli una mano amichevole sulla spalla,
- Voglio solo parlare con madame Ledoux e padre Remus, quindi se sai dove essi-
- Pierre? con chi stai parlando?-
La voce della donna veniva dal cortile esterno e presto ne fu visibile l'origine, Isabelle Ledoux in grembiule, le mani sporche di terra e fertilizzante.
- Hai preso l'acqua come ti ho..Samuel!!- gridò istintivamente, portandosi le mani al petto ed incamminandosi più velocemente possibile verso l'uomo che le aveva sorriso e chiamata madre sotto lo sguardo infinitamente più rilassato di Pierre che aveva seguito la scena in cui l'ufficiale raggiungeva l'anziana signora e la sollevava oltre la sua testa e il cappello nero e piumato, baciandole entrambe le guance e abbracciandola con affetto.
Pierre osservò i due con uno sguardo assorto, malinconico...un breve sorriso di struggimento.
Erano così lontani i tempi in cui si era sentito parte di una famiglia vera, e quella che celebrava il proprio vincolo di parentela pochi metri più in là, incuranti che il fango macchiasse i vestiti o la pelle, era ciò che il ragazzo aveva perso quando era stato abbandonato e aveva smarrito la sorella e ora rimpiangeva apertamente, senza accorgersi che in disparte, da uno spiraglio della porta di legno insospettabilmente socchiusa, due occhi celesti e seri fossero puntati su di lui.

*****

- Pierre!Questo è mio figlio Samuel, te ne avevo parlato, no?-
- Si, madame-
- Samuel Ledoux. Lieto di conoscerti, Pierre..?-
- Solo Pierre, monsieur. Piacere mio...e se ora volete scusarmi...- si congedò dai due famigliari, svolgendo il resto delle sue mansioni e subito si rinchiuse nella stanza dove alloggiava la sua signora, vedendola seduta di fianco alla finestra, le tende ritirate mentre un pallido tepore illuminava il suo volto.
Era lei la sua famiglia, non aveva bisogni di madri, padri, fratelli o sorelle fintanto che le rimaneva accanto e si proteggevano a vicenda.
Non ne aveva bisogno...
- Pierre...fai silenzio...lasciami ascoltare...- la ragazza si era alzata e lo aveva raggiunto per un istante, accarezzandogli il volto e indicandogli il letto dove sedersi o stendersi e riposare dalle fatiche quotidiane.
Le baciò il dorso della mano e raggiunse il letto, seduto ed assorto, udiva appena i mormorii in fondo al cortile esterno, lì dove madre e figlio passeggiavano l'uno affianco all'altra, parlando di un argomento probabilmente di una certa gravità.

*****

La donna stringeva con forza eccessiva la mano al figlio, la gola secca per le notizie riferitele.

- Mon Dieu, Samuel caro!Parigi accerchiata?-
- Oh, madre...non urlate...ebbene, sapete bene che abbiamo perso la guerra con la Prussia, e nei mesi passati le loro truppe hano soggiornato qui in città...-
Madame Ledoux annuì, asciugandosi quindi la fronte con un fazzolettino ricamato, un antico dono, che soleva custodire nella tasca del grembiule, e rimase in attento ascolto, venendo a conoscenza del proseguimento dell'assedio da parte dell'esercito prussiano, della ancora irrisolta questione dell'indennità di guerra, e del malcontento popolare, dei cannoni custoditi dai cittadini a Montmartre...quali e quante sciagure si stavano abbattendo sulla bella Parigi?
- Ieri il generale Lecomte è stato fucilato per aver ordinato di sparare sulla folla, madre...ucciso dai suoi stessi soldati...-
- Santo cielo...è per questo che sei venuto qui?-
- Non solo...prima che questi avvenimenti giungessero alla mia attenzione, ero stato incaricato di indagare su altri due delitti: il primo, l'omicidio di Ubaldo Piangi, e il rapimento di mademoiselle Daaè, ad opera di un individuo spregevole e orribilmente deformato che pare abitasse i sotterranei e che testimoni affermano di aver visto quella notte nei pressi del sagrato...-
- Non dirai sul serio, figlio mio! Anche gli uomini che sono entrati in chiesa cercavano questa persona, ma non l'abbiamo vista, ed eravamo tutti in piedi-

Il poliziotto chiese il motivo della loro veglia a quell'ora della notte e venne così a conoscenza della pietosa storia di Pierre e Marie, aggredita e ferita da chissà quale brigante scellerato.
- Comunque sia, madre, adesso le indagini sono sospese, e il presidente Thiers ha ordinato che tutti coloro che ancora gli sono fedeli evaquino la città al più presto.-
- Devi lasciare Parigi, figlio mio...- sussurrò lei, tentando di trattenere le lacrime che minacciavano di scivolare sulle sue guance impolverate.
- Si, madre, e voglio che voi veniate con me-

Isabelle lo guardò con occhi larghi, già viva in lei la prospettiva di lasciare Parigi, la sua città, la sua culla, per seguire il figlio poliziotto. e scosse subito il capo, negando quella possibilità.
- No, io non posso partire con te, bambino mio...questa è la mia casa-
- Ma- proruppe lui, subito interrotto dall'anziana donna, che lanciò un'occhiata alla porta di legno dietro alla quale era scomparso il giovane Pierre,
- Samuel, sono vecchia, ho già affrontato le mie battaglie, non ho paura di questa che deve venire...eppoi tu sei grande, so che te la caverai benissimo anche senza di me-
L'ufficiale tentò di replicare, ma nuovamente venne zittito dalla amorevole madre, che posò il dito indice sulle labbra di lui, come quando era piccolo e molto più loquace, totalmente identico a suo padre.

- Ho delle persone a cui voglio bene qui, Samuel...non posso abbandonarle...-

- Capisco...abbiate cura di voi, madre...-
- Chiamami mamma, bambino mio..mi manca il suono di quella parola sullasulle tue labbra- sorrise la donna, che parve agli occhi del figlio pari ad un obelisco, una struttura in pietra, indistruttibile e solo in parte scalfita dalle intemperie; la abbracciò con forza, scacciando dalla mente la fugace e crudele idea che quello potesse essere l'ultimo gesto affettuoso, l'estremo addio.

- Vi voglio bene, maman...-
 
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